Case study sullo sviluppo lessicale nel trilinguismo...
Transcript of Case study sullo sviluppo lessicale nel trilinguismo...
Faculteit Letteren & Wijsbegeerte
Céline Kerckhaert
Case study sullo sviluppo lessicale nel
trilinguismo precoce
L’emergenza dei translation equivalents
Promotor: Giuliano Izzo
Vakgroep Vertalen, Tolken en Meertalige Communicatie
Masterproef voorgelegd tot het behalen van de graad van
Master in het Tolken
Academiejaar 2015-2016
2
3
Verklaring van auteursrechten
De auteur en de promotor(en) geven de toelating deze studie als geheel voor consultatie
beschikbaar te stellen voor persoonlijk gebruik. Elk ander gebruik valt onder de beperkingen
van het auteursrecht, in het bijzonder met betrekking tot de verplichting de bron uitdrukkelijk
te vermelden bij het aanhalen van gegevens uit deze studie.
Het auteursrecht betreffende de gegevens vermeld in deze studie berust bij de promotor(en).
Het auteursrecht beperkt zich tot de wijze waarop de auteur de problematiek van het
onderwerp heeft benaderd en neergeschreven. De auteur respecteert daarbij het
oorspronkelijke auteursrecht van de individueel geciteerde studies en eventueel bijhorende
documentatie, zoals tabellen en figuren. De auteur en de promotor(en) zijn niet
verantwoordelijk voor de behandelingen en eventuele doseringen die in deze studie geciteerd
en beschreven zijn.
4
5
Indice
Indice ............................................................................................................................................... 5
Abstract ........................................................................................................................................... 7
Ringraziamento ............................................................................................................................... 7
1. Introduzione .................................................................................................................................... 9
2. Teoria ............................................................................................................................................ 11
2.1 Monolingual First Language Acquisition ..................................................................................... 11
2.2 Bilingual First Language Acquisition............................................................................................ 13
2.2.1 Introduzione ......................................................................................................................... 13
2.2.2. La storia ............................................................................................................................... 14
2.2.3 Concetti e risultati principali degli studi sulla BFLA ............................................................. 17
2.3 Trilingual First Language Acquisition .......................................................................................... 20
2.3.1 Fattori decisivi per ottenere il trilinguismo attivo ............................................................... 20
2.3.2. Studi sulla TFLA e risultati principali ................................................................................... 24
2.4 Translation Equivalents ............................................................................................................... 26
3. Metodologia .................................................................................................................................. 31
3.1 La raccolta dei dati ...................................................................................................................... 31
3.2 La ricostruzione del lessico ......................................................................................................... 31
3.3 La codificazione dei Translation Equivalents .............................................................................. 33
4. Domande di ricerca e ipotesi ........................................................................................................ 34
5. Analisi dei dati ............................................................................................................................... 35
5.1 Lo sviluppo lessicale .................................................................................................................... 35
5.2 La produzione dei translation equivalents .................................................................................. 41
5.3 Gli intervalli ................................................................................................................................. 45
6. Conclusione ................................................................................................................................... 49
7. Bibliografia .................................................................................................................................... 51
13 912 Parole
6
7
Abstract
Nel presente studio si prende in esame lo sviluppo lessicale di Eva , una bambina trilingue
spagnolo-italiano-olandese, dalla nascita ai due anni. Si vuole verificare se il suo sviluppo
lessicale avanza in un modo “normale” in rapporto ad altri bambini trilingui. Inoltre si
intende valutare se l’ipotesi del ritardo lessicale dei trilingui su monolingui e bilingui può
essere inficiata e se il livello delle tre lingue è comparabile. Per fare ciò, si sono stilate delle
liste di vocabolario in ogni lingua sulla base dei dati raccolti da parte dei genitori per poi fare
l’analisi dei neutral, del rapporto tra le lingue, l’emergenza dei translation equivalents (TE) e
gli intervalli. Lo studio ha rivelato che Eva può essere considerata un caso “normale” e che
non presenta un ritardo lessicale in rapporto alla media dei bilingui e monolingui. Diverse
parti dell’analisi indicano una differenza tra l’olandese e le altre due lingue. Il numero di
parole, di neutral e di TE, il rapporto tra i verbi e i nomi e il periodo degli intervalli: tutte le
tabelle e i grafici mostrano una somiglianza tra le lingue familiari, italiano e spagnolo;
l’olandese, invece, rimane a distanza. Benché i risultati siano chiari, non vanno presi alla
lettera, perché si tratta di un case study, e non si può generalizzare senza studi ulteriori.
Ringraziamenti
Innanzitutto vorrei ringraziare il mio direttore di tesi per avermi dato l’opportunità di scrivere
la tesi sui dati di sua figlia e per aver dedicato il suo tempo ad aiutarmi a sviluppare la tesi.
Grazie agli appuntamenti in cui sono stati discussi il trilinguismo in generale, i risultati di
diversi studi, i dati di Eva e il suo sviluppo lessicale durante e dopo il periodo studiato: ho
avuto l’opportunità di vederci più chiaro. Nei momenti più difficili è sempre stato pronto a
stimolarmi a continuare ed a darmi consigli per migliorare tra le altre cose lo stile e la
struttura.
Vorrei anche ringraziare i miei genitori per avermi dato il loro sostegno durante l’intero
periodo di studio. Inoltre sono riconoscente a tutti gli altri docenti che ho conosciuto durante i
miei quattro anni all’università di Gent; senza di loro non sarei mai stata capace di scrivere
una tale tesi. In ultimo luogo, vorrei ringraziare le mie colleghe che sono sempre state pronte
ad aiutarmi, a rispondere alle mie domande, ad ascoltarmi e motivarmi nei momenti difficili.
8
9
1. Introduzione
Anche se la maggioranza dei governi considera il monolinguismo come la norma, i bilingui e
i multilingui sono in grande numero presenti in tutto il mondo (Montanari, 2010). La
situazione familiare tipica dei bilingui è quella in cui un genitore parla la lingua della
comunità e un genitore parla un’altra lingua; per i trilingui, invece, si vede la tendenza in cui
il bambino sente due lingue in casa, ognuna parlata da uno dei genitori, alle quali viene
aggiunta una terza lingua, la lingua comunitaria (Hoffmann, 2001).
Va menzionato che il bilinguismo da un lato è già ampiamente stato studiato, mentre il campo
del trilinguismo e del multilinguismo sono nuovissimi e il numero di studi è ancora molto
limitato. Per questo motivo, negli studi sul trilinguismo ci si riferisce spesso agli studi sul
bilinguismo, che verranno perciò discussi anche nel presente studio.
Il campo del bilinguismo può essere introdotto con uno studio di Werker, Byers-Heinlein e
Fennell (2009) in cui viene studiata l’acquisizione linguistica di bambini bilingui. In generale
essa si svolge come l’acquisizione monolingue, salvo che certi meccanismi si sviluppano più
velocemente in rapporto ai bambini monolingui perché i bilingui possano affrontare le sfide
specifiche legate al multilinguismo.
I bilingui sarebbero per esempio più presto in grado di differenziare le lingue ed avrebbero un
vantaggio di percezione e di sviluppo fonetico e concettuale. Il loro compito è lo stesso dei
monolingui, ma devono inoltre affrontare una prima sfida fondamentale, cioè differenziare le
loro due lingue. In seguito sviluppano un inventario fonetico delle lingue e imparano a
sostanziare le differenze. Rimane da scoprire se è questo il caso anche per il trilinguismo
(Werker, Byers-Heinlein & Fennell 2009).
Gli studi di grande interesse sono soprattutto case study degli anni 2000 e dopo, in cui
vengono studiati i fattori che influenzano lo sviluppo del trilinguismo in modo positivo, come
un input equilibrato, o in modo negativo, come la presenza della lingua comunitaria in casa.
Come descritto in Chevalier (2015), lo scienziato è spesso il genitore stesso del bambino
studiato.
La grande mancanza nel campo del trilinguismo sono gli studi empirici, il che è
probabilmente da attribuire al fatto che è difficile raggruppare persone trilingui della stessa
età che parlano le stesse lingue sin dalla nascita. A questi fattori si aggiunge ancora la
10
situazione linguistica della famiglia; non tutti i trilingui crescono nell’ambito della situazione
tipica descritta sopra. Un bambino può sentire una certa lingua solo dai nonni o da una zia,
può vedere la madre tanto quanto il padre, ma potrebbe anche vedere il padre solo nel fine
settimana. Tutti questi fattori possono avere un’influenza sullo sviluppo del trilinguismo del
bambino, cosicché certi bambini diventano attivamente trilingui, mentre altri parlano solo una
o due lingue e le capiscono tutte e tre.
Il campo che viene studiato nel presente studio è il trilinguismo precoce, anzi la Trilingual
first language acquisition (TFLA), ovvero l’acquisizione trilingue sin dalla nascita. Lo studio
presenta lo sviluppo lessicale di Eva (il nome è fittizio), una bambina trilingue in spagnolo-
italiano-olandese che vive nei Paesi Bassi, fino ai suoi 2 anni di età. Un’attenzione specifica
sarà prestata allo sviluppo dei cosiddetti translation equivalents, letteralmente “equivalenti di
traduzione”.
11
2. Teoria
Trattandosi di un ambito di ricerca relativamente nuovo, il trilinguismo viene spesso
affrontato partendo dal bilinguismo, sulla base del ragionamento che lo sviluppo linguistico
di un bambino trilingue proceda in larga misura allo stesso modo di quello di un bambino
bilingue. Proprio per questa ragione è importante in questa parte teorica fornire un quadro di
riferimento che includa un’introduzione sul monolinguismo ed i molti risultati ottenuti negli
studi sul bilinguismo. Fatto ciò, si prenderanno in esame gli studi più rilevanti sul
trilinguismo in generale, per poi concentrarsi in seguito sull’aspetto che costituisce
l’argomento principale del presente studio, ovvero i cosiddetti translation equivalents
(letteralmente “equivalenti di traduzione”, d’ora in poi TE).
2.1 Monolingual First Language Acquisition
Innanzitutto è importante conoscere i concetti di base che riguardano lo sviluppo lessicale
nell’infanzia in generale. Inoltre si deve avere un’idea del percorso dello sviluppo nel caso di
monolingui, per poi poter paragonare lo sviluppo trilingue a quello monolingue.
Un sistema innato?
Il bambino nasce con un sistema linguistico o “tabula rasa”? Siccome non parla alla nascita,
per forza deve acquisire la sua lingua o le sue lingue, ma secondo diversi studiosi potrebbe
essere nato con un sistema di categorie sintattiche. Altri sono dell’avviso che il bambino
cominci a scoprire i verbi ed i nomi a partire dal contesto linguistico in cui una certa parola si
presenta. Una terza ipotesi: il bambino scopre nomi e verbi attraverso il significato della
parola: se designa una persona, un luogo o un oggetto è un nome, se si riferisce ad un’azione
è un verbo. Nel caso in cui i bambini siano nati con un sistema innato, si tratterebbe dunque
soltanto di un sistema sintattico; gli altri elementi come il vocabolario vanno acquisiti nel
corso della vita (Clark, 2009, p.2).
Importanza dell’input
L’acquisizione di una lingua si svolge in primo luogo durante la conversazione: parlando ai
bambini, gli adulti gli offrono un numero esteso di informazioni sulla lingua, sia direttamente,
sia indirettamente. Mostrano esplicitamente, ma anche in modo non verbale, quali sono le
loro aspettative nei confronti dei bambini: quando possono parlare, cosa possono dire, quando
12
e come rispondere agli adulti (Berko Gleason, 1988). È ovvio che gli adulti utilizzano le
parole giuste per riferirsi ad un oggetto o ad un’azione, cosicché offrono un vasto campo di
esperienza lessicale: cibo, abbigliamento, giochi, animali, veicoli, piante, il mare, le
montagne... (Clark & Wong, 2002 citato in Clark, 2009, p. 5).
Dalla percezione alla produzione
I bambini attraversano diverse fasi comunicative, cominciando da uno stato in cui non sono
in grado di capire nessuna parola, seguito sin dal primo giorno di vita da un periodo di circa
12 mesi in cui fanno esperienza in percezione e sviluppano un grande numero di concetti:
identificano oggetti e azioni, riconoscono delle persone, sanno dove si trova e come viene
usato un oggetto, conoscono lo spazio tridimensionale (sotto, sopra, dietro). In breve,
costruiscono rappresentazioni di quello che vedono e sanno per essere in grado di riconoscere
quello che hanno già sentito e di ricordarsene. All’inizio evocano quelle rappresentazioni
attraverso i gesti o la ricostruzione di eventi, dopo cominciano ad evocarle attraverso le
parole (Piaget 1952, Werner & Kaplan 1963 citato in Clark, 2009, p. 7).
