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PARTE PRIMA
LA REINCARNAZIONE
La morte all'intersezione del tempo e dell'eternit.
Simone Weil
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Cap. 1 LA FORZA DI UN'IDEA
L'UOMO FRA FUTURO E PASSATO
Tutti noi percorriamo questo scorcio finale del ventesimo se-
colo avendo, rispetto alle generazioni precedenti, qualche
problema in pi a credere fermamente nel futuro. Da ogni parte
giungono inviti ad affidarsi alla sapienza scientifica e alla
potenza tecnologica acquisita (dall'Occidente), le quali raf-
figurano l'Uomo capace di dominare tutte le forze disgreganti:
di sconfiggere la malattia, la povert, e anche la morte.
Dovremmo, secondo questo punto di vista, contare su quanto
l'uomo oggi sa di se stesso e su quanto riesce a fare per se
stesso nel presente; considerare, cio, il nostro essere vivi,
come singoli e come specie, un dato sempre pi sicuro e gover-
nabile.
Contare ciecamente sulle conquiste intellettuali umane, per,
richiede di accantonare tante cognizioni e tante evidenze.
Dimenticare che la libert decisionale sconfinata nella sen-
sazione di onnipotenza. Dimenticare che l'uomo si dato gli
strumenti e la mentalit per compiere azioni distruttive im-
possibili ai suoi predecessori.
Anche se una "congiura del silenzio" ne confina il ricordo al
periodo degli anniversari, in questo secolo passa una linea di
demarcazione imprescindibile per valutare realisticamente la
civilt sviluppata negli ultimi quattrocento anni in Occiden-
te. Questa demarcazione ha nomi esotici: Hiroshima e Nagasaki,
nomi di luoghi dove l'uomo ha dimostrato di aver raggiunto un
grado di possibilit concreta e di spersonalizzazione psicolo-
gica tali da distruggere migliaia di vite senza necessit di
coinvolgimento diretto e personale.
Pertanto, oggi, per credere con la stessa convinzione di un
tempo alla sicurezza della vita, nonostante le meraviglie del-
la scienza medica e le conquiste sociali, si deve stenderenella memoria collettiva e personale una grande zona di amne-
sia. Oppure si possono sminuire i fatti avvenuti, o argomenta-
re politicamente l'impiego contro gli esseri umani dell'ener-
gia nucleare. O, ancora, non avere dubbi che la lezione di
evidenza distruttiva sia stata sufficiente: che quel che ac-
caduto non accadr pi.
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Ma questo richiede una nuova amnesia sul fatto che la potenza
distruttrice si moltiplicata oltre ogni possibile immagina-
zione e potrebbe cancellare l'umanit e il suo habitat. In
definitiva, per essere del tutto convinti che l'uomo abbia il
diritto di fare e decidere secondo ci che sa, senza tener
conto di ci che non sa, deve essere dimenticata l'evidenza di
un fallimento avvenuto nel perseguire i valori umani.
Esiste, per, una possibilit diversa per pensare al ruolo
dell'uomo e per concepire il significato della vita, una pos-
sibilit che consiste nel riportare a noi la consapevolezza
del mistero che circonda l'origine della vita sulla Terra. In
questo mistero nascosta la ragione stessa delle singole esi-
stenze individuali, addirittura la definizione stessa di Vita.
Quanto pi ci limitiamo a quanto stato scoperto ed inventa-
to, tanto pi ci identifichiamo con la parte transitoria e
mortale di noi stessi, ovvero l'intelligente e abile Io, che
, per, una parte assai piccola della mente.
Se stabiliamo di rammentare il mistero che sta alla nostra
origine, il punto di vista per guardare al mondo e al nostro
ruolo in esso, si espande rispetto ai confini abitualmente
pensati della vita umana, ovvero la nascita e la morte. Allar-
gare il concetto di Vita a un tempo che va oltre la durata del
corpo fisico e dell'Io implica effetti incisivi sul modo di
condursi e nel modo di intendere il senso dell'esistenza. Ef-
fetti, magari non soltanto positivi, come avremo modo di ri-
cordare, ma fra questi effetti uno positivo e, in raffronto ai
tempi attuali, anche innovativo innegabilmente esiste: viene
introdotto e rafforzato il criterio della responsabilit, per-
sonale e collettiva, sulle decisioni e le azioni da intrapren-
dere. Con una pi ampia concezione della vita, infatti, l'ele-
mento di giudizio non risiede pi esclusivamente, totalmente e
rigidamente in quello che la personalit vivente sa, desiderao teme; il concepire la propria durata nel tempo pi estesa di
quella del corpo fa albeggiare una forma pi incisiva di con-
sapevolezza degli effetti che scaturiscono dagli orientamenti
mentali, dalle attivit svolte, dai rapporti intrattenuti con
l'ambiente e con gli altri individui.
Dare alla Vita - anche solo in via ipotetica - il valore di
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una vita fra altre possibili, cambia la profondit con cui la
vita presente viene vissuta. Tutta la rimozione narcisistica
dei fallimenti personali, e collettivi, non trova pi un ter-
reno preparato per l'amnesia; le sfide del quotidiano, come i
grandi enigmi insoluti della condizione umana, cominciano ad
esigere un confronto a pi vasto respiro, promuovono la visio-
ne che l'orientamento tenuto nel presente non esaurisce i suoi
effetti nella realt immediata.
E'per questa sua potenziale capacit di suscitare una maggiore
consapevolezza nel vivere la propria vita che il diffondersi
capillare della credenza nella Reincarnazione costituisce una
sfida preziosa alla piattezza filosofica e morale del mondo
moderno. L'ipotesi che la situazione del vivente possa avere
un collegamento ad un retaggio di vite passate e che un compi-
to futuro si stia preparando per altri tempi un colpo di
gong che risveglia dal torpore la mente oppressa da preoccupa-
zioni e aspirazioni di breve termine.
La singolarit di questa sfida consiste nel non essere un mo-
derno prodotto dell'intelletto, ma la variante moderna di un'
idea presente presso vari popoli ed in ogni tempo, a volte
come nozione istintiva, a volte come problema ai pi alti li-
velli del sapere. Nella civilt dell'Occidente, regno dell'IO
dove vige il culto della personalit brillante che si impone e
che emerge "qui e subito", non viene dedicata alcuna attenzio-
ne alle tradizioni sulla metempsicosi e la trasmigrazione del-
le anime presso i popoli antichi, studiate per lo pi per mo-
tivi culturali che ne mantengono la caratteristica di idee
obsolete; neppure si viene indotti a considerare che milioni
di persone di altre aree culturali credono tuttora alla vali-
dit del concetto di rinascita.
Ma l'idea, sotto il nuovo nome di Reincarnazione, da decenni
ormai viene incontro all'Occidente con forza propria suscitan-do interesse per l'Induismo e il Buddismo che con questo argo-
mento si confrontano da millenni. Sarebbe stato del tutto
plausibile riscontrare nel mondo cristiano, che da 1500 anni
almeno non tiene in considerazione l'idea di una preesistenza
dell'anima, un interesse scarso o un'assenza di simpatia per
la reincarnazione. Invece, l'attenzione sempre pi vasta dimo-
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stra che essa fa vibrare corde profonde dell'animo, risveglia
un "sospetto", mai del tutto sopito, che la vita oggi vissuta
non esaurisca tutto ci che vi da vivere.
