WALL STREET, SEMPRE PIÙ PROTAGONISTA

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anno 12 - numero 115 - giugno 2019 WALL STREET, SEMPRE PIÙ PROTAGONISTA ETF, UNA CRESCITA CHE NON SI FERMA

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anno 12 - numero 115 - giugno 2019

WALL STREET, SEMPRE PIÙ PROTAGONISTAETF, UNA CRESCITA CHE NON SI FERMA

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MESSAGGIO PUBBLICITARIO

* I Lyxor ETF citati sono Fondi o Sicav francesi o lussemburghesi gestiti da Lyxor International Asset Management (qui per brevità “Lyxor”), i cui prospetti sono stati approvati dalla AMF o dalla CSSF. Per la data di approvazione si rinvia ai Prospetti.(1) Il costo totale annuo dell’ETF (TER – Total Expense Ratio) non include i costi di negoziazione del proprio intermediario di riferimento, gli oneri fiscali ed eventuali altri costi e oneri. Il valore degli ETF citati può aumentare o diminuire nel corso del tempo e l’investitore potrebbe non essere in grado di recuperare l’intero importo originariamente investito. Questo è un messaggio pubblicitario e non costituisce sollecitazione, offerta, consulenza o raccomandazione all’investimento. Prima dell’investimento negli ETF citati si invita l’investitore a contattare i propri consulenti finanziari, fiscali, contabili e legali e a leggere attentamente i Prospetti, i “KIID” e i Documenti di Quotazione, disponibili sul sito www.lyxoretf.it e presso Société Générale, via Olona 2, 20123 Milano, dove sono illustrati in dettaglio i meccanismi di funzionamento, i fattori di rischio, i costi e il regime fiscale dei prodotti.

I Lyxor ETF* “Trend Leaders” e “Leaders” replicano indici di MSCI che, da oltre 40 anni, raccoglie e elabora dati in ambito ESG. Il Lyxor MSCI Europe ESG Leaders (DR) UCITS ETF consente un’esposizione alle società europee best-in-class per rating ESG. Anche la gamma di Lyxor ETF ESG Trend Leaders consente un’esposizione alle società best-in-class per rating ESG delle aree geografiche Eurozona, mondo, USA e mercati emergenti, tenendo in considerazione anche l’evoluzione del rating ESG nel tempo.

Nome ETF ISINTicker di

BloombergTER1

Lyxor MSCI Europe ESG Leaders (DR) UCITS ETF - Acc LU1940199711 ESGE IM 0,20%

Lyxor MSCI EMU ESG Trend Leaders (DR) UCITS ETF - Acc LU1792117340 EESG IM 0,20%

Lyxor MSCI USA ESG Trend Leaders (DR) UCITS ETF - Acc LU1792117696 UESG IM 0,25%

Lyxor MSCI World ESG Trend Leaders (DR) UCITS ETF - Acc LU1792117779 WESG IM 0,30%

Lyxor MSCI EM ESG Trend Leaders UCITS ETF - Acc LU1769088581 MESG IM 0,30%

The original pioneersContatti: www.lyxoretf.it | [email protected] | 800 92.93.00 | Consulenti 02 89.63.25.00 | Istituzionali 02 89.63.25.28 | LYXOR <GO>

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I Lyxor ETF ESG Leaders e Trend Leaders quotati su Borsa Italiana:

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FONDI&SICAV Giugno 2019 3

EDITORIALE

È difficile in questi tempi, in cui sono saltate tutte le categorizzazioni classiche, prende-re posizioni nette. Un esempio è ciò che sta succedendo tra gli Usa e la Cina, che stanno dando vita non solamente a una guerra commerciale, ma addirittura a una riedizione moderna della guerra fredda. Avere affrontato la Cina e, di conseguenza, una bella fetta del mondo emergente, come ha fatto Trump appare una strategia d’altri tempi, qualcosa che nel mondo globalizza-to era stata finalmente superata. La grande