Intorno ad un anno di età cominciano a pronunciare le loro prime parole, cui seguono, solo
alcuni mesi dopo, le prime combinazioni di parole, per poi diventare partecipanti veri e propri
della conversazione. Va segnalato che, durante il processo di acquisizione, le conoscenze di
comprensione sono molto più sviluppate di quelle di produzione e quel ritardo è presente
durante tutta la vita. Pensiamo per esempio agli adulti che capiscono diversi dialetti, ma sono
in grado di utilizzarne solo uno o due attivamente (Clark, 2009, p.14).
Il lessico dei bambini monolingui
Di che cosa parlano i bambini? Uno studio a base di diari redatti dai genitori sulle prime 50
parole dei bambini ha rivelato che quelle 50 parole fanno parte di un certo numero limitato di
categorie, che logicamente riguardano le cose che li circondano: persone, cibo, parti del
corpo, abiti, animali, veicoli, giochi, oggetti della casa, abitudini e attività. Sembra valido per
tutti i bambini, ma la velocità in cui si sviluppano le prime 50 parole è molto variabile: la
produzione di sei bambini (Robb, Bauer & Tyler 1994) è stata studiata ed ha rivelato la
grande differenza tra i bambini per raggiungere il traguardo delle 50 parole: vengono
pronunciate per la prima volta tra 1;5 e 1;10, cioè una differenza significativa di 5 mesi.
All’età di due anni, un bambino può essere in grado di pronunciare solo 100 parole, ma
potrebbe anche pronunciarne 600 (Clark, 2009 p.75-77).
13
2.2 Bilingual First Language Acquisition
2.2.1 Introduzione
Definizione
Una persona conosce almeno una lingua sin dalla nascita, ma può anche acquisire una lingua
nel corso della vita. Quell’acquisizione avviene spesso attraverso l’istruzione. Nel presente
studio si tratta sempre di Bilingual First Language Acquisition (BFLA), ovvero il bilinguismo
che inizia sin dalla nascita e che spesso permette al bambino di avere due lingue materne. A
introdurre questo termine nel 1976 è stato Merril Swain. Oggi, il termine è diffuso in tutto il
mondo e dà anche il titolo ad uno dei principali lavori sull’argomento, scritto da Annick De
Houwer nel 2009. In tale manuale, che servirà da costante punto di riferimento per il presente
studio, viene definito come segue:
Bilingual First Language Acquisition is the development of language in young children who
hear two languages spoken to them from birth. BFLA children are learning two first
languages. There is no chronological difference between the two languages in terms of when
the children started to hear them. (De Houwer, 2009, p.2)
Siccome nella BFLA entrambe le lingue sono materne, non si parla di una lingua A, lingua
materna, e una lingua B, lingua acquisita, ma di una lingua A e una lingua Alfa, cioè una
seconda lingua materna.
BFLA vs. ESLA
Il libro di Annick De Houwer è stato recensito da Imme Kuchenbrandt. Anche la definizione
è stata oggetto della recensione: Kuchenbrandt si pone infatti la domanda se la definizione
non sia troppo stretta, poiché essa comprende solo i bambini esposti ad entrambe le lingue
sin dalla nascita, senza considerare i bambini che apprendono una seconda lingua più avanti,
ma ancora nei primi anni di vita. In tal caso parliamo di Early Second Language Acquisition
(ESLA). Studi recenti hanno rivelato che l’ESLA assomiglia molto più alla BFLA che
all’acquisizione di una seconda lingua degli adulti. Ciò sembra, almeno, valere fino ai quattro
anni; da lì in poi, l’ESLA assomiglia maggiormente all’acquisizione degli adulti (Meisel,
2009). Per Kuchenbrandt, comunque, è ragionevole utilizzare una definizione stretta di BFLA
perché è conforme ad un valore principale del manuale di De Houwer: una ricerca deve
essere il più trasparente possibile.
14
Il lessico dei bambini BFLA
È difficile trovare una norma nel numero di parole che un bambino bilingue conosce ad una
certa età, per il semplice fatto che le differenze tra i bambini sono enormi. Si presume spesso
che i bambini BFLA padroneggino le due lingue allo stesso livello. Eppure, questo non è il
caso più frequente. Ci sono molte differenze tra i bambini BFLA, sia a livello di
comprensione che di produzione. Alcuni parlano solo una lingua ed hanno una conoscenza
passiva dell’altra, altri hanno una perfetta padronanza di ciascuna delle due. Ed è,
ovviamente, soprattutto la famiglia a giocare un ruolo importante in tale sviluppo: la
situazione tipica è quella in cui i genitori non hanno la stessa lingua materna e la lingua di
uno dei due è anche quella della comunità (De Houwer, 2009, p.2-8).
In uno studio di De Houwer et al. (2007) sono stati studiati 31 bambini BFLA, prima all’età
di 13 mesi, poi all’età di 20 mesi. Un esempio che chiarisce la varietà: all’età di 20 mesi c’era
un bambino che aveva pronunciato non più di 14 parole, mentre un altro ne aveva
pronunciate ben 1234. In media i bambini avevano pronunciato 17 parole all’età di 13 mesi e
271 parole all’età di 20 mesi. E questo divario non è proprio del bilinguismo; anche nel caso
dei bambini monolingui c’è infatti una differenza notevole: per esempio nello studio di Bates
et al. (1995), all’età di 16 mesi ci sono bambini monolingui che hanno la conoscenza attiva di
154 parole ed altri che non ne producono nessuna (De Houwer, 2009, p. 226).
2.2.2. La storia
Ronjat (1913): l’approccio OPOL
La storia della BFLA comincia più di 100 anni fa. Nel 1913 Ronjat è stato il primo a scrivere
un ampio studio su un bambino cresciuto con due lingue sin dalla nascita. Si tratta di un case
study su suo figlio Louis. Vivevano in Francia, Ronjat gli parlava in francese e sua moglie in
tedesco. Il padre ha annotato lo sviluppo delle sue due lingue in forma di diario fino ai suoi 5
anni.
Ronjat e sua moglie erano coscienti del loro importante ruolo nello sviluppo del bilinguismo
del loro figlio. Siccome risiedevano in Francia, hanno deciso di parlare tedesco tra di loro in
presenza di Louis per aumentare l’input del tedesco. Ecco perché hanno anche trascorso
molto tempo in Germania. Lo correggevano spesso e gli davano dei modelli. A cinque anni,
Louis aveva una perfetta padronanza di entrambe le lingue.
15
Ronjat è stato il primo a utilizzare l’approccio chiamato one parent one language (d’ora in
poi OPOL), che implica che i genitori parlano con il bambino nella loro propria lingua
materna. In quell’approccio è tipica la situazione in cui i genitori non condividono la stessa
lingua materna e vivono in un paese dove si parla una delle due lingue. A volte i genitori
parlano entrambe le lingue, mentre a volte il genitore che parla la lingua dominante non
capisce l’altra lingua (Takeuchi, 2006, p. 19, 21).
Le famiglie che vogliono crescere bambini bilingui scelgono quasi sempre l’approccio one
parent one language. È, in effetti, un approccio che stimola abbastanza bene il bilinguismo
attivo in una società dove non c’è nessun’attenzione per la lingua familiare. Comunque, in
generale è difficile mantenere un livello alto della lingua familiare perché, diventando più
grandi, i bambini entrano sempre più in contatto con la comunità esterna, dove sentono solo
la lingua della comunità (Takeuchi, 2006, p. 388).
Leopold (1939-1949)
Un altro esempio di quell’approccio è quello di Leopold (1939-1949), che ha studiato
l’acquisizione, negli Stati Uniti, del tedesco e dell’inglese di sua figlia Hildegard. Leopold ha
effettuato uno studio in quattro volumi dello sviluppo lessicale, fonologico e sintattico nei
primi due anni di vita di Hildegard. Lui era bilingue tedesco-inglese e parlava esclusivamente
il tedesco con sua figlia, sua moglie parlava in inglese e aveva competenze di base in tedesco.
In generale i genitori si parlavano nella loro lingua materna (Lanza, 2004 & Takeuchi 2006).
Le altre persone che Hildegard conosceva parlavano inglese ed i visitatori tedeschi
ricorrevano all’inglese dal momento che si rendevano conto che era la sua lingua dominante.
La sua preferenza per l’inglese è stata ulteriormente rafforzata quando il padre è stato assente
per un periodo di sei settimane. In conseguenza Hildegard ha pronunciato sempre meno
parole in tedesco fino al momento in cui ha risieduto in Germania per un periodo di sei mesi
cosicché per un breve periodo il tedesco è stato la sua lingua dominante (Lanza, 2004).
Al contrario di Ronjat, Leopold non ha insistito ad utilizzare il tedesco nei primi anni di vita
della figlia. Il risultato è stato che Hildegard aveva una lingua dominante, cioè l’inglese, e
una lingua in cui era meno competente, cioè il tedesco, ma in cui era comunque in grado di
comunicare con suo padre (Takeuchi, 2006, p. 21,22).
16
I due studi descrivono lo sviluppo bilingue in dettaglio e sono stati molto importanti nel
campo del bilinguismo. Hanno fatto la raccolta dei dati in forma di diario. Benché ci siano
alcuni dubbi sull’affidabilità di quel tipo di dati, rimane un metodo molto usato.
Taeschner (1983)
Taeschner (1983) ha fatto uno studio molto simile, studiando le sue due bambine bilingui.
Anche lei ha utilizzato l’approccio OPOL. Vivendo in Italia, lei gli parlava in tedesco, mentre
suo marito gli parlava in italiano, e anche tra di loro parlavano italiano.
Le bambine avevano una competenza attiva in entrambe le lingue. Taeschner (1983) insiste
sull’importanza della coerenza nella scelta della lingua da usare con i diversi interlocutori e/o
nelle varie circostanze. Anche lei dava alle figlie molto feedback sugli errori ed esprimeva
chiaramente la sua preferenza per il tedesco quando le parlavano in italiano. C’erano anche
altri fattori che aiutavano le bambine a sviluppare le loro conoscenze in tedesco: le vacanze in
Germania, i visitatori tedeschi e la baby-sitter tedesca (Takeuchi, 2006, p.22).
George Saunders (1988)
Negli anni ottanta sono stati pubblicati molti libri nell’ambito del bilinguismo, la maggior
parte pensata per i genitori che hanno intenzione di crescere figli bilingui. Anche George
Saunders ha pubblicato un libro di grande interesse in linea con quella tendenza sulla sua
famiglia bilingue: Bilingual Children: From Birth to Teens (1988). Oltre ad un quadro teorico
e lo studio vero e proprio approfondisce ampiamente alcuni aspetti concentrandosi sulle
difficoltà insite nel far crescere bambini bilingui.
Discute per esempio degli effetti che i bambini provano del contesto sociolinguistico fuori
della famiglia: i monolingui, i parenti e gli amici, la scuola, i compagni di giochi. Ma tratta
anche altri problemi potenziali: stiamo parlando della situazione in cui i figli sentono
un’avversione profonda per una delle lingue ma anche della situazione in cui il padre parla
una lingua diversa dalla sua lingua materna (Saunders, 1988).
Caldas (2006)
Nel 2006 è stato pubblicato da Stephen J. Caldas un altro case study di grande interesse in cui
ha studiato lo sviluppo linguistico dei suoi tre bambini durante 19 anni, dalla loro prima
infanzia alla fine della loro adolescenza. Spiega in modo dettagliato lo scopo che avevano lui
e sua moglie, cioè assicurarsi che i bambini parlassero in un modo molto scorrevole e senza
17
accento straniero sia l’inglese che il francese, ma anche fargli raggiungere un livello elevato
nello scrivere.
Durante la loro vita hanno sempre fatto sì che i bambini avessero un input francese e un input
inglese quasi uguali: nonostante la strategia di parlare solo francese a casa, i bambini erano
esposti più all’inglese che al francese, cosicché i bambini preferivano parlare inglese. I
genitori hanno cominciato a pianificare le vacanze d’estate in Québec per aumentare l’input
di francese, e la strategia ha dato buoni frutti. (Caldas, 2006)
La diversificazione
Negli ultimi vent’anni il numero di lavori pubblicati non ha smesso di aumentare in modo
esponenziale, ma non è solo stato il numero ad aumentare; anche gli argomenti sono sempre
più variati: vengono studiate combinazioni linguistiche particolari, il rapporto tra le due
lingue del bambino, il contesto e lo sviluppo fonologico. Più recentemente sono anche stati
pubblicati i primi studi sulla percezione ed i primi studi neurologici in cui si studia l’effetto
neurologico di stimoli linguistici (De Houwer, 2009).
Negli ultimi anni è stata soprattutto la diversità geografica ad aumentare in modo
spettacolare: prima gli studiosi di BFLA erano quasi tutti originari dell’Europa occidentale,
oggi invece la BFLA viene studiata da esperti con background etnici di paesi in tutto il
mondo come ad esempio l’Australia, la Cina, la Russia e gli Stati Uniti. Questa diversità
geografica è legata strettamente alla diversità delle lingue studiate, cosicché presto saremo
forse in grado di differenziare aspetti specifici nello sviluppo della BFLA per tale o tal’altro
contesto culturale (De Houwer, 2009).