Vogliamo, per, chiarire senza ombra di dubbio che il nostro
intento non promuovere una "fede" nella "reincarnazione";
abbiamo l'incrollabile convinzione che, nell'ambito di quello
che trascende le umane possibilit di certezza, ognuno debba
riflettere e orientarsi liberamente. D'altra parte, la consta-
tazione del diffuso interesse su questo argomento, evidenzia
la necessit di esperire numerosi mezzi per orientare la ri-
flessione.Non affermiamo, quindi, la "verit" dell'idea rein-
carnazionista; ne riconosciamo l'antica dignit e assumiamo
come ipotesi che, esattamente come suggerisce l'esperienza
quotidiana a ogni altro livello, il presente dell'Anima in-
trattenga delle connessioni col passato e che, a sua volta, il
presente possa costituire la ragione di una vita futura.
Osservando, poi, che l'idea del ritorno di un principio vitale
in nuovi corpi ha una storia antica, diffusa e multiforme,
riteniamo che, per lo meno allo stato attuale dello sviluppo
dell'umanit, la sua vera funzione consista nel costituirsi
prima di tutto come una sfida alla mente. Questa idea del ri-
torno alla vita non appartiene di diritto ed esclusivamente ad
una religione, per quanto alcune confessioni l'abbiano inglo-
bata a differenza di altre, e non si configura, pertanto, come
una fede da coltivare, ma come una diretta e libera assunzione
di responsabilit nel ragionare sul senso globale della pro-
pria vita.
METEMPSICOSI, TRASMIGRAZIONE, REINCARNAZIONE
Questi vocaboli sono dati come sinonimi, anche nei pi comuni
dizionari della lingua italiana, ma identici non sono. Vero
che risulta oltremodo difficile formulare per ognuno di essiuna perfetta definizione, sia per l'abitudine ad intercambiar-
li, sia per il loro utilizzo nell'occultismo che ne ha diffe-
renziato variamente il significato.
Tendenzialmente si pu considerare la metempsicosi come il
passaggio di un "principio eterno" in corpi fisici dei tre
regni della natura, come pianta, animale, uomo; si applica
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comunemente alle dottrine pitagoriche. La trasmigrazione un
termine di pi ampia portata, frequentemente riferito alle
dottrine orfiche ed orientali, con cui si intende il passaggio
di elementi psichici dell'uomo dopo la sua morte in altro (o
altri) essere umano. La reincarnazione invece il termine pi
moderno e si riferisce, nell'accezione pi stretta e pi pub-
blicizzata, alla continuit dell'individuo, dovuta al passag-
gio dopo la morte di tutti i suoi elementi psichici in un nuo-
vo corpo umano. E' con questo termine che la molteplicit del-
le vite diventata un concetto famigliare in Occidente, ag-
gregando via via credenze sempre pi legate alla remunerazione
o alla punizione di quanto compiuto nelle esistenze preceden-
ti.
Alla visione strettamente reincarnazionista si riallacciano le
ricerche su testimonianze di vite gi vissute, diventate usua-
li dal secolo scorso negli ambienti dello spiritismo, condotte
da studiosi contemporanei che sottopongo-
no le testimonianze alle opportune operazioni di verifica.
Sembra consigliabile andare cauti con le memorie di vite pas-
sate, quandanche abbiano superato le verifiche pi rigorose,
perch le potenzialit della mente sono ancora in larga parte
sconosciute. Non da considerarsi improbabile che una persona
posta nelle adatte condizioni (come nell'ambito di un esperi-
mento di regressione o per effetto dell'ambiente di nascita,
come nel caso dell'India) possa "conoscere" vite che sono sta-
te gi vissute; ma da questo non consegue necessariamente che
tali vite siano state vissute dalla sua "anima". La non cono-
scenza dei limiti della mente e di quanto essa abbia immagaz-
zinato, gi avvenuto dalla notte dei tempi o ancora da avveni-
re, rende imprudente considerare questi ricordi come veramente
personali. Essi assumono un valore di indizio, quando non ad-
dirittura di prova, in Occidente perch il loro carattere in-solito suscita scalpore; ma cos non accade nei paesi dove la
trasmigrazione un'idea globalmente accettata. Nei testi sa-
cri indiani, come le Upanishad, il credo nella trasmigrazione
dell'anima da un corpo all'altro non dipende da fatti di memo-
ria, ma semplicemente dalla convinzione che l'anima indi-
struttibile.
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Da un altro punto di vista, queste ricerche di esistenze pre-
cedenti possono essere l'effetto negativo della diffusione
dell'idea reincarnazionista in Occidente; infatti la ricerca
su vite passate pu trasformarsi in un'espressione narcisisti-
ca, in una costituzione di miti personali che consentono di
sfuggire alla normalit insoddisfacente del quotidiano.
La considerazione pi importante da farsi che la ricerca di
memorie di incarnazioni passate, per spiegare circostanze con-
crete o lati del carattere, si configura come una risposta ad
una domanda non posta che invece essenziale: che cosa ritor-
na in vita? Cercare memorie di una "propria" vita passata si-
gnifica aver automaticamente accettata l'ipotesi che l'Io di
oggi coincida con l'Io del passato e che porti con s - sepol-
te in strati profondi della memoria- storie del tutto sue, o
con un'altra parola diventata comune: il suo karma. Questo
tipo di approccio alle vicende dell'anima, gradito alla menta-
lit occidentale gelosa dell'individualit e restia a dissol-
verla, non da ritenersi, per, l'unico o il pi diffuso. Dal
punto di vista generale della trasmigrazione, infatti, il ri-
torno alla vita non riguarda forzatamente elementi personali
dell'uomo, ma solo effetti delle azioni che vengono compiute;
secondo questa visione l'uomo stesso sarebbe karma incarnato.
Su questa sottile, ma fondamentale questione di "chi" si rein-
carna diremo meglio a proposito dell'Induismo e del Buddismo;
vi accenniamo qui per suggerire che nell'accostarsi all'idea
della reincarnazione il primo compito da proporsi identifi-
care dei criteri che risuonino come verit alla propria intima
ricerca di significato.
Tanto meglio se tali criteri avranno il sostegno di testi ca-
rismatici, o delle opinioni delle persone vicine, perch que-
sto ispirer una rassicurante sensazione di unit con i propri
simili, ma non a prezzo della rinuncia alla responsabilit perle proprie credenze e per il proprio destino spirituale, per-
ch non da escludere che ci che avverr dopo la morte con-
sister precisamente in quello in cui si avuto fede nel cor-
so della vita.
Le generazioni che ci hanno preceduto, dissodando il terreno
dell'inconsapevolezza in cui l'uomo era avvolto, hanno lascia-
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to un giardino fiorito di tante tradizioni e credenze ove pos-
siamo oggi addentrarci, confortati dal sentire che interrogar-
ci sulla nostra umanit il momento spirituale pi bello, che
ci distingue da altre pur meravigliose forme di vita.