espansione dei paesi che una volta erano considerati sottosviluppati (si diceva ipocri-tamente “in via di sviluppo”) è stata dovuta anche alla fine dei blocchi. Tornare a quella logica appare semplicemente assurdo.Ma anche la Cina, per dirla in termini molto diretti, ci ha messo del suo. La spregiudica-tezza della Repubblica Popolare, la totale inosservanza di qualsiasi regola, la voglia di guadagnare spazio nel mondo come su-per-potenza a qualunque costo sono sotto gli occhi di tutti. In Africa, in certe regioni dell’Asia i cinesi non si sono fatti amare e come padroni non sono stati dei migliori.In questo quadro che cosa doveva fare la classe dirigente della maggiore economia

del mondo? Fare la voce grossa e riaprire un livello alto di conflittualità è sicuramen-te la risposta sbagliata, specie in un mondo sempre più interconnesso come l’attuale. La Cina non è il diavolo, non è il nemico. Il rischio è di farsi male tutti. Ma allora era giusto incassare e permette-re a un attore fondamentale degli equilibri mondiali di calpestare ogni regola? No, si-curamente no. Lasciare fare non avrebbe portato lontano e avrebbe fatto a lungo termine enormi danni.Il dilemma è difficilissimo da risolvere. L’i-deale sarebbe che la soluzione non fosse in mano a un presidente pittoresco come l’attuale, ma il problema esiste.

LIBERTÀ VO’ CERCANDO di Giuseppe Riccardi

UNA GUERRA FREDDA CHE CRESCE di Alessandro Secciani

Nell’inchiesta sui consulenti di questo mese, che parla degli ex-bancari che hanno deci-so di lasciare il posto sicuro allo sportello e si sono messi sul mercato come advisor finanziari, c’è un elemento che colpisce: ad avere fornito la motivazione principale per compiere il grande salto non è stata quasi mai la voglia di guadagnare di più, peraltro elemento non secondario per nessuno, e neppure il fatto che gli istituti di credito sia-no pieni di esuberi.Alla base della scelta c’è la voglia di liber-tà, il desiderio di muoversi con la massima indipendenza, senza le costrizioni di un bu-dget, senza il compito di dovere piazzare a

tutti i costi i prodotti della casa. In pratica a motivare è la possibilità di fare davvero il libero professionista, di avere un’influenza decisiva nella vita dei propri clienti. Un vero consulente, sembra essere il leit motiv, ha un ruolo sociale, l’impiegato bancario lavora per interessi che spesso non comprende e che talora non sono gli stessi del cliente.In finanza, del resto, la libertà è un elemento fondamentale: un mercato finanziario sotto-posto a costrizioni per forza di cose perde la sua efficienza. Nel loro piccolo gli advisor finanziari sono una testimonianza di ciò: ov-viamente fanno anch’essi i loro errori, ma tutto funziona se rispondono a logiche che

sono di mercato e che hanno una precisa funzione nel mare magnum degli investi-menti.Ciò significa che le reti sono un mondo perfetto? Ovviamente no. Ma l’augurio è che questa voglia di fare il mestiere di con-sulente con la massima indipendenza contri-buisca a un’evoluzione positiva del mondo della distribuzione, conducendolo sempre più verso un reale servizio alle esigenze sempre più complesse e personalizzate de-gli investitori.

MESSAGGIO PUBBLICITARIO

* I Lyxor ETF citati sono Fondi o Sicav francesi o lussemburghesi gestiti da Lyxor International Asset Management (qui per brevità “Lyxor”), i cui prospetti sono stati approvati dalla AMF o dalla CSSF. Per la data di approvazione si rinvia ai Prospetti.(1) Il costo totale annuo dell’ETF (TER – Total Expense Ratio) non include i costi di negoziazione del proprio intermediario di riferimento, gli oneri fiscali ed eventuali altri costi e oneri. Il valore degli ETF citati può aumentare o diminuire nel corso del tempo e l’investitore potrebbe non essere in grado di recuperare l’intero importo originariamente investito. Questo è un messaggio pubblicitario e non costituisce sollecitazione, offerta, consulenza o raccomandazione all’investimento. Prima dell’investimento negli ETF citati si invita l’investitore a contattare i propri consulenti finanziari, fiscali, contabili e legali e a leggere attentamente i Prospetti, i “KIID” e i Documenti di Quotazione, disponibili sul sito www.lyxoretf.it e presso Société Générale, via Olona 2, 20123 Milano, dove sono illustrati in dettaglio i meccanismi di funzionamento, i fattori di rischio, i costi e il regime fiscale dei prodotti.