2.2.3 Concetti e risultati principali degli studi sulla BFLA
Ritardo scolastico?
Molti genitori hanno paura di dare ai propri bambini un’educazione bilingue perché temono
che avrebbero un ritardo lessicale rispetto ai monolingui e che avrebbero difficoltà a scuola.
De Houwer si oppone a questa visione: ci sono diversi studi in cui non c’è nessuna differenza
di vocabolario tra i monolingui ed i bilingui, sia guardando il vocabolario totale, sia
guardando il vocabolario di ogni lingua separatamente.
Altri studi dicono che dipende dall’input: non ci sarebbe una differenza tra i monolingui e i
bilingui nella lingua con l’input maggiore, che dovrebbe essere almeno del 60%.
18
Considerando tutti gli studi, possiamo concludere che, in generale, il livello di produzione dei
bambini BFLA è paragonabile a quello dei monolingui della stessa età, sia nel vocabolario
totale, che in quello di una sola lingua (De Houwer, 2009, p.229).
Il code mixing
Il termine code mixing significa che i bambini si servono di elementi delle loro due lingue in
una sola espressione. Il code mixing si manifesta all’interno di una frase quando un bambino
parla la sua lingua debole e non riesce ad esprimere tutto quello che vuole. Ha bisogno di
una conoscenza linguistica più raffinata, e prende dunque in prestito una certa parola o una
struttura grammaticale della lingua dominante per supplire alla sua incapacità di esprimersi
nella lingua debole (Hoffmann & Stavans, 2007).
Si deve fare attenzione a non confonderlo con il code switching che, invece, si manifesta tra
le frasi e non indica delle lacune lessicali o grammaticali, ma è un fenomeno sensibile al
contesto: la persona cambia lingua secondo l’ambientazione, l’interlocutore, l’argomento,
l’attitudine o l’intenzione. La lingua che parla dipende da variabili sociolinguistiche
(Hoffmann & Stavans, 2007).
La one system hypothesis
Secondo Volterra e Taeschner (1978) il bambino nasce con un solo sistema linguistico: la one
system hypothesis, che si oppone alla two system hypothesis di cui si servono Padilla e
Liebman (1975). La one system hypothesis si appoggia sull’uso frequente di code mixing che
è, in effetti, la prova per eccellenza dell’inesistenza di due vocabolari separati, perché
significa che il bambino utilizza elementi delle due lingue in una sola espressione e dunque
non sa che dovrebbe adattare il suo vocabolario al suo interlocutore. Siccome i bambini
utilizzano le parole delle loro due lingue in modo mescolato, c’è solo un sistema innato
(Swain & Wesche, 1975). È poi compito del bambino scoprire piano piano che bisogna
differenziare tutte le parole e le strutture in due sistemi diversi (Genesee & Nicoladis, 1996,
p. 442).
19
Illustrazione 1: Due modelli dell’acquisizione linguistica bilingue (Takeuchi, 2006, p.13)
Il processo della differenziazione (Volterra & Taeschner, 1978)
La differenziazione può essere definita come il processo di sviluppare l’abilità di adoperare le
due lingue in modo appropriato con diversi interlocutori. Volterra e Taeschner hanno
suddiviso quel processo di differenziazione in tre stadi diversi: un primo stadio con un solo
sistema lessicale per entrambe le lingue (one system hypothesis), un secondo stadio in cui il
bambino ha già stabilito due sistemi lessicali, ma applica le regole sintattiche che conosce in
entrambe le lingue, e un terzo stadio in cui anche la sintassi è completamente differenziata,
cosicché il bambino ha due codici linguistici, ognuno con il proprio lessico e la propria
sintassi. A partire da quel momento è anche in grado di indirizzarsi ad una persona nella
lingua appropriata (Takeuchi, 2006, p.13 & Taeschner & Volterra, 1978).
Una tale differenziazione potrebbe essere associata specificamente ai genitori, perché i
bambini li sentono parlare una lingua ognuno, il che non garantisce che siano capaci di
adattare la loro lingua a quella di altri interlocutori. Per verificarlo, Genesee et al. (1996)
hanno realizzato uno studio in cui venivano osservate quattro famiglie. I bambini non solo
differenziavano le loro lingue rivolgendosi ai genitori, ma tre dei quattro bambini si
rivolgevano nella lingua appropriata anche ad interlocutori sconosciuti (Cenoz & Genesee,
2001, p.233).
L’età della differenziazione
Gli studi disponibili oggi indicano che, intorno ai due anni di età, i bambini BFLA sono in
grado di utilizzare le loro lingue in modo differenziato e appropriato ai contesti linguistici. In
effetti, sin dai due anni di età, si vede che il numero di espressioni con code mixing si riduce
sensibilmente. Genesee et al. (1995) hanno studiato il comportamento linguistico di bambini
BFLA francese-inglese dell’età di due anni nei confronti dei loro genitori. Anche se i bambini
20
mescolano ancora le lingue parlando ai loro genitori, il numero di espressioni nella lingua
materna era più elevato in presenza della madre che in presenza del padre, e anche vice versa
per la lingua paterna (Genesee & Nicoladis, 1996).
Il code mixing per riempire le lacune lessicali
Tanti bambini continuano ad utilizzare espressioni miste, il che non significa che gli manca la
differenziazione, ma che gli mancano i translation equivalents, cosicché fanno uso del code
mixing per riempire le loro lacune linguistiche. I bambini fanno appello all’intero vocabolario
che hanno a loro disposizione per poter esprimersi, e siccome le loro lingue non sono ancora
completamente sviluppate, a volte devono fare appello a una parola dell’altra lingua.
Quest’affermazione viene sostanziata da Genesee, Nicoladis & Paradis (1995) in uno studio
in cui hanno rilevato che i giovani bambini bilingui mescolano le lingue più quando parlano
la loro lingua debole rispetto alla loro lingua dominante (Genesee & Nicoladis, 2005). Il
numero di code-mixing cala man mano che il repertorio lessicale del bambino si estende
(Genesee & Nicoladis, 1996).
2.3 Trilingual First Language Acquisition
La TFLA è un campo di ricerca nuovissimo che assomiglia molto alla BFLA. Per quanto
riguarda i concetti ed i termini, rimangono in gran parte gli stessi che nella parte teorica della
BFLA. Nel tentativo di andare oltre quei concetti, vale la pena guardare qual è il metodo per
eccellenza per ottenere il trilinguismo attivo e percorrere gli studi ed i risultati principali.
2.3.1 Fattori decisivi per ottenere il trilinguismo attivo
Ancora più nel trilinguismo che nel bilinguismo diversi fattori influenzano lo sviluppo
trilingue: è molto più difficile dare una stessa quantità di input in tre lingue che in due; si
deve tener conto dell’input della lingua della comunità, dell’input proveniente dalla famiglia,
dell’input a scuola, e anche il prestigio di una lingua può accelerarne lo sviluppo. Inoltre lo
sviluppo dipende della severità dei genitori; se accettano risposte nell’altra lingua e dunque
smettono di insistere a parlare la loro lingua, il livello del bambino si abbasserà.
Sono già stati realizzati diversi studi in cui si tiene conto delle condizioni in cui cresce un
bambino trilingue, cosicché si può stilare un elenco di condizioni con un effetto positivo sullo
sviluppo del trilinguismo ed uno con gli effetti nefasti. Ovviamente, l’ambiente
21
sociolinguistico è un elemento primordiale; ogni cambiamento avrà un’influenza sullo
sviluppo linguistico.
La lingua della comunità
Esiste un certo numero di elementi in grado di aumentare il livello del trilinguismo attivo.
Stando allo studio di Barron-Hauwaert (2000) la migliore possibilità per diventare trilingue in
modo attivo è di bandire la lingua della comunità dalla casa (Chevalier, 2015, p.44). Non
basta che i genitori parlino un’altra lingua ai bambini, anche tra di loro è meglio non parlare
la lingua comunitaria. De Houwer (2004) ha rilevato lo stesso: una mancanza di trilinguismo
attivo è spesso da attribuire al fatto che la lingua della comunità viene utilizzata in casa
(Chevalier, 2015, p.50).
Ricco input delle lingue familiari
Un ricco input delle lingue familiari è fondamentale: si deve cercare di creare delle situazioni
monolingui per tutte le lingue (Barnes, 2006 in Chevalier, 2015, p.55), introdurre attività e
multimedia nelle diverse lingue come libri e story telling. Sarebbe una buona idea anche
insegnare attivamente le lingue familiari e promuovere la cultura e le tradizioni dei paesi di
origine (Wang, 2008 in Chevalier, 2015, p.65).
La motivazione dei genitori
Inoltre è un grande vantaggio che i genitori siano motivati a dare ai figli un’educazione
trilingue sotto tutti gli aspetti. Wang (2008) ha redatto una guida per i genitori in cui si
richiama alla propria esperienza: nel suo caso si tratta di una situazione in cui parrebbe
difficile ottenere il trilinguismo attivo perché vivono negli Stati Uniti, il padre parla francese,
la madre cinese e tra di loro parlano inglese. Nonostante ciò i due figli sono attivamente
trilingui.
Per ottenere un tale risultato c’è stato bisogno di un enorme sforzo da parte dei genitori, i
quali hanno dovuto fare sacrifici personali e ridurre il loro lavoro professionale.Il loro
impegno ha però dato frutto grazie ad esempio ad un approccio OPOL molto severo, un
grande input nelle lingue deboli, delle attività specifiche, l’insegnamento attivo delle lingue
familiari, visite in Cina ed in Svizzera, o la celebrazione delle feste tradizionali.
22
Va anche menzionato che nella maggior parte degli studi in cui è stato constatato un livello
elevato di trilinguismo attivo, uno dei genitori era il ricercatore. Era tra gli altri questo il caso
negli studi di Barnes, Dewaele e Wang (Chevalier, 2015, p.64).
Insistere
Nel suo studio del 2006, Cruz-Ferreira ha studiato l’acquisizione trilingue dei suoi tre
bambini. Cruz-Ferreira gli parlava il portoghese, il padre lo svedese e la lingua comunitaria
era l’inglese. Anche se il padre era molto impiegato professionalmente e l’input svedese era
dunque notevolmente inferiore a quello portoghese, i bambini hanno raggiunto il trilinguismo
attivo grazie all’approccio dei genitori, che hanno sempre insistito a parlare le lingue
familiari.
Lo stesso metodo è stato usato anche da Wang (2008) che parla cinese, suo marito francese e
vivono negli Stati Uniti. Benché i due bambini non avessero altri interlocutori cinesi e
francesi che i loro genitori, sono diventati attivamente trilingui perché i genitori hanno
sempre insistito a parlare le loro lingue.
In Montanari (2005) si vede l’inverso: all’inizio Kathryn parlava soprattutto il tagalog con
sua madre, ma man mano che ha cominciato ad acquisire l’inglese (lingua comunitaria) sua
madre ha accettato le espressioni in inglese e non ha insistito a parlare il tagalog, cosicché
Kathryn ha parlato l’inglese, la lingua che tutti capivano, sempre più spesso. Anche la sua
sorella maggiore ha avuto un’educazione trilingue, ma dal momento in cui ha cominciato la
scuola, il suo è diventato un trilinguismo passivo, il che potrebbe suggerire che questa sarà
anche la sorte di Kathryn.
Il prestigio delle lingue
Un altro aspetto in grado di promuovere il trilinguismo è il prestigio delle lingue: Dewaele
parla del prestigio del francese sulla base di un’intervista in cui la figlia dichiara che i suoi
amici fanno commenti come “I wish my dad spoke French with me” (Se solo mio padre
parlasse francese con me). Hélot (1988) e Wang (2008) sono anch’essi dell’idea che il
prestigio potrebbe essere un fattore motivazionale per fare propria una lingua.
Percezione del multilinguismo
A tale aspetto può essere legato anche l’aspetto della percezione sul multilinguismo di
genitori, parenti, amici e della comunità in generale. Ci sono scuole in cui le maestre
23
sconsigliano di crescere bambini trilingui perché il loro livello della lingua scolastica sarebbe
troppo basso. In base ad una tale percezione diversi genitori decidono di mettere fine
all’educazione trilingue dei loro figli.
I rischi
Oltre alla presenza della lingua comunitaria in casa, Faingold (1999) presenta altri elementi
svantaggiosi per il trilinguismo: i bambini possono rifiutare di parlare le lingue familiari
perché ci sono troppo poche persone con cui possono parlarle, perché le lingue soffrono di
uno status basso, o perché hanno capito che i genitori parlano anche la lingua comunitaria
(Chevalier, 2015, p.42).
Kazzazi (2011) aggiunge ancora che l’asilo e la scuola full-time aumentano l’input della
lingua della comunità e sono nefasti per lo sviluppo delle lingue familiari. Inoltre il rischio di
fallire nel trilinguismo diventa più elevato se i genitori non sono abbastanza rigidi
nell’utilizzare l’OPOL.