L'ANIMA IN TERRA GRECA
Anima significa vento, aria, spirito, soffio vitale, ed come
soffio vitale che la intesero le civilt primitive in ogni
parte della Terra, alcune dandole una sede interna, in qualche
organo o nelle ossa, altre intendendola esterna, magari inse-
diata nell'ombra proiettata dal corpo.
Principio vitale era considerata anche dai popoli antichi del-
la Grecia; fino all'epoca omerica, l'anima aveva una sola fun-
zione: abbandonare il corpo e con ci determinarne la morte.
Per il suo successivo destino Omero non nutriva grandi aspet-
tative: essa confluiva nell'Ade e restava priva di contatti
con il mondo vivente, tranne che con gli eroi che talvolta
nell'Ade si introducevano fortunosamente per interrogarla. A
quel tempo, gli uomini erano eroi o vili, buoni o cattivi,
nobili o schiavi per volere degli dei; non era ancora sorto
quel sentimento del merito o demerito personale originato da
un concetto che informer tutta la civilt successiva del ba-
cino del Mediterraneo: il senso di colpa.
Fu la nascita delle citt greche in sostituzione della civiltdei palazzi, a creare nuovi rapporti sociali e a sottomettere
il singolo al giudizio dei suoi simili. Nacque cos il concet-
to di colpa personale che non fu senza influsso sul concetto
di anima. Oppure possiamo dire che fu l'Anima ad influire sul-
le attivit mentali, a risvegliare gli uomini e a manifestarsi
come sede di valutazioni morali?
Ci che conta che questa nuova concezione provoc una rivo-
luzione e, circa sette secoli prima della nostra era, in Gre-
cia il destino dopo la morte assunse linee pi complesse.
L'anima cominci ad essere descritta come dimensione interme-
dia fra il basso livello degli animali e quello altissimo de-
gli dei e le scuole di pensiero che maggiormente si affermaro-
no proposero diverse vie di uscita da questa condizione.
Il movimento dionisiaco, originario di una zona "barbara", os-
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sia esterna alla Grecia e situata nell'Asia minore, fu il pri-
mo a porre l'anima come soggetto di una visione iniziatica che
si articolava di vita in vita; la liberazione da questo rivi-
vere doveva avvenire "dal basso", con la sperimentazione da
parte dell'uomo di una condizione ferina, selvaggia, inebriata
e, pertanto, scevra dalle colpe abituali della normalit uma-
na. Successivamente, al movimento dionisiaco si collegarono
due correnti filosofico-religiose che, ugualmente ribadirono
la trasmigrazione. Esse proponevano, per una via di uscita
"verso l'alto", con la divinizzazione dell'anima e differivano
fra loro nell'obiettivo sotteso alla catena delle vite.
La scuola di Pitagora, il quale era essenzialmente uno sciama-
no, consisteva in una comunit iniziatica, maschile e femmi-
nile, le cui regole di vita erano condizionate dall'aspetta-
zione di vite future; la promessa pitagorica era che, al ter-
mine delle esperienze in ogni genere di corpi, l'anima avrebbe
acquisito conoscenza e potere, diventando un demone o una di-
vinit.
La scuola che si richiamava ad Orfeo era formata da sacerdoti
itineranti e definiva il corpo come un "carcere" per l'anima,
che in esso veniva punita per le colpe di cui era macchiata.
Lo scopo della trasmigrazione per gli orfici consisteva in una
espiazione e la promessa per il futuro era, semplicemente, la
purificazione dell'anima.
E' importante sottolineare questa differenza di orizzonte tra
i pitagorici e gli orfici, poich il dilemma sullo scopo della
reincarnazione, se sia apprendimento o espiazione, permane in-
tatto nel presente e sembra rispondere ad un dualismo profon-
damente radicato nella mente umana.
C' da chiedersi, comunque, da dove, secondo gli antichi gre-
ci, venisse agli uomini tanta malvagit. La risposta si trova
ancora nel dionisismo; il mito racconta che i progenitori de-gli uomini, i Titani, uccisero, smembrarono e divorarono il
corpo dell'innocente Dioniso, lasciando questa colpa come ere-
dit per i posteri. L'inclinazione violenta degli esseri umani
si spiegherebbe con questo crimine primordiale e causerebbe la
necessit della trasmigrazione dell'anima. L'idea di una colpa
originaria un mito universale; oggetto di studio della
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Psicologia moderna che la rintraccia nella costituzione stessa
dell'Io, ed inglobato in molte religioni come dimostra la
Genesi con la cacciata di Adamo dal Paradiso. Anche gli Assi-
ro-Babilonesi, fondatori dell'astrologia, sottolinearono il
concetto di colpa, immaginando che, sciolti i legami col cor-
po, l'anima scendesse nel regno di divinit oscure per sotto-
stare al giudizio sulle azioni compiute.
Pertanto, tutte le civilt dell'area mediterranea condivisero,
portandola a varie conclusioni, l'idea che l'anima abbia una
vita separata dal corpo; ovunque, progressivamente si sottoli-
ne l'importanza della valutazione morale sul comportamento in
vita, proprio in conseguenza del credere alla persistenza del-
l'anima oltre la durata corporale.
Constatiamo, quindi, che sebbene non prioritaria l'idea della
trasmigrazione non era estranea alle radici della nostra ci-
vilt; chi pi autorevolmente ha dato voce a questa tendenza
spirituale Platone. Pur tenendo conto della vastit dei suoi
scritti e delle variazioni del suo pensiero, questo frammento
della Repubblica ha una grande forza suggestiva perch enfa-
tizza la partecipazione diretta dell'anima alla scelta della
nuova vita e descrive questo momento decisivo con mirabile
rispondenza ai meccanismi orientativi umani.