I Lyxor ETF* “Trend Leaders” e “Leaders” replicano indici di MSCI che, da oltre 40 anni, raccoglie e elabora dati in ambito ESG. Il Lyxor MSCI Europe ESG Leaders (DR) UCITS ETF consente un’esposizione alle società europee best-in-class per rating ESG. Anche la gamma di Lyxor ETF ESG Trend Leaders consente un’esposizione alle società best-in-class per rating ESG delle aree geografiche Eurozona, mondo, USA e mercati emergenti, tenendo in considerazione anche l’evoluzione del rating ESG nel tempo.

Nome ETF ISINTicker di

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Lyxor MSCI Europe ESG Leaders (DR) UCITS ETF - Acc LU1940199711 ESGE IM 0,20%

Lyxor MSCI EMU ESG Trend Leaders (DR) UCITS ETF - Acc LU1792117340 EESG IM 0,20%

Lyxor MSCI USA ESG Trend Leaders (DR) UCITS ETF - Acc LU1792117696 UESG IM 0,25%

Lyxor MSCI World ESG Trend Leaders (DR) UCITS ETF - Acc LU1792117779 WESG IM 0,30%

Lyxor MSCI EM ESG Trend Leaders UCITS ETF - Acc LU1769088581 MESG IM 0,30%

The original pioneersContatti: www.lyxoretf.it | [email protected] | 800 92.93.00 | Consulenti 02 89.63.25.00 | Istituzionali 02 89.63.25.28 | LYXOR <GO>

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EDITORIALE

GEOPOLITICAIl Ghana oltre gli aiuti

OSSERVATORIO ASIAIndonesia, la rivoluzione di Jokowi

OSSERVATORIO IMPACT INVESTINGL’opportunità di agire

DIETRO I NUMERIPIL PRO CAPITE A CONFRONTOUn’Italia in stagnazione in un mondo fermo

FACCIA A FACCIA CON IL GESTOREBruno Paulson portfolio manager international equity team co-manager

Global brands funds di Morgan Stanley Investment Management

In cerca di compounder

FACCIA A FACCIA CON IL GESTORERoger Pim, head of private markets product strategy solutions

di Aberdeen Standard Investments

Investire su tutto ciò che non è quotato

GESTORI BIOTECNOLOGIEGrowth ancora a prezzo accettabile

GESTORI BIOTECNOLOGIEUn inizio anno con il botto

SOMMARIO

COVER STORY GLI USA SEMPRE PROTAGONISTI

Una guerra commerciale che può essere persaIl problema non è solo Trump

Ancora più tecnologia, ancora più Stati Uniti

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4 FONDI&SICAV Giugno 2019 FONDI&SICAV Giugno 2019 5

SPECIALE ETF Una crescita continua e non solo per i costi bassi

ETPPatrimonio in costante crescita

FINTECHI modelli in data science

CONSULENTI RETI

Numero 115giugno 2019 anno 12

direttoreGiuseppe Riccardi

coordinamento redazionale e direttore responsabileAlessandro Secciani

ufficio studiBoris Secciani

progetto grafico e impaginazioneStefania Sala

collaboratoriTommaso Andreoli,

Massimo Avella, Stefania Basso, Lorenzo Dilena, Heidi Foppa,

Rocki Gialanella, Yusuf Durmaz,Mark William Lowe, Pinuccia Parini, Paola Sacerdote e 4InvestAdvisor

redazione e pubblicitàViale San Michele del Carso 1

20144 MIlano, T. 02 320625567

pubblicitàAlessandro Cervieri

[email protected]

casa editrice GMR

Viale San Michele del Carso 120144 MIlano, T. 02 320625567

stampa POGGI TIPOLITO

Via Galileo Galilei 9b Assago (MI)