Applicazione dei fattori nello studio di Chevalier (2012)
Chevalier (2012) ha effettuato uno studio sul ruolo della motivazione dei genitori e dei
parenti nello sviluppo trilingue di due bambini. I livelli linguistici dei due bambini erano
molto diversi benché tutti gli interlocutori parlassero in modo coerente la loro lingua materna.
Ha analizzato i loro livelli sulla base delle conclusioni anteriori citate sopra.
Il bambino studiato, Elliot, vive nella parte francofona della Svizzera, la madre parla
l’inglese, il padre il tedesco svizzero e tra di loro parlano inglese. Ha cominciato ad imparare
il francese in asilo a partire dai 7 mesi. La bambina studiata, Lina, vive nella parte
tedescofona della Svizzera, la madre parla il tedesco svizzero, il padre il francese e tra di loro
parlano inglese. Elliot è attivamente trilingue, Lina parla soprattutto il tedesco, abbastanza
bene l’inglese, ma non parla quasi mai il francese (Chevalier, 2012).
Il primo vantaggio di Elliot è la combinazione delle lingue: come hanno consigliato Barron-
Hauwaert e De Houwer, la lingua della comunità non era presente in casa. Nel caso di Lina,
invece, era presente, anzi era la lingua che sentiva di più perché la madre è sempre a casa e il
padre lavora a tempo pieno. Un secondo vantaggio è che Elliot aveva un gran numero di
contatti che parlavano le sue lingue familiari. Lina non aveva tanti contatti e non aveva
24
l’impressione di vivere in una comunità diversa da quella della Svizzera tedescofona
(Chevalier, 2012).
L’altro elemento molto importante è la promozione delle lingue: Elliot non aveva molto
contatto con la sua lingua paterna, ma grazie allo stile di conversazione del padre riesce a
parlarla. Con Lina invece, l’importanza della promozione diventa ancora più chiara: grazie
allo stile di conversazione e alla motivazione della zia che parlava inglese, Lina era in grado
di parlare l’inglese molto meglio del francese, benché sentisse molto più il francese
dell’inglese. Verso il suo terzo compleanno, il padre ha cominciato a fare delle sessioni di
tipo “didattico”, cosicché il livello di francese di Lina è aumentato in modo considerevole
(Chevalier, 2012).
Infine, l’inglese era in entrambe le famiglie la lingua che i genitori parlavano tra di loro; agli
occhi dei bambini, l’inglese potrebbe aver goduto di un certo status, cosicché erano più
motivati ad impararlo, come avevano anche detto Dewaele, Hélot e Wang.
Conclusione
Si può quindi concludere che tutti i fattori enumerati negli studi percorsi sopra hanno davvero
una grande influenza sullo sviluppo trilingue e che la motivazione è molto importante ed
ampiamente influenzata dai genitori e dagli altri interlocutori (Chevalier 2012).
In breve, c’è una visibile correlazione tra il contesto sociolinguistico e il livello del
trilinguismo. Bisogna seguire l’OPOL in modo rigido, intraprendere passi specifici per
promuovere le lingue deboli, cercare una varietà di contatti nelle lingue familiari, fare appello
a diversi media, insistere ad utilizzare le lingue familiari.
2.3.2. Studi sulla TFLA e risultati principali
Montanari (2009a) e Quay (2008) hanno mostrato che i bambini con un’educazione trilingue
possono presentare i primi segni di differenziazione già intorno all’età di 1;10. Benché ci
siano ancora tanti code switch nella lingua sbagliata a causa di lacune lessicali, è chiaro che i
bambini sono in grado di modificare la loro lingua in base ai loro destinatari.
Questi studi indicano che i bambini trilingui sarebbero capaci di differenziare le loro lingue
intorno ai due anni di età, come i bilingui. Il bambino studiato in Quay (2001) invece aveva
molte difficoltà a parlare le sue lingue deboli tra l’età di 1;1 e 1;10, il che suggerisce che non
25
tutti i bambini con un educazione trilingue finiranno parlando le tre lingue, come non tutti i
bambini bilingui parlano le due lingue.
Il vantaggio delle lingue tipologicamente vicine
Un certo numero di studi ha mostrato che l’interazione delle due lingue di un bambino
bilingue potrebbe aiutare il processo di acquisizione in un tale modo che lo sviluppo
linguistico dei bilingui procede alla stessa velocità di quello dei monolingui, anzi più veloce
per certe costruzioni linguistiche. In questi studi (Fabiano-Smith & Barlow, 2010; Fabiano-
Smith & Goldstein, 2010b; Gawlitzek-Maiwald & Tracy, 1996; Goldstein & Bunta, 2012) i
bambini stavano acquisendo delle lingue che si sovrappongono sia strutturalmente, sia
fonologicamente.
Anche la bambina studiata da Montanari (2010) stava imparando delle lingue con una
sovrapposizione fonologica e lessicale relativamente elevata. Le lingue con molti foni simili
hanno aiutato la bambina a costruire tre sistemi diversi nello stesso periodo in cui i
monolingui ne costruiscono uno. Alla sua età di due anni, il 28% del vocabolario della
bambina erano dei neutral cioè parole che hanno lo stesso significato e la stessa pronuncia in
due o più lingue. Queste parole hanno aiutato la bambina a comunicare in modo efficace nelle
tre lingue senza il sovraccarico mentale di imparare tre etichette per ogni concetto. Ai neutral
si aggiungono le parole affini, ed insieme suggeriscono che il trilinguismo attivo potrebbe
essere raggiunto più facilmente nell’ambito di lingue affini.
La mutua esclusività (disambiguazione)
La mutua esclusività è la tendenza ad associare una nuova parola ad un nuovo oggetto
piuttosto che ad un oggetto familiare. I monolingui mostrano chiaramente l’uso della
disambiguazione, i bilingui mostrano un uso marginale ed i trilingui non fanno la
disambiguazione.
Beyers-Heinlein e Werker suggeriscono che lo sviluppo della disambiguazione viene
influenzato dalla struttura piuttosto che dalle dimensioni del vocabolario. Imparando diverse
lingue, i bilingui ed i trilingui acquisiscono i translation equivalents, i quali mettono in crisi
l’idea della disambiguazione, cioè una parola per un concetto. Questi bambini si sono già
abituati al fatto che un concetto può avere diverse parole e proprio per questo motivo non
hanno per forza la tendenza ad attribuire una nuova parola ad un nuovo oggetto, e dunque
non fanno la disambiguazione (Byers-Heinlein & Werker, 2009).
26
2.4 Translation Equivalents
I translation equivalents, ovvero le parole in lingue diverse che si riferiscono allo stesso
referente, sono legati al principio della mutua esclusività, che stabilisce che ogni referente
dovrebbe essere legato ad una sola parola (Clark, 1987). Se un bambino comincia ad
utilizzare translation equivalents, viola il principio della mutua esclusività e in quel momento
sta dunque oltrepassando la fase del “sistema unico” per entrare nella nuova fase in cui ha
due sistemi diversi (Genesee & Nicocadis, 1996, p.444).
La composizione dei TE
Il TE si compone sempre di un singlet e un doublet; emerge prima il singlet, cioè il bambino
pronuncia una parola che ha già sentito in entrambe le lingue, ma non ha ancora pronunciato
in nessuna lingua. Dopo il singlet può emergere anche il doublet: in quel momento il bambino
ha pronunciato entrambe le parole e si può dunque parlare di TE (De Houwer, 2009, p.220).
Insomma, il bambino può pronunciare (De Houwer, 2009, p.238):
Neutral: stessa parola in entrambe le lingue
Singlet: ha sentito il TE, ma produce solo una delle due parole
Doublet: produce il TE
Parole senza traduzione lineare
Nel caso del trilinguismo vengono ancora aggiunti i triplet dopo che sono stati acquisiti i
doublet.
I TE e la differenziazione
I primi translation equivalents emergono quando comincia il processo della differenziazione.
In quel momento, comunque, vengono ancora utilizzati in modo inadeguato; meno della metà
viene utilizzata esclusivamente in modo appropriato. È solo quando il processo della
differenziazione è stato completato che i TE vengono utilizzati in modo adeguato.
Differenziate le espressioni, i bambini si servono dei loro TE in modo appropriato in oltre
l’80% dei casi (Genesee & Nicoladis, 1996, p. 459).
Quella tendenza è relativa; in generale è così ma ci sono anche delle eccezioni. Oltre
all’emergenza dei TE seguita dalla differenziazione, De Houwer (2009, p.240) presenta due
27
altre possibilità: la differenziazione che emerge prima dei primi TE e la via di mezzo in cui
emergono allo stesso momento la differenziazione e i primi TE.
Evitare i sinonimi?
I primi studiosi, in particolare Volterra e Taeschner, hanno affermato che, nella prima fase
dello sviluppo lessicale, i bambini che stanno acquisendo due lingue simultaneamente
tendono a rifiutare i TE (la mutua esclusività), perché hanno un sistema lessicale unitario in
cui un concetto può avere solo un item lessicale. È solo quando si rendono conto del fatto che
hanno a che fare con diverse lingue che cominciano ad acquisire sinonimi tra le lingue.
L’idea per cui i bambini evitano sinonimi è stata rinforzata anche da Clark (1987): tutti i
bambini vivono una fase di rifiuto dei sinonimi, ma quel periodo potrebbe essere più breve
per i bambini bilingui che per i monolingui.
Recentemente, invece, diversi scienziati hanno scoperto che i bambini bilingui non rifiutano i
sinonimi, neanche nelle prime 50 parole. Uno studio di Deuchar e Quay (2000) ha rilevato
che i bambini studiati avevano un equivalente per il 27% delle loro prime 50 parole. Lanvers
(1999) ha studiato un bambino bilingue tedesco-inglese dall’età di 1;1 a 2;11 ed ha osservato
che la percentuale di acquisizione di equivalenti non è mai scesa sotto il 25% durante il
periodo dello studio. I bambini bilingui costruiscono dunque molto presto, anzi, forse già con
le prime parole, due lessici separati.
Stando ad uno studio di Genesee e Nicoladis (2009), una proporzione di TE di 20-25% può
essere considerata come prova della differenziazione lessicale. Montanari (2013), nel suo
studio sul trilinguismo, si concentra dunque sulla percentuale di TE: all’età di 1;6, la bambina
trilingue tagalog-spagnolo-inglese raggiunge una percentuale di 15,0%, all’età di 1;7 una
percentuale di 26,6%. Così si può concludere che la bambina stava sviluppando dei lessici
separati tra l’età di 1;6 e 1;7.
Lanvers (1999) ha redatto un tale studio con risultati molto simili: fino all’età di 1;6 14 dei 34
TE osservati erano utilizzati in un contesto sbagliato, all’età di 1;7 l’acquisizione dei TE è
diventata regolare e sistematica con, in media, un’acquisizione mensile del 30% di TE. A
partire da 1;8, il bambino conosceva in modo conseguente più parole con TE che senza.
28
La bilingual bootstrapping hypothesis (Lanvers, 1999)
Montanari (2013) ha anche notato che, benché l’input di inglese e spagnolo ricevuto dalla
bambina studiata fosse ristretto, il numero di triplet ha cominciato ad aumentare in modo
significativo tra l’età di 1;8 e 1;9, e questa tendenza si è prolungata nei mesi seguenti.
L’intervallo medio tra l’apparizione di una parola e il primo TE durante l’intero periodo dello
studio, cioè da 1;4 a 2;0, era di 66 giorni; l’intervallo tra il primo TE e il secondo, dunque il
triplet, era di 30 giorni. Ciò significa che il grande numero di doublet non ha impedito
l’entrata dei triplet; al contrario, i doublet hanno accelerato l’acquisizione del secondo TE
(Montanari, 2013).
Montanari sostiene così la bilingual lexical bootstrapping hypothesis di Lanvers (1999), nel
senso che l’acquisizione di equivalenti è facilitata dall’esperienza anteriore di un concetto da
parte del bambino. La differenziazione e l’acquisizione degli equivalenti non impedisce
dunque la crescita generale del lessico. L’apparente facilità di acquisizione dei TE si potrebbe
spiegare con il fatto che si tratta di un concetto familiare e che l’unico compito del bambino è
di mappare una nuova forma sul concetto (Lanvers, 1999).
Sottoestensione e sovraestensione
Dalla letteratura a noi disponibile emerge che tutti i bambini BFLA studiati producono dei
TE entro i due anni di età. Può comunque essere difficile verificare se per il bambino le
parole hanno davvero lo stesso significato perché potrebbe utilizzare una parola con
sottoestensione ma anche con sovraestensione, cioè utilizzare una parola rispettivamente in
un modo troppo ristretto o in un modo troppo ampio.
Un esempio: un bambino produce entrambe le parole car e auto, ma con la parola car si
riferisce solo alla macchina di famiglia e con la parola auto alla macchina della zia, benché
abbia sentito entrambe le parole per entrambe le macchine (De Houwer, 2009, p.230).