[...] Anime dall'effimera esistenza corporea, incomincia per
voi un altro periodo di generazione mortale, preludio a nuova
morte. Non sar un demone a scegliere voi, ma voi a scegliervi
il demone" Dopo queste parole dell'araldo divino, Er, il nar-
ratore scelto dagli dei per vedere e riportare questi fatti,
racconta che sulle anime vengono lanciate le "sorti", ovvero
il turno per scegliere la vita futura. Ogni anima si affretta
a raccogliere la sorte cadutale accanto che le d il diritto
di scegliere da un mucchio contenente ogni tipo di vita, ani-
male e umana. Esistenze con tanta belt, valore, ricchezza, ocon una mescolanza di povert e ricchezza, salute e malattia;
vi erano gerarchie di vite [..] non c'erano per gerarchie di
anime perch l'anima sarebbe diventata necessariamente diversa
a seconda della vita che sceglieva. L'araldo continua a dare
istruzioni [...] Anche chi si presenter per ultimo, purch
scelga con senno e viva con regola, pu disporre di una vita
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amabile, non cattiva. Il primo cerchi di scegliere con cura e
l'ultimo non si scoraggi. A queste parole [...] colui che ave-
va avuto la prima sorte si era subito avanzato e aveva scelto
la peggior tirannide. A questa scelta era stato spinto dal-
l'insensatezza e dell'ingordigia, senza averne valutato abba-
stanza tutte le conseguenze. E cos non s'era accorto che il
fato racchiuso in quella scelta gli riservava la sorte di di-
vorarsi i figli, e altri mali. Quando l'aveva esaminata a suo
agio, si percoteva e si lamentava della scelta, senza tenere
presenti le avvertenze dell'araldo divino. Non gi incolpava
se stesso dei mali, ma la sorte e i demoni, tutto insomma ec-
cetto s. Quest'anima incauta nella scelta proveniva da un'e-
sistenza ben ordinata ed era inesperta di sofferenze, mentre
altre, provenienti da vite pi sofferte, non si lanciavano in
scelte precipitose. Il risultato era che in genere si vedevano
le anime permutare beni con mali e mali con beni, perch la
maggior parte sceglieva in base alle abitudini contratte nella
vita precedente [...] S'era avanzata poi a scegliere l'anima
che era stata Ulisse, cui il caso aveva riservato l'ultima
sorte; ridotta senza ambizioni dal ricordo dei precedenti tra-
vagli, se ne era andata a lungo in giro cercando la vita di un
privato individuo schivo di ogni seccatura. E non senza pena
l'aveva trovata, buttata in un canto e negletta dalle altre
anime; al vederla aveva detto che si sarebbe comportata al
medesimo modo anche se la sorte l'avesse designata per prima;
e se l'era presa tutta contenta. A scelta effettuata, ogni
anima ricevette per compagno il demone guardiano che le avreb-
be fatto adempiere al destino scelto; poi, al calar della sera
tutte le anime bevettero le acque del Lete e dalla memoria
scomparve la nozione di tutto quanto avvenuto e deciso. [...]
Poi s'erano addormentati, quando a mezzanotte era scoppiato un
tuono e s'era prodotto un terremoto; d'improvviso chi di quachi di l, eccoli portati in su a nascere, ratti filando come
stelle cadente.
L'EGITTO E LA SAPIENZA ERMETICA
Nel lungo periodo della civilt egizia si sviluppata la con-
vinzione della persistenza dell'anima e di una superiore valu-
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tazione da subire dopo la morte. Nei miti di Osiride spicca,
per, una tradizione trasmigratoria (che probabilmente diede
origine alla classificazione gnostica degli uomini in "comuni"
ed "eletti") secondo la quale, periodicamente, all'interno del
genere umano rinascerebbe una sacra trib di eroi con il com-
pito di assistere ed elevare le condizioni materiali e spiri-
tuali della Vita sulla Terra.
Il pi efficace contributo egizio al pensiero della trasmigra-
zione, si ha, per, tardivamente negli scritti di Ermete Tri-
smegisto che tanto influenzarono l'epoca rinascimentale.
Ecco un frammento che espone la trasmigrazione dell'anima come
un destino (quasi) collettivo e che echeggia concezioni rin-
tracciabili in India [...] Da una sola Anima dell'Universo
derivarono tutte le anime. Queste anime hanno molti mutamenti,
alcuni assumendo pi fortunato stato, altre tutto il contra-
rio... Non tutte le anime umane, solo le anime pie sono divi-
ne. Una volta separata dal corpo, e dopo aver lottato per rag-
giungere la piet, che consiste nel riconoscer Dio e nel non
fare del male a nessuno, una tale anima diviene tutta intelli-
genza. L'anima empia, comunque, punisce se stessa nella ricer-
ca di un corpo umano in cui entrare, giacch non altro corpo
pu ricevere l'anima umana; essa non pu entrare nel corpo di
un animale privo di ragione. La legge divina preserva l'anima
da simile infamia... L'anima passa da forma a forma; e le di-
more del suo pellegrinaggio sono molteplici. Tu deponi i tuoi
corpi come vestimenti; e come vesti torni ad indossarli. Tu
esisti da tempo, anima dell'uomo; anzi, tu esisti da sempre.
LA SORGENTE INDIANA: Induismo e Buddismo
Orientarsi nell'arcipelago delle tradizioni, delle osservanze
e delle stratificate interpretazioni della filosofiareligiosa dell'India opera riservata a specialisti e non
abbiamo la pretesa di emularli. Sottolineiamo, per, che la
gamma delle spiegazioni sulle vicende del principio spirituale
dentro l'uomo ben pi vasta e complessa della generale con-
vinzione occidentale che vuole tutti gli indiani credenti nel-
la reincarnazione e nel karma.
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Cerchiamo di individuare i concetti chiave unificanti la mol-
titudine di credenze. Prima di tutto l'esistenza in ogni uomo
di un principio permanente che non l'Io (non , cio, la
persona che nasce, ha un nome, viene mossa da sentimenti e
risentimenti e alla fine muore) bens una misteriosa presenza
immune dalle circostanze del tempo e dello spazio: l'anima
individuale. Secondariamente, viene generalmente condiviso che
tale principio permanente identico all'Anima universale,
ossia alla immota purezza della Coscienza cosmica. Terzo punto
condiviso che questa identit con l'Anima universale del
tutto ignota all'anima individuale.
Da questa base comune, le varie scuole si differenziarono per
spiegare le ragioni dell''"ignoranza" dell'anima e i suoi ef-
fetti.
Vi furono gli assertori di un determinismo assoluto, secondo i
quali l'uomo subirebbe senza via d'uscita un destino cieco a
causa della natura stessa delle cose, del capriccio del caso,
dell'azione del tempo e altro ancora. Questi pensatori invita-
rono all'edonismo; o all'indifferenza esistenziale risultando,
per lo meno, tiepidi sul problema etico e la condotta morale.
La maggior parte delle scuole sostenne, invece, che, non cono-
scendo la sua natura divina, l'anima lascia libert all'Io di
creare false rappresentazioni mentali e nutrire desideri che
hanno il potere di intrappolarla nella dimensione materiale.
L'anima trasmigra cos di vita in vita incontrando gli effetti
delle azioni delle vite passate, ossia il karma.
Lo sviluppo di questo concetto rappresenta l'avvento della
morale nella cultura induista, ed equivale alla transizione
greca dalle credenze omeriche sull'anima a quelle dionisiache.
Karma (o karman ) significa azione ed indica essenzialmente
che gli effetti delle azioni buone o cattive conservano in-
fluenza nel tempo. Con l'idea del karma la vita assume un si-gnificato che va oltre le possibilit di conoscenza dell'uomo,
il quale, per, interrogandosi sulla qualit dei suoi compor-
tamenti diventa, in gradi o in modi diversi a seconda delle
scuole religiose, partecipe della formazione del suo destino.
I testi sacri sul karma introducono, pertanto, nell'India la
questione della libert morale, anche se nessuno ne d una
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soddisfacente spiegazione definitiva; come pu, infatti, l'uo-
mo essere libero se alle sue spalle premono gli effetti del
karma? Ma, il fatto di avanzare il principio dell'esistenza
della libert morale, permette all'Induismo di porre all'oriz-
zonte una via di uscita dalla dolorosa catena delle vite. Ogni
uomo, insegnarono la maggior parte delle scuole, nasce in una
condizione predeterminata, ma dispone della libert morale per
disegnare il karma futuro a seconda dei comportamenti e delle
decisioni della vita presente.
Non sfuggir che, nei fatti, questa concezione finisce per
inglobare tutte le esperienze di sofferenza dell'uomo dando
loro un carattere di fatalit; alcune tradizioni offrono una
visione fortemente punitiva della trasmigrazione, che diventa
una spiegazione fatalistica delle disparit delle condizioni
di vita fra gli esseri umani.
In epoca pi tarda, intorno al V secolo a.C., dall'alveo delle
credenze induiste si stacc la predicazione di Budda e dalle
sue parole, ma ancor pi dalle sue reticenze, ebbe origine un
grande movimento innovativo. Questa complessa dottrina si di-
stinse mettendo in risalto l'incessante mutabilit di tutto
l'esistente: non c' niente che possieda un'esistenza sostan-
ziale autonoma, n una materia eterna, n un'anima eterna, n
un dio eterno. Esistono solo le Leggi universali, lo spazio
vuoto e il Nirvana, parola con cui viene designato lo stato di
assenza di tutti quei desideri che l'uomo prova a causa della
dolorosa illusione di essere un'entit separata. In modo net-
tamente contrastante con la generalit delle tradizioni, il
Buddismo insegna che ci che si intende come "persona" non
sarebbe la somma di un'anima e di un corpo, ma la risultante
di vari livelli di incessanti combinazioni di atomi [simili
concetti echeggiano nella fisica moderna]. Tutto ci che esi-
ste (o meglio: sembra esistere) sorge dalla combinazione dipropriet senza possessori, di condizioni senza soggetto spe-
rimentante, di accadimenti senza un substrato su cui svilup-
parsi. Il concorso di questi elementi, nei livelli pi grevi,
sarebbe responsabile della grande illusione che esistano enti-
t materiali separate e dotate di una loro propria unit.
Con la morte, che dissolve la coesione delle componenti spiri-
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tuali e materiali, il flusso della coscienza illusoria alimen-
tato dal karma persiste aggregando le componenti di un nuovo
essere che, pur diverso dal precedente, ne continua la vita
come erede delle sue azioni.
Per il Buddismo, quindi, Il karma non punisce esseri - che non
esistono pi e neppure sono realmente esistiti - ma guida il
divenire del mondo come un'esigenza di bilanciamento di tutte
le azioni compiute nel mondo stesso. In altre parole la nasci-
ta degli esseri umani avviene perch i resti psichici delle
azioni compiute dagli esseri precedenti reclamano un altro
corpo che dia loro espressione; l'arresto del processo di ri-
versamento karmico lo scopo da perseguire comprendendo l'
illusoriet di ogni separatezza, affinch il karma possa
estinguersi nella beatitudine del Nirvana.
Queste concezioni, che non contemplano alcuna divinit crea-
trice e definiscono il mondo come appare ai sensi una semplice
illusione, furono, e ancora sono, difficili da comprendere,
cosicch presto nel Buddismo si formarono due tendenze desti-
nate a divergere sempre pi. Le loro denominazioni sono: la
scuola del "Piccolo" Veicolo, che mette l'accento sulla libe-
razione individuale da ottenere con una vita ritirata dal mon-
do e l'aspirazione al (proprio) Nirvana, e la scuola del
"Grande" Veicolo, che sottolinea la salvezza di tutti gli es-
seri, da perseguire con la compassione e la carit.
L'India stata un grande laboratorio per i molteplici orien-
tamenti della credenza nella trasmigrazione e ci permette di
individuare come possano ampiamente divergere gli effetti so-
ciali e concreti di questa credenza. L'Induismo, pur pervaso
dal grandioso concetto di ahimsa, riduttivamente tradotto come
"non violenza", affiancava a tale mite regola di condotta la
divisione in caste che, nei fatti, si configurava come una
violenza alla dignit umana. La societ tradizionale anticaera divisa in gruppi sociali secondo l'attivit della famiglia
del nativo, diretta conseguenza del suo karma: dalla prima ca-
sta braminica, esentata da lavori materiali, alla quarta dei
servi, assoggettata ai servizi per le caste superiori, seguita
poi dalla sterminata massa degli "intoccabili", fuori casta.
Limitando la libert sociale, veniva limitata anche la libert
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morale sulla quale avrebbe dovuto, invece, fondarsi il karma
della vita futura.
Il Buddismo, non enfatizzante il concetto di colpa ma quello
di compassione, rifiut fin dalle origini la divisione sociale
in caste separate. La tradizione narra che il re Ashok, prima
persecutore e poi convertito al Buddismo, ripudi il ricorso
alla guerra, viet i sacrifici di esseri viventi, costru case
di accoglienza e ospedali per uomini e per animali, scav poz-
zi e piant alberi ombrosi per i pellegrini.
L'accento sulla compassione sembra rendere pi mobile ed evo-
lutiva la societ, promuovendo lo spirito di servizio dei sin-
goli e togliendo al karma le valenze persecutorie che non di
rado tende ad assumere.
LE "VIE " CINESI
La cultura cinese si caratterizzata fin dalle origini come
molto attenta al ruolo dell'individuo di fronte alla societ;
pi che alle tematiche interiori ha dato importanza a quelle
esteriori, lasciando l'uomo immune da quel senso di colpa che
ha caratterizzato la societ greca classica e quelle giudaico-
cristiane. L'uomo cinese provava "vergogna" e non colpa ogni
volta che il suo comportamento lo rendeva passibile del rim-
provero da parte dei suoi simili. Dal magma dell'Universismo
cinese nel VI sec. A.C. emersero due filoni.
Il Confucianesimo, che divenne una vera e propria filosofia di
stato, considerava specifico compito morale dell'uomo svilup-
pare il sentimento dell'Ordine Universale e poneva l'accento
sulla morte come momento di interesse sociale, promuovendo una
grande e duratura tradizione di riti funebri. Il culto degli
antenati si fondava sulla convinzione che l'anima persistesse
dopo la morte del corpo e che entrambi avessero come comune
luogo di destinazione la dimensione sotterranea: il corpo pertornare alla sua matrice e l'anima per ricongiungersi agli dei
della Terra; ma per alcune correnti la sopravvivenza dell'ani-
ma costituiva una semplice credenza di conforto per i vivi. Le
credenze popolari, a fianco della religione ufficiale, contem-
plavano la possibilit che sporadicamente le anime dei trapas-
sati potessero tornare in vita assumendo i corpi di orsi e di
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serpenti.
L'altro filone fu il Taoismo che affermava essere l'Ordine
Universale una realt concreta, fonte di vita per tutti gli
esseri attraverso un'armonia dei contrari, sebbene indefini-
bile, o definibile come: Vuoto o Nulla. L'osservanza delle
regole di vita taoiste proponeva una via mistica ed ascetica,
avente lo scopo di dare l'immortalit all'anima personale at-
traverso il metodo della quiete, dello svuotamento del cuore e
dello spirito da ogni sentimento particolare, al fine di rag-
giungere l'estasi, ossia l'identificazione con l'Ordine uni-
versale.