Proprio per questo motivo alcuni studiosi, tra cui Quay (1995), che hanno analizzato il
numero di TE, hanno scelto di limitarsi ai casi in cui le due parole venivano utilizzate
entrambe per riferirsi ad uno stesso oggetto prima di definirle come TE. In generale, si
impiega il termine TE per le parole che potrebbero essere considerate come TE dal punto di
vista degli adulti (De Houwer, 2009, p.230).
29
Lo sviluppo dei TE
Come detto sopra, la dimensione del vocabolario, sia dei monolingui che dei bilingui, è molto
variabile, e questo vale anche per i TE: il primo TE può emergere già tra le prime parole che
il bambino produce intorno ai 10 mesi, ma può anche arrivare solo all’età di quasi due anni.
Una tale osservazione potrebbe essere legata alle grandi differenze nell’età di emergenza
della prima parola, ma anche alle grandi differenze nella durata del periodo che intercorre tra
la produzione della prima parola nella lingua A e la prima parola nella lingua Alpha (De
Houwer, 2009, p.231).
Non deve sorprendere poi che anche il numero e la proporzione dei TE differiscano in modo
considerevole; la proporzione dei TE di un bambino può anche variare con il tempo
(David&Li, 2008). Nicoladis (1998) per esempio ha studiato un bambino che ha prodotto 10
TE (20 parole) su un totale di 85 parole, cioè il 23,5% delle sue parole. Nel suo case study,
Mcclure (1997) ha trovato 77 TE su un totale di 258, cioè quasi il 30%, e Vila (1984) solo 14
su un totale di 247, ovvero il 5,7% (De Houwer, 2009, p.233).
Fattori di influenza sullo sviluppo dei TE
Ci sono molti elementi che hanno un’influenza sullo sviluppo dei TE; tra altri la
combinazione delle lingue, ma anche la forma delle parole stesse. Schelletter (2002) ha
suggerito che i bambini sono aiutati se i TE si assomigliano; Celce-Murcia (1978) invece ha
constatato che sua figlia era troppo confusa quando le parole erano simili. Per quanto
riguarda le parole molto distinte, potrebbe essere che i bambini evitino la parola
foneticamente più complicata e dunque capiscono entrambe, ma producono solo la parola più
facile (Celce-Mucia, 1978); ciò sembra comunque poco probabile perché i bambini spesso
producono parole difficili semplificandole foneticamente (De Houwer, 2009, 236).
Ovviamente, anche la combinazione delle lingue può avere un’influenza sullo sviluppo dei
TE: le lingue lessicalmente molto diverse come l’olandese e il francese presentano
chiaramente meno parole neutrali, cioè traduzioni “invisibili” (perché la pronuncia è la
stessa), rispetto alla combinazione spagnolo-catalano, per esempio, e svilupperanno dunque
proporzionalmente più TE e meno neutral. Guardiamo il bambino studiato da Vila: produceva
un numero di TE molto basso, ma siccome parlava lo spagnolo e il catalano produceva un
gran numero di parole neutrali. Il numero di TE o di neutral che servono al bambino nella sua
30
vita quotidiana dipende dunque dalla relazione etimologica tra le due (o più) lingue (De
Houwer, 2009, p.220).
Montanari (2010)
Nello studio “Translation Equivalents and the Emergence of Multiple Lexicons in Early
Trilingual Development” (2010), che sarà molto citato nell’analisi dei dati, Montanari si
concentra su due obiettivi: in primo luogo studiare in che misura sono rappresentati i TE
foneticamente distinti in forma di doublet e triplet nel lessico della bambina; in secondo
luogo, verificare se la produzione di TE nello sviluppo lessicale trilingue è paragonabile a
quello bilingue. Siccome si tratta di tre etichette invece di due per un uno stesso referente, è
interessante porsi la domanda se i sinonimi si presentano prima o ad un ritmo più veloce
rispetto al bilinguismo.
I risultati hanno mostrato che i TE erano prodotti ad un’età molto giovane, in modo simile ai
bambini bilingui. Comunque, secondo lo studio, per raggiungere un numero elevato di
equivalenti, l’input in ogni lingua gioca un ruolo importante. E come confermato nel suo
studio del 2013, in questo studio aveva già constatato che un bambino impiega meno tempo
ad acquisire il secondo TE rispetto al primo, il che suggerisce che l’acquisizione del doublet
potrebbe accelerare l’acquisizione del triplet. Tali risultati saranno più ampiamente esaminati
nell’analisi dei dati.
31
3. Metodologia
I dati utilizzati nel presente studio vengono da una ricerca sulla TFLA di una bambina, Eva,
nata e cresciuta nei Paesi Bassi con un padre italiano e una madre spagnola. Sin dalla nascita
ha sentito lo spagnolo e l’italiano, e l’olandese a partire dai 6 mesi di età. In questo lavoro
vengono studiati lo sviluppo linguistico ed in particolare i translation equivalents di Eva,
dalla nascita ai due anni di età.
3.1 La raccolta dei dati
I genitori hanno annotato tutte le parole e le frasi che Eva ha usato e ogni mese hanno
aggiunto quante ore ha passato all’asilo e quando ha visto i nonni spagnoli e italiani. Per
ragioni di spazio, si è deciso di concentrarsi sullo sviluppo lessicale e di non tener conto di
quello sintattico.
Il padre ha stilato un documento con tutte le parole e le frasi che Eva ha prodotto fino ai due
anni, segnandole definitivamente solo dopo essersi assicurato di averle sentite almeno due
volte. Si deve sapere che lui e sua moglie hanno sentito quelle parole di persona, e quindi è
possibile che all’asilo Eva usasse parole che non usava con i genitori. In generale, si
tratterebbe comunque di casi molto rari, dato che anche il personale dell’asilo era attento alle
novità linguistiche di Eva. Per avere un’idea più chiara del suo vocabolario in olandese, sono
state anche effettuate tre registrazioni di venti minuti in cui Eva giocava con gli altri bambini
o con le maestre, ma non sono emerse parole nuove.
3.2 La ricostruzione del lessico
I dati sono stati analizzati e suddivisi in liste e tabelle. In primo luogo si è stilata una lista di
vocabolario in olandese, italiano e spagnolo. Le parole che sono le stesse nelle tre lingue sono
inserite in una colonna particolare, chiamata neutral. Queste parole sono neutrali, hanno
(pressoché) la stessa pronuncia e lo stesso significato in tutte e tre le lingue. Anche i nomi
propri fanno parte di quei neutral. Immediatamente, però, sono sorti alcuni problemi.
32
Le onomatopee
Cosa fare con le onomatopee? Eva ha utilizzato diverse onomatopee, spesso di animali, come
bau bau, hiiii, pio pio, ma anche altre come dlin dlin per “bici” e tuu-tuu per “treno”. Non si
tratta di parole vere e proprie, e comunque è stato deciso di considerarle come le altre parole.
S. Quay (2011) ha effettuato uno studio che parla dell’effetto delle onomatopee sui bambini
trilingui. Si tratta di due bambini trilingui che sentono il giapponese solo all’asilo. Il loro
livello di giapponese era chiaramente più elevato dei livelli delle lingue che parlavano a casa.
Quay ha rilevato che l’alto livello del giapponese è merito dell’approccio delle maestre, che
utilizzano un numero alto di espressioni sostenute da gesti simbolici e onomatopee. Questi
tipi di comunicazione permettono di rinviare direttamente al significato. I gesti ed i suoni
aiutano i bambini a capire più facilmente quello che viene detto, ed aiutano anche nella
riproduzione perché sono meno complicati da esprimere delle parole vere e proprie.
Risulta dunque provata l’importanza delle onomatopee nello sviluppo linguistico dei
bambini. La dominanza del giapponese dei bambini trilingui è probabilmente il risultato di
aver sentito molto più spesso tali espressioni in giapponese che nelle altre lingue. È questo il
caso anche per Eva: per lei tuu-tuu significa veramente il veicolo sul binario e non solo il
suono che fa. Ecco perché si è deciso di introdurre le onomatopee nelle liste come parole vere
e proprie. Come le parole neutrali, anche le onomatopee che sono uguali nelle tre lingue
stanno nella lista dei neutral.
Casi particolari
Si tratta per esempio di parole che esistono sia in italiano sia in spagnolo, ma che hanno un
significato diverso. Per sapere in che lingua Eva utilizza la parola, si è dovuto chiederlo al
papà. Chiarifichiamo con il caso di buco e burro: buco in spagnolo significa “caprone” e
burro significa “asino”. Grazie al contesto è facile sapere di quale significato si tratta.
Utilizza buco solo in italiano e burro sia in italiano che in spagnolo.
Un caso molto simile, ma un po’ più difficile da distinguere, è quello di topo perché topo in
spagnolo significa “talpa”. Stiamo parlando di due animali che inoltre si assomigliano molto.
È dunque difficile sapere se si sta parlando del topo o della talpa. Nel caso di Eva sappiamo
che chiama entrambi gli animali topo perché ha un puzzle in cui sono rappresentati entrambi
e dice topo per tutti e due. Sono dunque inseriti nella lista come due parole diverse.
33
3.3 La codificazione dei Translation Equivalents
Dopo le liste di vocabolario si sono stilate delle liste con i translation equivalents, ovvero le
parole che Eva conosce (ed esprime) già in due o tre lingue, cosicché c’è una lista con i
triplet Nl-Sp-It e una per ogni combinazione di doublet: Sp-It, Nl-It e Nl-Sp. Nella fase
successiva sono state calcolate le percentuali dei nuovi TE sul vocabolario cumulativo per
ogni mese e sono stati esaminati gli intervalli tra la prima apparizione di una parola e il suo
primo e secondo TE.
Casi particolari
In diversi casi sorgono dubbi. Alcune parole imparentate (cognates) hanno la stessa
pronuncia e lo stesso significato in italiano che in spagnolo. È ovvio che non si tratta di
traduzioni, dunque translation equivalents, ma di parole neutrali. Alcuni esempi sono: tazza –
taza, partire – partir e bagno – baño.
C’è anche un grande numero di parole con lo stesso significato che si assomigliano
foneticamente in spagnolo e in italiano. Se si trattasse di un adulto con una perfetta
padronanza delle due lingue, le parole sarebbero in ogni caso considerate come TE, ma Eva
pronuncia i TE nello stesso modo. Siccome Eva le utilizza come parole neutrali, è stato
deciso di inserire queste parole nella lista dei neutral e non in quella dei TE. Alcuni esempi
sono: riccio – erizo, piatto – plato e aiutare – ayudar.
Infine, succede anche che la bambina “fonda” le due lingue. Un caso specifico è quello di
“yogurt – yogur”. Eva pronuncia chiaramente come in italiano la –t finale, che non c’è in
spagnolo, ma mette l’accento alla spagnola, cioè sulla u anziché sulla o come in italiano.
Come sopra, anche in questo caso non è chiaro se si tratta della parola spagnola o italiana e
viene dunque inserita tra i neutral.
34
4. Domande di ricerca e ipotesi
Nella parte empirica e analitica vengono studiati diversi aspetti dell’acquisizione trilingue. Il
primo aspetto studiato è lo sviluppo lessicale, in cui ci si sofferma sul numero di parole in
generale e in ogni lingua separata, sul ruolo dei neutral, sulla questione dei verbi e dei nomi e
si fa il paragone con i monolingui, i bilingui e Kathryn, una bambina trilingue studiata da
Montanari (2010).
La seconda parte è il centro dello studio con lo sviluppo dei translation equivalents. Si guarda
il numero di TE in ogni lingua e si fa il paragone con i bilingui. Inoltre viene fatta la
distinzione tra i doublet e i triplet e viene esaminato se una certa combinazione di lingue
possa essere privilegiata in rapporto alle altre. Come ha detto De Houwer (2009) dipende in
larga misura dalle relazioni etimologiche tra le lingue. Siccome l’italiano e lo spagnolo sono
lingue romanze e l’olandese è una lingua germanica, si potrebbe partire dal presupposto che
le conoscenze in italiano e spagnolo si assomiglino e si separino dall’olandese, il che
potrebbe anche manifestarsi nello sviluppo lessicale in generale.
L’ultima parte riguarda gli intervalli: sono gli stessi durante l’intero periodo di studio, o si
manifesta un’evoluzione? Gli intervalli dei doublet e triplet sono comparabili? La bilingual
lexical bootstrapping hypothesis di Lanvers (1999), suggerisce che gli intervalli dei triplet
sarebbero meno larghi di quelli dei doublet siccome il concetto è già più familiare per il
bambino. Infine viene anche fatto il paragone degli intervalli tra le diverse lingue, il che non è
mai stato fatto prima. È dunque chiaro che gli eventuali risultati possono solo essere
un’indicazione e non vanno considerati come una prova.