Alle credenze autoctone universiste si affiancarono visioni
penetrate dall'esterno; forse intorno I secolo d.C. i monaci
itineranti indiani approdarono in Cina, trovando il terreno
preparato dai concetti mistici taoisti e, nonostante le suc-
cessive frequenti persecuzioni, la loro filosofia provoc una
rivoluzione delle credenze. Essi introdussero i concetti del
tutto nuovi della trasmigrazione e della legge morale del kar-
ma che, intrecciandosi con i sentimenti popolari locali, die-
dero origine a minuziose regole di rinascita in conseguenza
dei vari tipi di peccato: per l'usura la rinascita come asino,
cammello o pecore da tosare, per l'adulterio la rinascita come
anatra; invece, per una condotta ossequiente alla morale comu-
nemente condivisa, la rinascita in una nuova vita lunga e fe-
lice. Nonostante questi aspetti folcloristici ed integralisti,
l'idea di poter rinascere in corpi umani ebbe ampia diffusione
presso le popolazioni cinesi e vari riti per propiziare alle
anime defunte una buona rinascita divennero ogni anno il cen-
tro di una grande festa popolare della morte e della reincar-
nazione.
EBRAISMO E CRISTIANESIMOLa Bibbia pone costantemente l'accento sulla potenza creatrice
di Dio raffigurato in forma personale, senza nulla in comune
con la visione impersonale di un Tutto onniaccogliente, o Ani-
ma universale caratteristica delle concezioni orientali.
L'uomo composto di anima e di corpo ed creato da Dio, per-
tanto n l'Ebraismo n le religioni derivate si soffermano
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sulla condizione dell'anima prima della nascita. Una sua even-
tuale pre-esistenza in Dio potrebbe non discordare con le dot-
trine bibliche che, per, esplicitamente non la sostengono.
Viceversa, l'Ebraismo molto si interrog sulla condizione uma-
na e sulla sofferenza, specialmente quando essa colpisca uomi-
ni giusti e obbedienti al Signore. Le speculazioni sul proble-
ma del dolore umano trovano la pi alta espressione biblica
nel Libro di Giobbe, che si conclude con il riconoscimento
della umana debolezza e del dovere dell'uomo di sottomettersi
totalmente alla volont divina, per pacificarsi col proprio
dolore e ricevere da Dio nuove e pi grandi benedizioni mate-
riali.
Anche sulle vicende dell'anima dopo la morte, la religione uf-
ficiale ebraica si scarsamente pronunciata, ma nelle creden-
ze popolari era presente la convinzione che essa sostasse in
una specie di terra dell'oblio. Sottolineando soprattutto lo
stretto rapporto dell'anima col corpo, l'Antico Testamento ac-
coglie, invece, la credenza nella resurrezione del corpo, come
una prospettiva generale e realizzabile alla fine dei tempi.
Similmente il Cristianesimo accetta l'idea della resurrezione
finale dell'uomo ponendola, per, come diretta conseguenza
dell'evento centrale, e decisivo per la salvezza dell'anima,
costituito dall'avvenuta resurrezione di Cristo.
A fianco delle forme ufficiali di queste due religioni, sono
state portate avanti speculazioni mistiche contemplanti in
qualche caso l'idea della trasmigrazione. Nello Zohar, che
il nucleo della Cabala, si prospetta una riunione delle anime
nel divino, allorch esse abbiano attraversato le vite neces-
sarie per maturare tutte le perfezioni in esse seminate fin
all'origine. Le sette gnostiche, alcune apparentate al Cri-
stianesimo e considerate sue derivazioni eretiche, nelle loro
speculazioni pervennero talvolta a concezioni reincarnazioni-ste simili a quelle indiane; generalmente, per, l'ambito gno-
stico sottoline con forza l'effetto salvifico della conoscen-
za, ponendo l'accento sulla rivelazione divina destinata a
pochi eletti, salvi per natura, e preclusa agli altri uomini.
Non mancarono, inoltre, Padri della Chiesa che si interrogaro-
no sulla preesistenza dell'anima, talvolta affrontando aper-
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tamente l'idea della trasmigrazione. Il II Concilio di Costan-
tinopoli nel 553 intervenne con un'anatema, scomunicando i
sostenitori della preesistenza dell'anima e della sua reinte-
grazione finale in Dio; gli studiosi moderni avanzano dubbi
sulla effettiva conoscenza di questo anatema da parte del Pa-
pa, ma innegabile che il Cristianesimo, abbandonando il sin-
cretismo degli inizi, divenne col tempo sempre pi dominato
dalle alte gerarchie del clero concordemente avverse ad ogni
ipotesi di trasmigrazione dell'anima.
UN "ERETICO" INGENUO ED IRRIDUCIBILE
Il giudizio su Giordano Bruno come uomo controverso, ma del
pensatore tutti sono concordi nel sottolineare il carisma e la
carica innovativa. La sua filosofia si sviluppata nella se-
conda met del 1500, avendo sullo sfondo, da una parte la ri-
voluzione copernicana che riconosceva il Sole e non pi la
Terra come centro intorno al quale ruotano i pianeti, e, dal-
l'altra la Riforma protestante che si riprometteva un distacco
dalle prassi mondane della Chiesa e dalla sua interpretazione
delle Sacre Scritture.
La ricerca di nuovi orizzonti era il filo conduttore del pen-
siero di Bruno che affrontava nelle sue formulazioni pi ele-
vate l'idea della molteplicit dei mondi, dell'Anima Universa-
le il cui Intelletto muove la materia dal di dentro e che,
come "fabbro del mondo", dall'interno del seme fabbrica ogni
corpo. Bruno celebrava, quindi, il carattere divino della Na-
tura e intendeva la divinit come Uno, che tutto comprende,
avvicinandosi, dunque, a Pitagora e all'ermetismo e non rifiu-
tando la possibilit di trasmigrazione delle anime, sulla qua-
le egli si interrogava e che probabilmente, al di l dello
stimolo intellettuale, gli dava anche forza personale nell'ul-tima parte del suo destino travagliato.
Troppo libero e fuori dagli schemi per venir tollerato dalla
Chiesa coinvolta da uno storico periodo di difficolt, troppo
malaccorto nelle relazioni sociali della sua vita di esule
pellegrino, troppo ingenuo e illuso per dubitare che, spiegan-
do diffusamente le sue idee, avrebbe dissolto l'accusa di di-
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sprezzo per la religione, Bruno visse gli ultimi dieci anni
della sua vita confinato nelle prigioni romane. "Accolgo la
sentenza con paura minore di quella che provate voi nel comu-
nicarmela" disse ai giudici che lo condannarono e con lo stes-
so sprezzante coraggio affront il rogo nel febbraio del 1600.
Questa una delle sue risposte ai giudici, nella fase vene-
ziana del processo, e documenta un'umanissimo atteggiamento
problematico sulla reincarnazione; una visione complessa, pos-
sibilista e dubitativa delle capacit umane di pervenire alla
soluzione, che non lontana dall'essere, forse, l'atteggia-
mento pi razionale che sia dato tenere. [...] Ho sostenuto e
sostengo che le anime sono immortali.. Cattolicamente parlan-
do, io credo, che le anime non passino da un corpo all'altro,
ma vadano in paradiso, in purgatorio o in inferno. Ragionando
per col lume naturale, e parlando da filosofo, ho considerato
che l'anima non pu sussistere senza il corpo, eppure non un
corpo; quindi pu alla stessa guisa passare da un corpo al-
l'altro. Il che se non vero, pare almeno verisimile l'opi-
nione di Pitagora...[...]
UN'AMBASCIATRICE DALL'ORIENTE
La parola teosofia significa conoscenza di Dio e si applica a
tutti i mezzi che possono permettere il contatto con il divino
e le sue rivelazioni. Tutta la storia del pensiero percorsa
da correnti di speculazione teosofica; abbiamo citato nel no-
stro percorso Pitagora e gli Orfici, gli gnostici e gli erme-
tici, Platone e Giordano Bruno. Tutti gli ambienti della spe-
culazione teosofica condividono l'enfasi sull'unione mistica
con Dio, intravedono una dimensione esoterica dei testi sacri,
anche dei Vangeli, velata negli insegnamenti divulgati alla
generalit degli uomini, nonch la possibilit di esperienzestraordinarie, occulte o, con dizione moderna, parapsicologi-
che.
Dal 1875 la parola "teosofia" designa correntemente anche il
complesso di credenze raccolte, amalgamate e diffuse da Helena
Blavatsky, un'intraprendente personalit russa (fra le sue
esperienze sembra esserci anche la partecipazione alle imprese
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garibaldine) che a lungo soggiorn in India. I principi che
essa pose come base della sua Teosofia, che non nacque come un
nuovo credo, ma come diffusione di cognizioni segrete note
agli iniziati dall'antichit, sono essenzialmente tre.
L'onnipresente, eterno, sconfinato Principio Divino che tra-
scende le pi eccelse capacit di formulazione della mente
umana. L'eternit dell'Universo, che ciclicamente soggetto a
fasi di manifestazione e di scomparsa. La fondamentale identi-
t di tutte le anime con l'Anima universale e l'inevitabile
pellegrinaggio di ogni anima nel ciclo delle reincarnazioni
secondo le cause create dal karma; all'origine di questa pere-
grinazione vi sarebbe la fondamentale condizione non evoluta
dell'anima che con la trasmigrazione pu progredire verso la
conoscenza di quei piani, non materiali, entro cui l'Universo
si evolve. Pertanto, la personalit umana non sarebbe che un
vestito per coprire un'individualit reale, che permane nelle
varie vite e soffre, attraverso le varie personalit, per i
suoi peccati.
La fondazione della Societ Teosofica diffuse negli Stati Uni-
ti questi concetti filosofico-religiosi e rese popolare l'idea
di karma, estesasi poi a tutti i paesi occidentali. Sebbene i
seguaci non fossero, n sono oggi, enormemente numerosi, la
Societ svolse un grande ruolo culturale mettendo a confronto
la cultura illuminista e cristiana con quella del mondo indui-
sta e buddista, introducendo, inoltre, nuovi, sebbene non sem-
pre chiari, criteri di riflessione.
La Blavatsky aveva ben presente il disagio delle societ indu-
strializzate dell'Occidente che stavano cancellando antichi
ritmi e modi di vita, stratificando nuovi tipi di emarginazio-
ni e di ingiustizie sociali. Questo frammento della sua Dot-
trina Segreta avanza una spiegazione alle disparit del mondo
e, senza nominarla, risente molto pi della concezione inddelle caste che della fondamentale illusoriet del mondo, pro-
pria del buddismo.
[...] Karma una parola dai molti significati [...] Come si-
nonimo di "colpa" indica un'azione compiuta per raggiungere
l'oggetto del desiderio terreno, e quindi egoistica, che non
pu non essere dannosa per qualcun altro. Il karma "azione"
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[...] "effetto" di un'azione eseguita egoisticamente, dal
momento che la grande legge dell'armonia subordinata all'al-
truismo. [...] solo questa dottrina, io sostengo, che pu
spiegare il misterioso problema di Dio e del Maligno e ricon-
ciliare l'uomo con la terribile ed evidente ingiustizia della
vita. [...] Per questo, quando qualcuno, ignaro della nobile
dottrina, si guarda intorno e vede le ingiustizie e le dise-
guaglianze dovute alla nascita e alla fortuna [...] gli onori
tributati agli stolti e ai dissoluti [...] mentre il loro fra-
tello pi vicino, con tutta la sua intelligenza e le sue nobi-
li virt, di gran lunga pi meritevole, dilaniato dal biso-
gno e dalla mancanza di comprensione [..] proprio quella
benedetta conoscenza del Karma l'unica cosa che gli pu impe-
dire di maledire la vita e gli uomini...
In altra parte dei suoi scritti la Blavatsky chiarisce come la
sua Teosofia contempli una dottrina di punizione severa, basa-
ta sull'assoluta giustizia perch nessuna azione, e neppure un
solo pensiero colpevole, restano impuniti; anzi, il pensiero
sar giudicato assai pi severamente dell'azione, avendo esso
molte pi possibilit di produrre risultati negativi di un
qualsiasi gesto materiale.
Fra i contributi indiani al pensiero della Blavatsky, compare
anche l'astrologia applicata all'indagine sull'anima; solo
dopo l'affermazione della Teosofia in Occidente si sviluppa
un'astrologia detta "karmica". Fin dalle sue origini mediter-
ranee l'astrologia si era sempre occupata pi della vita pra-
tica dell'uomo che degli aspetti trascendenti; talvolta si era
accompagnata alla magia, all'esoterismo, specie di derivazione
egizia, ma di astrologia del karma si pu parlare compiutamen-
te solo con la diffusione della Teosofia.
Avendo avuto origine nell'ambito teosofico, derivato da conce-
zioni induiste, l'astrologia karmica porta non di rado un'im-pronta cupa o punitiva, etichettatrice, invece che suggeritri-
ce di riflessioni. A questo atteggiamento, anticipiamo, non
aderisce il contenuto di questo libro.
UN SALTO NELLA LUCE
Dissodato dalla Societ Teosofica il duro terreno dell'indif-
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ferenza occidentale per la possibilit di un "passato" dell'a-
nima, l'interesse per le dottrine orientali ha incentivato la
traduzione di vari testi antichi. Il Bardo Thotrol o Libro
Tibetano dei Morti un'antico insegnamento iniziatico per
abbandonare il ciclo della rinascita ed unisce le pi antiche
concezioni tibetane con quelle, successive, del Buddismo.
Il titolo ingannevole perch, prima che di morte, il libro
tratta della vita, cio degli stati psicologici che si ripre-
sentano in ogni momento come condizioni che dominano l'uomo e
lo tengono in balia del karma. Il libro incoraggia a ricono-
scere questi stati emotivi e a dominarli perch altro non sono
che proiezioni della mente. L'insegnamento si fonda completa-
mente sulla necessit di liberare la mente dalla sua pi tena-
ce illusione: l'esistenza di realt separate, al fine di por-
tarla a riconoscere come ogni cosa abbia origine nelle sue
proiezioni.
Tutto questo perch al momento della morte gli stati psicolo-
gici del karma si presentano con maggior forza e spingono ad
una nuova incarnazione. La mente deve giungere alla crisi del-
la morte allenata a riconoscere le sue proiezioni come prive
di realt. Contemporaneamente a queste proiezioni, nel trapas-
so i si manifesta la luce sconfinata della Mente pura e vuota
di ogni proiezione. Questa la vera realt e la coscienza
dell'uomo deve riconoscerla immediatamente ed immergersi in
essa.