Il filo conduttore nell’intera analisi dei dati sono tre scopi principali: verificare se Eva può
essere considerata un caso “normale” sulla base del suo sviluppo linguistico, confermare o
inficiare l’ipotesi del ritardo lessicale dei trilingui su bilingui e monolingui, e in ultimo
esaminare se una lingua o una combinazione di lingue è favorita.
In generale, partendo dal presupposto che il caso di Eva è un caso “normale”, si potrebbe,
secondo i risultati dello studio di Montanari (2010), inficiare l’ipotesi del ritardo lessicale e
constatare che il livello delle lingue non è uguale.
35
5. Analisi dei dati
L’analisi si è svolta in gran parte sulla base dello studio di Montanari del 2010, ‘Translation
Equivalents and the Emergence of Multiple Lexicons in Early Trilingual Development’, in
cui si studia lo sviluppo lessicale di Kathryn, bambina trilingue in tagalog, spagnolo e
inglese. La maggiore differenza tra i due studi è che nel presente studio è stata prestata una
maggiore attenzione alla combinazione delle lingue e a come si influenzano, mentre
Montanari ha soprattutto esaminato lo sviluppo in generale.
5.1 Lo sviluppo lessicale
Il numero di parole
La lista di vocabolario mostra quanto è grande il vocabolario attivo di Eva a due anni di età.
Ha già pronunciato 62 (17,1%) parole specifiche della lingua olandese, 110 (30,3%) parole
spagnole e 96 (26,4%) parole italiane. Produce inoltre 34 parole neutrali in tutte e tre le
lingue, alle quali si aggiungono altre 61 parole neutrali spagnolo-italiano (insieme 26,2%).
Per sapere quante parole diverse conosce, si deve dunque fare la somma totale:
62+110+96+34+61 = 363.
Grafico 1: Lo sviluppo lessicale di Eva
0
10
20
30
40
50
60
70
80
90
100
110
120
1.4 1.5 1.6 1.7 1.8 1.9 1.10 1.11 2.0
Olandese Spagnolo Italiano Neutral
36
Grafico 2: Lo sviluppo lessicale di Kathryn (Montanari, 2010)
Kathryn, la bambina studiata da Montanari (2010), aveva a 2 anni di età un vocabolario
produttivo di 297 parole di cui 68 (22,9%) in Tagalog, 84 (28,3%) in inglese, 62 (20,9%) in
Spagnolo e 83 (27,9%) erano neutrali. Una prima constatazione è che il vocabolario di Eva è
già più esteso di quello di Kathryn, ma il vocabolario di Kathryn, con tutte le percentuali tra il
20,9% e il 28,3%, è più equilibrato tra le tre lingue di quello di Eva, con percentuali tra il
17,1% e il 30,3%.
Lo sviluppo del vocabolario
Il grafico sotto (Tabella 1) mostra già che il numero di parole aumenta gradualmente con i
mesi. All’inizio è ancora un po’ incerto: aumenta, diminuisce, aumenta. È però preferibile
non concentrarsi sull’inizio perché il vocabolario è ancora molto limitato e potrebbe dunque
non essere rappresentativo. A partire da un anno e quattro mesi di età piano piano il numero
di nuove parole al mese comincia a crescere notevolmente.
Mesi Nuove parole
0.6-1.0 6
1.1 11
1.2 6
1.3 3
1.4 12
1.5 18
1.6 16
1.7 57
1.8 42
1.9 47
1.10 59
1.11 86
Tabella 1: Il numero mensile delle nuove parole di Eva
37
Il ruolo dei neutral
C’è un fattore che nel presente studio rende ancora più disequilibrato il vocabolario. Se
guardiamo le parole neutrali di Eva, ce ne sono 34 per le tre lingue e 61 per lo spagnolo e
l’italiano. Non c’è nessun neutral olandese-italiano o olandese-spagnolo, il che disequilibra il
vocabolario.
Parole
specifiche
Neutral
OL-SP-
IT
Neutral
SP-IT
Neutral
OL-IT
Neutral
OL-SP
TOTALE
OL 62 34 - 0 0 96 96/363 25,6%
SP 110 34 61 - 0 205 205/363 56,5%
IT 96 34 61 0 - 191 191/363 52,6%
Tabella 2: Il numero di parole con cui Eva può esprimersi in olandese, spagnolo e italiano
Con le sue 363 parole Eva ha la possibilità di esprimersi in olandese con solo il 25,6% delle
sue parole, in italiano sale al 52,6% e in spagnolo fino al 56,5%. È chiaro che in numero il
suo vocabolario spagnolo è comparabile a quello italiano e che quello olandese è molto
inferiore.
Montanari (2010) non ha inserito una tale tabella, ma con i dati presenti nel suo studio si può
farla.
Parole
specifiche
Neutral
OL-SP-
IT
Neutral
TAG -
SP
Neutral
TAG-
ING
Neutral
SP-ING
TOTALE
TAG 68 15 50 17 - 150 150/297 50,5%
SP 62 15 50 - 1 128 128/297 43,1%
ING 84 15 - 17 1 117 117/297 39,4%
Tabella 3: Il numero di parole con cui Kathryn può esprimersi in tagalog, spagnolo e inglese
Con le sue 297 parole, Kathryn può fare appello ad oltre la metà del suo vocabolario per
esprimersi in tagalog, può utilizzare il 43,1% per esprimersi in spagnolo e il 39,4% in inglese.
Senza tener conto dei neutral, l’inglese sembra essere la lingua dominante, ma considerando
anche i neutral, l’inglese diventa la lingua più debole e il tagalog la lingua dominante.
38
Comunque, le proporzioni rimangono considerevolmente più equilibrate rispetto ai dati di
Eva.
Lo sviluppo dei neutral
1;4 1;5 1;6 1;7 1;8 1;9 1;10 1;11 2;0
Neutral Eva 9 10 18 25 45 53 63 75 95
Neutral Kath. 7 15 17 30 32 55 65 75 83
Tabella 4: Il numero di neutral di Eva e Kathryn
Lo sviluppo dei neutral di Eva e Kathryn procede in un modo estremamente simile; ogni
bambina ha dei mesi in cui emergono molti neutral (per esempio Eva tra 1;7 e 1;8 e Kathryn
tra 1;8 e 1;9) e mesi meno produttivi (per esempio Eva tra 1;4 e 1;5 e Katrhyn tra 1;7 e 1;8).
In totale Eva usa 12 neutral più di Kathryn, ma guardando la proporzione dei neutral in
rapporto al numero del vocabolario totale, si riviene più o meno ad una stessa percentuale,
rispettivamente 26,1% e 27,9%.
Schelleter (2002) ha effettuato uno studio sul numero delle parole identiche e simili prodotte
da un bambino bilingue tedesco-inglese tra l’età di 1;11 e 2;9. Quasi la metà (il 46%) del suo
vocabolario nominale erano delle parole identiche o simili nelle due lingue. Ciò potrebbe
suggerire che i bambini multilingui tendono ad acquisire il più possibile delle parole simili
all’inizio del loro sviluppo lessicale. Queste parole gli permettono di parlare diverse lingue
con uno sforzo minimo (Montanari, 2010).
La percentuale dei neutral di Eva e Kathryn non è tanto elevata (rispettivamente 26,1% e
27,9%), tuttavia si deve tener conto del fatto che si tratta dell’intero vocabolario e non solo
del vocabolario nominale come nello studio di Schelleter.
Il paragone con monolingui e bilingui
Per invalidare la visione secondo cui i bambini trilingui avrebbero un ritardo lessicale, si deve
fare un paragone con i monolingui ed i bilingui. Il grafico 3 mostra il vocabolario cumulativo
di Eva, Kathryn ed i 60 bilingui e monolingui studiati da Pearson, Fernández e Oller (1993).
L’ultima categoria è quella del vocabolario concettuale di Kathryn.
39
Grafico 3: Il vocabolario di Eva comparato a quello di Kathryn, i bilingui e i monolingui
studiati da Pearson, Fernández e Oller (1993)
Il vocabolario concettuale misura le conoscenze dei concetti, mentre il vocabolario
cumulativo misura il numero totale delle parole che una persona conosce. In pratica significa
che nel vocabolario cumulativo vengono contati anche i TE, ciò che non succede per il
vocabolario concettuale. Entrambi sono rappresentati perché entrambi vengono utilizzati per
misurare il vocabolario di multilingui nel caso in cui si volesse fare il paragone con i bilingui
ed i monolingui (Patterson & Pearson, 2004).
La situazione in cui si paragonano due individui alla media di un gruppo non è ideale, ma
comunque il grafico indica che il vocabolario di Eva ai due anni di età è già ben più esteso di
quello medio di monolingui e bilingui. Va sottolineato che si tratta di valori medi, dietro ai
quali c’è un’enorme variazione, come spiegato in 2.1. Nei primi mesi dello studio Eva rimane
un po’ al di sotto della media, ma intorno all’età di 1;8 oltrepassa la media dei monolingui, e
poi da quella dei bilingui intorno a 1;9. Le linee di Eva e di Kathryn sono molto comparabili,
tranne il fatto che Eva ha sempre un certo vantaggio.
Intorno all’età di 1;11 Eva aveva già prodotto 277 parole e Kathryn 251: la differenza con i
bilingui ed i monolingui, con rispettivamente 168 e 155 parole, è notevole. Si deve però
anche considerare il vocabolario concettuale. È chiaro che le differenze sono molto più sottili,
e si potrebbe dire che lo sviluppo del vocabolario concettuale di Kathryn è in linea con lo
sviluppo dei monolingui e bilingui (Montanari, 2010). Il vocabolario concettuale di Eva non è
stato misurato al mese, ma all’età di 2 anni Eva aveva un vocabolario concettuale di 294
parole, il che equivale più o meno al vocabolario cumulativo di Kathryn, e rimane ben oltre il
numero di parole medio dei monolingui e dei bilingui.
40
La questione dei verbi e dei nomi
All’inizio il vocabolario dei bambini è ancora molto immaturo, cosicché non può essere
diviso in categorie grammaticali come oggetto e soggetto (Clark, 2003 citato in De Houwer,
2009). Comunque è possibile attribuire alle parole una parte del discorso come il nome,
l’aggettivo e il verbo, il che non significa tuttavia che i bambini conoscano queste categorie.
In molte lingue il vocabolario produttivo dei bambini monolingui contiene più nomi che verbi
(Bornstein & Cote, 2004, citato in De Houwer, 2009). Maratsos (1990) ha argomentato in
modo convincente che i nomi formano una categoria isolata da tutte le altre categorie, e che i
bambini acquisiscono la capacità di trattare i nomi come una categoria separata perché si
riferiscono ad un oggetto. I verbi, invece, sono più difficili da elaborare semanticamente
perché indicano un’azione.
Comunque, stando a Choi & Gopnik (1995), in certe lingue il numero di nomi e di verbi è
comparabile, per esempio in coreano. Tali differenze sono probabilmente legate alla
prominenza dei verbi o dei nomi nell’input. Nello studio si suggerisce che nella BFLA ci
potrebbe essere una differenza tra le due lingue nella proporzione dei nomi e verbi.
Una bambina BFLA che parla il giapponese e l’inglese (Itani-Adams, 2007), una che parla
l’inglese e il lettone e una che parla l’inglese e il tedesco (Sinka et al., 2000) hanno tutte e tre
un vocabolario di nomi più esteso di quello dei verbi in entrambe le loro lingue. Anche
Conboy e Thal (2006) hanno nel loro studio con 64 bambini bilingui constatato che c’era una
preponderanza di nomi in entrambe le loro lingue.
Nomi Percentuale N Verbi Percentuale V
NL 19/62 31% 11/62 18%
SP 102/171 60% 19/171 11%
IT 96/157 61% 16/157 10%
Tabella 5: La percentuale dei nomi e dei verbi in rapporto al vocabolario totale di Eva in
olandese, spagnolo e italiano.
Nel presente studio cerchiamo di verificare se possa essere così anche nel trilinguismo. Le
cifre sono univoche: in ogni lingua il numero di nomi oltrepassa con una grande distinzione il
numero di verbi. I vocabolari italiano e spagnolo di Eva si compongono per il 60% di nomi e
solo per il 10% di verbi. In olandese le cifre sono un po’ più moderate con il 31% del
vocabolario composto da nomi e il 18% da verbi.
41
È stato detto prima che il vocabolario di Eva in spagnolo è comparabile in numero a quello in
italiano, ma anche questa tabella rivela un’altra notevole somiglianza. Sia nella percentuale
dei sostantivi, sia in quella dei verbi, c’è solo un punto percentuale di differenza tra le due
lingue (10 e 11% per i verbi, 60 e 61% per i nomi), mentre le cifre dell’olandese sono
diverse: la percentuale dei verbi è più elevata e quella dei nomi è considerevolmente più
bassa. Come avevano già detto Choi e Gopnik (1995) è dunque possibile che ci sia una
differenza in proporzioni tra le diverse lingue.
Secondo loro la differenza potrebbe essere legata all’input. Oltre al fatto che l’italiano e lo
spagnolo sono due lingue tipologicamente molto vicine, sono anche le due lingue familiari.