Da questo insegnamento consegue che si reincarnano coloro che
non padroneggiano l'attivit mentale e lasciano esplodere la
paura della dissoluzione o tutti i desideri connessi all'esi-
stenza corporea. Nell'intervallo fra vita e morte, l'uomo,
dunque, decide il destino futuro: se non teme la sconfinata
luce e vi confluisce, esce dalla ruota delle reincarnazioni,
se si lascia afferrare dalle proiezioni karmiche rientra inuna nuova vita terrena. Ma anche il grado di immedesimazione
nelle illusioni della mente importante, perch determina il
genere della nuova esistenza: quanto pi il morente riuscir a
resistere alle sue proiezioni, tanto pi avr la possibilit
di scegliere un'esistenza meno dolorosa o comportante pi am-
pie possibilit di evoluzione spirituale. Su questo controllo
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esercitato sull'impulso a reincarnarsi si basa il lamaismo
tibetano.
Ogni vita, concludendosi con il bardo della morte e con la
possibilit di scelta in esso implicita, d, secondo gli inse-
gnamenti del Bardo Thotrol, la possibilit della liberazione,
a somiglianza del Cristianesimo che, col pentimento finale, d
all'uomo l'estrema possibilit di salvare l'anima dalla danna-
zione eterna.
Risolversi all'immersione, quindi alla dissoluzione di s,
nella luce sconfinata della Mente vuota molto difficile per
la mente umana abituata ai confini del corpo; lo stato supremo
in bilico fra la liberazione definitiva e la paura della libe-
razione viene mirabilmente descritto da Aldous Huxley nel ro-
manzo Il tempo si deve fermare. [...] La luminosit si avvici-
nava, si faceva pi intensa. Egli divenne una parte della bea-
titudine, divenne una stessa cosa con il silenzio e con la
bellezza. Per sempre, per sempre.
Ma con la partecipazione alla bellezza si accompagn la parte-
cipazione alla conoscenza. E improvvisamente egli riconobbe
quei frammenti riacquistati del suo io per quello che essi
vergognosamente erano: li riconobbe per semplici grumi ed ele-
menti disintegranti, per mere assenze di luce, per mere priva-
zioni destituite di ogni trasparenza, per un nulla che doveva
essere annientato, doveva essere sottoposto a quella forza in-
candescente, considerato in tutta la sua bruttura alla luce di
quel silenzio illuminante, considerato e capito e quindi ripu-
diato, annientato per far luogo alla bellezza, alla conoscen-
za, alla beatitudine. [...] Bruscamente, quasi violentemente,
la bellezza della luce e la sofferenza di partecipare alla co-
noscenza furono intensificati oltre i limiti della possibili-
t. Ma nello stesso istante egli si rese conto di poter di-
strarre la sua attenzione, di potersi rifiutare a quella par-tecipazione. Deliberatamente, limit la sua consapevolezza....
UN PENSATORE SCETTICO E LEALE
Carl Gustav Jung indiscutibilmente la personalit che ha
maggiormente influito sulla conoscenza del funzionamento della
psiche. Avendo evitato di intrappolare la Psicologia nel li-
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vello fisiologico, ne ha fatto una scienza iniziatica, oltre-
ch un'efficace psicoterapia.
Nutriva una profonda e costante ammirazione per la saggezza
orientale e sappiamo da una sua esplicita affermazione che dal
Libro Tibetano dei Morti Jung ha tratto molte cognizioni, in-
coraggiamenti e intuizioni. Lo defin anche un libro di grande
umanit e di profonda penetrazione dei misteri della psiche.
Non possiamo quindi supporre in lui un pensatore prevenuto, al
contrario, egli era un leale estimatore del pensiero orienta-
le; pertanto possiamo accogliere come utile incitamento alla
riflessione le sue argomentazioni sulla reincarnazione, scrit-
te a commento psicologico del Libro tibetano dei Morti: [..]
L'idea orientale del karma una specie di teoria psichica
dell'ereditariet, basata sull'ipotesi della reincarnazione,
cio in ultima analisi della sovratemporalit della psiche. N
il nostro sapere N la nostra ragione possono accordarsi con
questo modo di vedere che contiene per noi troppi se e troppi
ma. Anzitutto, quel che sappiano di una possibile sopravviven-
za della psiche individuale oltre la morte desolatamente
scarso, tanto scarso che non nemmeno possibile determinare
come si potrebbe dimostrare qualcosa in proposito. Inoltre
sappiamo fin troppo bene che dimostrare questo , per motivi
gnoseologici, altrettanto impossibile quanto dimostrare Dio.
Possiamo accettare prudentemente il concetto di karma solo in
quanto esso in generale compreso come ereditariet psichica
nel senso pi ampio della parola. C' un'ereditariet psichi-
ca, cio eredit di peculiarit psichiche come disposizione
alle malattie, tratti del carattere, talenti ecc.... Si tratta
di fenomeni vitali essenziali che agiscono soprattutto psichi-
camente, come vi sono anche caratteristiche ereditarie che
agiscono soprattutto fisiologicamente, cio fisicamente.
Sono parole giustamente prudenti perch provengono da un mae-stro che non ha mai cessato di mettere in guardia dai pericoli
di frettolose giustapposizioni della mentalit occidentale e
orientale. Inoltre Jung era un medico, cio uno scienziato
dedito alla ricerca di spiegazioni rigorose. Tuttavia, come
scrisse nella prefazione dell'edizione tedesca dell'I Ching,
nutriva anche questa generale convinzione [...] L'irrazionale
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pienezza della vita mi ha insegnato a non scartare mai nulla,
neanche quello che urta contro tutte le nostre teorie (ho
quanto effimere!) o sembra per ora inspiegabile. Questo ci
turba, n siamo mai del tutto sicuri che la bussola indichi la
direzione giusta; ma a nessuna scoperta si pu giungere nella
certezza, nella sicurezza e nella tranquillit.
Con queste premesse, prendendo le proprie decisioni coraggio-
samente, senza lusingarsi di aver raggiunto la pietra miliare
della Verit, si pu pensare alla possibilit della Reincarna-
zione come ad un allargamento della base su cui poggia la con-
cezione globale dell'essere umano. Il che potrebbe costituire
una svolta culturale opportuna.
Abbiamo visto, infatti, che alle radici della civilt occiden-
tale esiste la credenza nella trasmigrazione e che questa cre-
denza stata bloccata, spiritualmente e culturalmente, dalle
religioni testamentarie. Sappiamo bene che nulla scompare dal-
la psiche, semplicemente si inabissa. La convinzione di poter
rivivere, esclusa dalla coscienza occidentale, potrebbe esser-
si alleata con forze collettive oscure, soprattutto con il
lato spaventevole della morte, e rendere pi aggressivi la
supremazia ed il senso di onnipotenza della nostra civilt.
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i. Bar-do sta per "tra due (esistenze)", o comunque per "intervallo"
fra uno stato e quello successivo.
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