Eva sente le due lingue nello stesso contesto, i genitori presentano le nuove parole nello
stesso modo, mentre l’olandese è una lingua isolata, la sente solo all’asilo e il modo in cui le
maestre parlano a Eva probabilmente non è lo stesso modo in cui le parlano i genitori.
Un ultimo aspetto che potrebbe essere a sfavore dei verbi è la complessità della composizione
morfologica. Questa rimane comunque una questione da studiare in futuro.
5.2 La produzione dei translation equivalents
Il numero di TE
Eva Kathryn
Età Numero di
parole
Numero di
parole con
TE
% di parole
con TE
Numero di
parole
Numero di
parole con
TE
% di parole
con TE
1;4 26 8 30,7 15 0 0
1;5 38 10 26,3 39 4 10,3
1;6 56 14 25,0 45 6 13,3
1;7 72 20 27,8 70 17 24,3
1;8 129 39 30,2 82 23 28,0
1;9 171 52 30,4 151 50 33,1
1;10 218 68 31,2 202 70 34,7
1;11 277 91 32,9 251 95 37,8
2;0 363 131 36,1 297 118 39,7
Tabella 6: Il numero e la percentuale dei TE di Eva e Kathryn ogni mese
42
La tabella mostra il vocabolario cumulativo di Eva e Katrhyn, il numero di parole con TE e la
relativa percentuale. Prima di tutto va menzionato che le percentuali di Kathryn sono state
modificate in rapporto allo studio originale di Montanari per poter fare un paragone valido tra
Kathryn e Eva.
Montanari, nel suo studio, aveva aggiunto una colonna per le parole con possibili TE ed ha
basato la percentuale su quella cifra, però non ha specificato come ha stabilito la colonna,
cosicché non si poteva replicare. Siccome non sarebbe stato opportuno paragonare la
percentuale di Kathryn (sulle parole con possibili TE) a quello di Eva sul suo vocabolario
totale, è stato deciso di calcolare la percentuale sul numero totale di parole per entrambe le
bambine.
Sin dall’inizio il numero di parole con TE di Eva è stato molto elevato: alla sua età di 1;4
conosceva già 8 parole con un TE, mentre Kathryn non ne aveva ancora prodotto nessuno. La
percentuale è scesa un po’ nei due mesi seguenti, dopodiché non ha più smesso di aumentare.
Kathryn, invece, ha cominciato a pronunciare TE dopo l’età di 1;4 ed è solo all’età di 1;7 che
raggiunge un livello comparabile a quello di Eva, ma la sua percentuale non ha mai smesso di
aumentare; anzi, all’età di 1;9 ha pure superato la percentuale di Eva ed è rimasto così
almeno fino ai due anni di età. In numero, invece, Eva ha quasi sempre avuto un certo
vantaggio. La percentuale, comunque, è più bassa perché il suo vocabolario totale è più
esteso di quello di Kathryn.
All’età di 2 anni Eva e Kathryn avevano rispettivamente un equivalente per il 36,1% e il
39,7% del loro vocabolario totale.
Paragone con i bilingui
Il grafico 4 presenta lo sviluppo del vocabolario totale e quello delle parole con un
translation equivalent di Eva in confronto a Kathryn e M, una bambina bilingue spagnolo-
italiano studiata da Deuchar e Quay (2000)(Montanari, 2010). Lo sviluppo dei TE di Eva,
Kathryn e M è molto simile, ma Eva e Kathryn hanno 2 mesi di ritardo nei confronti di M. Al
primo punto del grafico, Eva e Kathryn hanno 1;4 anni di età, mentre M aveva solo 1;2 anni.
43
Grafico 4: I TE e il vocabolario totale di Eva, paragonati a quelli di Kathryn e M
Deuchar e Quay hanno studiato il numero di TE di M durante un periodo di 12 mesi ed hanno
constatato che in media aveva un equivalente per il 33% del suo vocabolario. Pearson et al.
(1995) hanno trovato una media di 30,8% nel vocabolario dei bilingui studiati. Anche la
percentuale dei TE di Eva è molto simile con un minimo di 25,0% e un massimo di 36,1%. In
media aveva un equivalente per il 30,1% delle sue parole, un risultato che è in linea con i
risultati degli studi di Deuchar & Quay e di Pearson et al.
Doublet e triplet
Eva produce 17 parole in tutte e tre le lingue, i cosiddetti triplet. Significa che ci sono solo 51
parole (17*3), su un totale di 363, di cui usa l’equivalente nelle altre due lingue, ovvero il
14% del suo vocabolario totale. Si deve ancora aggiungere che, di quei 17 triplet, ce ne sono
9 dove l’equivalente spagnolo e quello italiano sono neutrali. Usa dunque solo 8 triplet che si
compongono di tre parole foneticamente differenti.
Se guardiamo poi i doublet, vediamo di nuovo una grande differenza tra l’olandese e poi lo
spagnolo e l’italiano. Su un totale di 44 doublet, ce ne sono 30 spagnolo-italiano, 10
olandese-spagnolo e solo 4 olandese-italiano.
44
Doublet Doublet
neutrali
Triplet Triplet con 2
neutrali
Triplet con 3
neutrali
Eva 44 61 8 9 34
Kathryn 44 68 10 15 15
Tabella 7: Il numero di doublet, triplet e neutrali di Eva e Kathryn prodotti all’età di due anni
La tabella 7 mostra il numero e il tipo dei doublet e triplet prodotti da Eva e Kathryn tra 1;4 e
2;0. Salta all’occhio che il numero di doublet foneticamente distinti è abbondante (44), ma
che il numero di triplet foneticamente distinti è molto inferiore (8 e 10), il che viene
comunque largamente compensato dal numero di triplet neutrali e di quelli con due parole
differenti.
Facendo il paragone tra Eva e Kathryn, si può dire che, per quanto riguarda il numero di
doublet, Kathryn e Eva sono ad uno stesso livello, per quanto riguarda i triplet si contata che
Kathryn produce più triplet foneticamente differenti di Eva, il che viene compensato da Eva
con un numero più elevato di triplet neutrali.
Il fatto che il numero di triplet foneticamente distinti sia molto ristretto non può essere
considerato come una prova contro la differenziazione lessicale. Invece, i triplet emergono
solo dopo l’emergenza dei doublet a causa della loro natura; si deve produrre prima il doublet
per poi poter acquisire il triplet (Montanari, 2010).
Il vantaggio della combinazione spagnolo-italiano
L’italiano e lo spagnolo si assomigliano molto a livello tipologico ma anche lessicale. Questa
relazione tra lo spagnolo e l’italiano potrebbe anche essere comparata alla relazione tra il
tagalog e lo spagnolo nello studio di Montanari.
Montanari dice nel suo studio che i primi doublet di Kathryn erano composti sia di una parola
tagalog e una spagnolo, sia di una parola tagalog e una inglese. Il primo doublet spagnolo-
inglese è emerso solo all’età di 1;7. Sembra che, costruendo il suo lessico multilingue,
Kathryn abbia acquisito una parola della sua lingua dominante (tagalog) e una parola di una
lingua debole (spagnolo e inglese).
Sembra essere questo il caso anche per Eva: dei suoi 44 doublet, ce ne sono 40 con una
parola spagnola, cioè la sua lingua dominante. Ci sono solo 4 TE olandese-spagnolo di cui il
45
primo si è presentato all’età di 1;7, ovvero la stessa età in cui Kathryn aveva prodotto il suo
primo TE spagnolo-inglese.
Questa osservazione suggerisce che le bambine non solo preferiscono le parole che
funzionano in tutte le loro lingue (neutral), ma cercano anche di acquisire parole delle lingue
che utilizzano più spesso. Lanvers (1999) e Pearson et al. (1995) hanno scoperto nei loro
studi che c’è una correlazione tra l’acquisizione dei TE e l’input che sente il bambino.
Lanvers ha per esempio cambiato l’input in favore della lingua debole, il che ha promosso lo
sviluppo di TE (Montanari, 2010).
Nel caso di Eva, è probabilmente anche a causa delle circostanze in cui avviene
l’apprendimento che il numero di TE spagnolo-italiano è tanto superiore a quello delle altre
combinazioni. Lo spagnolo e l’italiano sono le lingue familiari; vengono dunque spesso
utilizzate a casa, quindi nello stesso ambiente e con gli stessi oggetti e in presenza di
entrambi i genitori, cosicché i genitori sono in grado di dare nel medesimo momento sia
l’equivalente spagnolo, sia quello italiano.
5.3 Gli intervalli
Parola Età TE1 Età Intervallo TE2 Età Intervallo
más 0.6-
1.0
nog 1.5 5
ja 0.6-
1.0
si/si 1.7 7 N/A
buho 1.1 gufo 1.7 6
bal 1.1 palla 1.7 6
guau guau 1.1 bau bau 1.2 1 hond(je) 1.11 9
huppeke 1.1 oplà 1.8 7
no/no 1.1 nee 1.1 0 N/A
yaya 1.1 nonna 1.4 3
yayo 1.1 nonno 1.2 1
agua 1.2 acqua 1.2 0
pan 1.3 pane 1.8 5
daag 1.4 adios 1.6 2 ciao 1.6 0
46
poepie 1.4 caca/cacca 1.5 1 N/A
kijk 1.4 mira 1.7 3
kom 1.4 ven 1.11 7
nene 1.4 bimbo 1.8 4
tomar 1.5 prendere 1.11 6
hallo 1.5 hola 1.6 1 ciao 1.6 0
uova 1.5 huevo 1.10 5
tapa 1.5 tappo 1.8 3
sucio 1.5 sporco 1.10 5 vies 1.11 1
barco 1.6 barca 1.7 1
mooi 1.6 bello 1.7 1 bonito 1.11 4
ape 1.6 bij 1.8 2 abeja 1.8 0
open 1.7 aperto 1.10 3
su 1.7 boven 1.11 4 arriba 1.11 0
giù 1.7 abajo 1.9 2
puzza 1.7 peste 1.7 0
pie/piede 1.7 voet(je) 1.11 4 N/A
mucca 1.7 vaca 1.10 3
pupa 1.7 male 1.10 3
pato 1.7 eend 1.9 2
mesa 1.7 tafel 1.11 4
mano/mano 1.7 hand(je) 1.11 4
bien 1.7 goed 1.8 1
niña 1.7 bimba 1.7 0
blu 1.8 azul 1.10 2
zapato 1.8 scarpa 1.10 2
met 1.8 con/con 1.9 1 N/A
poetsen 1.8 limpiar 1.11 3
blanco/bianco 1.8 wit 1.10 2 N/A
huis 1.8 casa/casa 1.9 1 N/A
kaas 1.8 queso 1.9 1
amarillo 1.9 giallo 1.11 2
47
en 1.9 in 1.9 0 dentro/dentro 1.10 1
el, la 1.9 de 1.9 0
doccia 1.9 ducha 1.10 1
playa 1.9 spiaggia 1.9 0
tirita 1.9 cerotto 1.11 2
galleta 1.9 biscotti 1.11 2
bagnato 1.10 mojado 1.10 0 nat 1.11 1
male 1.10 daño 1.11 1
miedo 1.10 paura 1.10 0
cerca 1.11 vicino 1.11 0
encima 1.11 sopra 1.11 0
jas 1.11 giacca 1.11 0
atar 1.11 allacciare 1.11 0
zitten 1.11 sentar 1.11 0
cuchillo 1.11 coltello 1.11 0
gafas 1.11 occhiali 1.11 0
Tabella 8: Emergenza di doublet e triplet in ordine cronologico con menzione degli intervalli
in mesi
Gli intervalli ridotti con il tempo
La tabella 8 presenta i 61 doublet e i triplet prodotti da Eva fino ai due anni di età in ordine
cronologico con l’intervallo tra l’apparizione della parola e il suo primo TE e l’intervallo tra
il primo TE e il secondo. Salta all’occhio che l’intervallo tra l’apparizione del concetto e il
primo TE si riduce mese dopo mese: ci sono degli intervalli di 5, 6 pure 7 mesi fino all’età di
1;6, ma a partire dell’età di 1;8 l’intervallo non sale mai più oltre i 4 mesi e dopo l’età di 1;9
c’è solo un doublet e un triplet con 1 mese di intervallo; gli altri equivalenti fino ai 2 anni
sono emersi entro lo stesso mese della prima parola.
Per stilare la tabella si è presa come modello la tabella 4 di Montanari (2010) con i 54 doublet
e triplet di Kathryn. Anche Montanari ha constatato che l’intervallo diminuisce man mano
che l’età aumenta: una delle prime parole di Kathryn era la parola spagnola ‘luna’, il cui
equivalente si è presentato oltre 7 mesi più tardi, mentre il suo ultimo doublet è emerso con
un intervallo di soli 10 giorni.
48
Il vantaggio dei triplet
Come già detto nella parte teorica, un bambino impiega meno tempo ad acquisire il secondo
TE in rapporto al primo perché il concetto è già più familiare per il bambino. Per Kathryn
l’intervallo per acquisire il primo TE era di 66 giorni in media, e di 30 giorni per il secondo. I
dati di Eva sono stati raggruppati in mesi, cosicché non si può dirlo in giorni, ma in media ci
ha messo 2,16 mesi per acquisire il primo TE e 1,78 mesi per acquisire il secondo.
La differenza in intervalli tra le lingue
Guardando gli intervalli potrebbero essere trovate delle differenze nell’acquisizione dei TE
tra le diverse lingue. Si potrebbe per esempio studiare per ogni combinazione di lingue
quante volte c’è un intervallo di 0 mesi. Per olandese-spagnolo ce ne sono 6 su un totale di 27
TE, cioè nel 22,2% dei casi il doublet segue il singlet entro lo stesso mese. Per olandese-
italiano ce ne sono solo 2 su 21 (9,5%) e per spagnolo-italiano emergono 13 intervalli di 0
mesi su un totale di 38 (34,2%).
Inoltre si potrebbero addizionare tutti gli intervalli per ogni combinazione di lingue e dividere
quella cifra per il numero di TE. La soluzione indica quanti mesi ci vogliono in media per
imparare il doublet dopo il singlet. Per spagnolo-olandese significa 71/27, il che equivale a
2,63 mesi. Nel caso di italiano-olandese si tratta di 58/21, ovvero 2,76 mesi. E per finire ci
sono i TE spagnolo-italiano. Ci vogliono 71/38, cioè 1,87 mesi perché Eva conosca il
doublet. Ecco un’altra prova che in media impara più velocemente i TE spagnolo-italiano.
Sembra che lo sviluppo dei TE sia favorito se la lingua dominante fa parte del TE ed è
dunque soprattutto la combinazione delle due lingue deboli in cui Eva ci mette più tempo a
sviluppare il TE. La migliore combinazione è quella spagnolo-italiano, probabilmente perché
la dominanza dello spagnolo sull’italiano non è tanto forte come la dominanza dello spagnolo
sull’olandese.
Non esistono ancora studi in cui la questione della dominanza nell’acquisizione dei TE è stata
analizzata in modo profondo. I risultati del presente studio rimangono da confermare o da
inficiare in ulteriori studi con le stesse e con altre lingue.
49
6. Conclusione
Un caso normale?
Prima di tutto è stato primordiale verificare se il caso di Eva possa essere considerato un caso
“normale” secondo il suo sviluppo lessicale. Il caso ideale sarebbe di fare il paragone con
uno studio sul trilinguismo precoce con un grande numero di bambini, ma per il momento
non esistono ancora studi precisi e affidabili con molti bambini. Per questo motivo è stato
deciso di fare il paragone con un case study molto dettagliato, quello di Kathryn, bambina
trilingue in tagalog, spagnolo e inglese.
Facendo il paragone tra Eva e Kathryn è stato constatato che lo sviluppo lessicale si è svolto
in un modo molto simile. Entrambe le bambine hanno fatto dei progressi ogni mese, anche se
ovviamente i progressi non sono stati lineari. Eva ha fatto un grande progresso tra l’età di 1;7
e 1;8, mentre Kathryn ha compensato quel progresso tra l’età di 1;8 e 1;9, cosicché in
generale le cifre sono molto comparabili, con l’unica differenza che, in tutta la linea, lo
sviluppo di Eva ha conosciuto un piccolo vantaggio in rapporto a Kathryn. Comunque, Eva
può essere considerata come una bambina trilingue “normale”.
Ritardo lessicale sui bilingui e monolingui?
Inoltre è stato esaminato se l’idea del ritardo lessicale poteva essere confermata o invalidata.
Perciò, il vocabolario di Eva è stato paragonato a quello dei bilingui e dei monolingui.
Il grafico con il vocabolario di Eva e dei 60 bilingui e monolingui studiati da Pearson ha
mostrato che il vocabolario di Eva è rimasto sotto la media nei primi mesi, per poi intorno
all’età di 1;8 e 1;9 oltrepassare la media dei monolingui e dei bilingui. All’età di 1;11 Eva
aveva già prodotto 277 parole, i bilingui ed i monolingui rispettivamente 168 e 155.
La critica potrebbe sorgere che il vocabolario di Eva è quello cumulativo e che il suo
vocabolario concettuale sarebbe inferiore a quello dei monolingui. Comunque, con un
vocabolario concettuale di 294 parole all’età di due anni, il vocabolario di Eva rimane ben più
esteso di quello medio dei monolingui, che gira intorno alle 230 parole.
Come ha constatato Montanari (2010) con Kathryn, è chiaro che anche Eva non ha un ritardo
lessicale sui bilingui e monolingui all’età di due anni, ma ovviamente sono casi isolati e
50
quella tendenza non deve dunque essere considerata come una prova chiara e tonda, ma
piuttosto come un’indicazione per studi ulteriori.
Il vantaggio dello spagnolo e dell’italiano
Come previsto nelle ipotesi, diverse parti dell’analisi indicano una grande differenza in
conoscenza tra l’olandese e le altre due lingue, visibile già dal numero di parole: 62 in
olandese, 110 in spagnolo e 96 in italiano, ma si manifesta inoltre nelle percentuali di nomi e
verbi, nei neutral, i TE e gli intervalli.
Le percentuali della proporzione dei verbi e dei nomi in spagnolo e in italiano sono quasi le
stesse, mentre la percentuale dell’olandese è molto inferiore per i nomi e un po’ più elevata
per i verbi. La stessa tendenza si fa vedere nei neutral in cui la combinazione spagnolo
italiano ha 61 neutral, e le altre due combinazioni non ne hanno nessuno, tranne i 34 neutral
che valgono per tutte e tre le lingue.
Il numero di TE non fa che confermare la differenza: ci sono 30 TE spagnolo-italiano,
opposti a solo 10 TE olandese-spagnolo e 4 TE olandese-italiano. Inoltre si aggiungono le
differenze degli intervalli con un intervallo medio di 1,87 mesi per acquisire un TE spagnolo-
italiano, di 2,63 mesi per un TE spagnolo-olandese e 2,76 mesi per un TE italiano olandese.
Lo spagnolo e l’italiano sono stati più presenti nella vita di Eva in rapporto all’olandese, che
sentiva solo all’asilo. Siccome l’input è un fattore primordiale (Ronjat 1913, Caldas 2006,
Barnes 2006 e Wang 2008) potrebbe essere una spiegazione per lo svantaggio dell’olandese.
Un altro fattore potrebbe essere che lo spagnolo e l’italiano sono lingue tipologicamente più
vicine, cosicché il numero di neutral è più elevato e in questo modo l’acquisizione dei TE si
svolge più velocemente (De Houwer, 2009).
Diverse questioni rimangono comunque aperte; il presente studio ha confermato risultati di
altri studi, ha fatto il paragone con monolingui, bilingui e trilingui, ha dato delle indicazioni
che dovrebbero ancora essere confermate in studi ulteriori ed ha raccomandato di studiare
diversi elementi. Per il momento, il campo di studio è ancora in fasce e bisogna soprattutto
sviluppare degli studi su larga scala per poter confermare o invalidare i risultati del presente
studio e di quello di Montanari (2010).
51
7. Bibliografia
Ausubel, D. (1964). Adults versus Children in Second-Language Learning: Psychological
Considerations. The Modern Language Journal, 48(7), 420-424
Barnes, J. (2006). Early Trilingualism. A Focus on Questions. Clevedon: Multilingual
Matters.
Barron-Hauwaert, S. (2000). Issues surrounding trilingual families: Children with
simultaneous exposure to three languages. Zeitschrift für Interkulturellen
Fremdsprachenunterricht, 5(1).
Beyers-Heinlein, K. & Werker, J.F. (2009). Monolingual, bilingual, trilingual: infants’
language experience influences the development of a word-learning heuristic.
Developmental Science, 12(5), 815-823.
Caldas, S. (2006). Raising Bilingual-Biliterate Children in Monolingual Cultures. Clevedon,
United Kingdom: Multilingual Matters.
Cenoz, J. & Genesee, F. (2001). Trends in Bilingual Acquisition. Amsterdam, Philadelphia:
John Benjamins Publishing Company.
Chevalier, S. (2012). Active trilingualism in early childhood: the motivating role of
caregivers in interaction. International Journal of Multilingualism, 9(4), 437-454.
Chevalier, S. (2015). Trilingual Language Acquisition. Contextual factors influencing active
trilingualism in early childhood. Amsterdam, Philadelphia: John Benjamins
Publishing Company.
Clark, E. (2009). Monolingual First Language Acquisition. Cambridge: Cambridge
University Press.
Cruz-Ferreira, M. (2006). Three is a crowd? Acquiring Portuguese in a Trilingual
Environment. Clevedon: Multilingual Matters
De Houwer, A. (2009). Bilingual First Language Acquisition. UK, USA, Canada:
Multilingual Matters.
Genesee, F. & Nicoladis, E. (1996). A Longitudinal Study of Pragmatic Differentiation in
Young Bilingual Children. Language Learning, 46(3), 439-464.
Genesee, F. & Nicoladis, E. (2005). Bilingual first language acquisition. Handbook of
language development. Oxford: Blackwell
Hélot, C. (1988). Bringing up children in English, French and Irish: Two case studies.
Language Culture and Curriculum, 1(3), 281-287.
Hoffmann, C. & Stavans, A. (2007). The evolution of trilingual code-switching from infancy
to school age: the shaping of trilingual competence through dynamic language
dominance. International Journal of Bilingualism, 11(1), 55-72.
Hoffmann, C. (2001). Towards a Description of Trilingual Competence. International
Journal of Bilingualism, 5(1), 1-17.
Kuchenbrandt, I. [s.d.]. Review of Bilingual First Language Acquisition. Consultato:
http://linguistlist.org/pubs/reviews/get-review.cfm?SubID=2373454
Lanvers, U. (1999). Lexical Growth Patterns in a Bilingual Infant: The occurrence and
Significance of Equivalents in the Bilingual Lexicon. International Journal of
Bilingual Education and Bilingualism, 2(1), 30-52.
Lanza, E. (2004). Language Mixing in Infant Bilingualism: A Sociolinguistic Perspective.
Oxford: Oxford University Press.
Meisel, J. (2009). Second language acquisition in early childhood. Zeitschrift für
Sprachwissenschaft, 28, 5-34.
52
Montanari, S. (2009a). Pragmatic differentiation in early trilingual development. Journal of
Child Language, 36(3), 597-627.
Montanari, S. (2010). Translation equivalents and the emergence of multiple lexicons in early
trilingual development. First Language, 30(1), 102-125.
Montanari, S. (2011a). Phonological differentiation before age two in a Tagalog-Spanish-
English trilingual child. International Journal of Multilingualism, 8(1), 5-21.
Montanari, S. (2013). Productive Trilingualism in Infancy: What Makes it Possible?. World
Journal of English Language, 3(1), 60-77.
Patterson, J. L. & Pearson, B. Z. (2004) Bilingual lexical development: Influences, contexts
and processes. In B. A. Goldstein, Bilingual language development and disorders in
Spanish-English speakers (p. 77-104). Baltimore: Brookes Publishing.
Pearson, B. Z., Fernández, S. C. & Oller, D. K. (1993). Lexical development in bilingual
infants and toddlers: Comparison to monolingual norms. Language Learning, 43, 93-
120.
Quay, S. (2001). Managing linguistic boundaries in early trilingual development. In Trends in
bilingual Acquisition, Cenoz & Genesee, 149-199.
Quay, S. (2011). Trilingual toddlers at daycare centres: the role of caregivers and peers in
language development. International Journal of Multilingualism, 8(1), 22-41.
Ronjat, J. (1913). Le développement du langage observe chez un enfant bilingue. Parigi :
Editions Honoré Champion.
Saunders, G. (1988) Bilingual Children: From Birth to Teens. Philadelphia: Multilingual
Matters.
Schelletter, C. (2002). The effect of form similarity on bilingual children’s lexical
development. Bilingualism: Language and Cognition, 5, 93-107.
Taeschner, T. (1983). The Sun is Feminine: A Study of Language Acquisition in Bilingual
Children. Berlino: Springer Verslag.
Takeuchi, M. (2006). Raising Children Bilingually through the ‘One Parent-One Language’
Approach A Case Study of Japanese Mothers in the Australian Context. Bern, Berlin,
Bruxelles, Frankfurt am Main, New York, Oxford, Wien: Peter Lang.
Volterra, V. & Taeschner, T. (1978). The acquisition and development of language by
bilingual children. Journal of Child Language, 5(2), 311-326.
Wang, X. (2008). Growing up with Three Languages. Birth to Eleven. Bristol: Multilingual
Matters.
Werker, J.F., Byers-Heinlein, K. & Fennell, C.T. (2009) Bilingual beginnings te learning
words. Philosophical Transactions of the Royal Society B, 364, 3649-3663.