Autorizzazione n.297 dell’8 maggio 2008 del Tribunale di Milano

immagini usate su licenza di Shutterstock.com

MAURIZIO BUFI presidente Anasf

MARCO DEROMA presidente Efpa Italia

Preparati e certificati

DA BANCARI A CONSULENTIFuga dallo sportello

DA BANCARI A CONSULENTI/2La sfida alle banche tradizionali

LIFESTYLEL’impero del gusto dei fratelli Alajmo

LIFESTYLEOROLOGIRolex e Comex, collaborazioni profonde

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a cura di Mark William Lowe

GEOPOLITICA

Il Ghana oltre gli aiuti

Il Ghana è diventato uno dei primi paesi africani a liberarsi dal dominio colonia-le, ottenendo l’indipendenza dalla Gran Bretagna nel 1957. Tuttavia, a dispetto dell’abbondanza di cacao, oro, legname, petrolio, gas, bauxite e manganese, il pa-ese ha dovuto ricevere ben 16 salvataggi finanziari targati Fmi. L’ultima richiesta è stata presentata e approvata nel 2015 ed è stata in gran parte strumentale all’ele-zione dell’attuale presidente Nana Addo Dankwa Akufo-Addo.

BASTA CARITÀPromettendo di costruire un «Ghana beyond aid», Akufo-Addo è diventato il primo candidato dell’opposizione a vince-re con una maggioranza assoluta al primo turno. E da quando ha assunto l’incarico nel gennaio 2017, il nuovo presidente ha concentrato notevoli sforzi per rag-giungere proprio questo obiettivo. Nel marzo 2017, durante la quinta edizione dell’Africa ceo’s forum di Ginevra, Aku-fo-Addo ha ribadito il suo obiettivo: «Vo-gliamo costruire un Ghana al di là degli aiuti. Vogliamo realizzare un’economia che non dipenda dalla carità e dalle donazioni, ma che guardi alla corretta gestione delle proprie risorse come strumento per pro-gettare la crescita sociale ed economica del paese».Meno di due anni dopo, durante una visita in loco, Christine Lagarde, direttore gene-

rale del Fondo Monetario Internazionale, ha commentato: «Penso che il paese abbia tutto ciò che serve per fare a meno di un programma di aiuti». Il parere positivo di Lagarde è condiviso dalla Banca Mon-diale che, insieme allFmi, stima un tasso di crescita che farebbe del Ghana l’eco-nomia mondiale più dinamica. Secondo il Fondo, nel 2018 il Ghana ha registrato un tasso di crescita del Pil del 5,6%, un ri-sultato eccellente che ha messo il paese lungo una robusta traiettoria di sviluppo e si stima che nel 2019 il produttore di cacao, oro e petrolio raggiungerà un tasso di incremento del prodotto interno lordo dell’8,8%. Ma da dove verrà questa crescita? E so-prattutto, è sostenibile?

I MOTORI DELLA CRESCITAIl Ghana deve ancora dimostrare di essere in grado di rispettare un bilancio, intro-durre riforme e mantenere una traiet-toria di sviluppo. Un’importante fonte di espansione è il settore petrolifero: negli ultimi anni sono stati scoperti e aperti nuovi campi di estrazione e gli analisti ri-tengono che questa intensificazione delle operazioni abbia avuto un forte impatto sulla crescita del prodotto interno lordo. Il greggio, tuttavia, non è l’unico settore trainante. Anche altri comparti, come l’agricoltura e l’industria manifatturiera, stanno galoppando.

Il Ghana è il secondo produttore mondia-le di cacao. Il crollo del prezzo di questa materia prima, che nel 2010 aveva supera-to 3.500 dollari, ma adesso viaggia intorno a 2.282 dollari, non ha compromesso più di tanto il contributo alla crescita. I pro-grammi governativi introdotti negli ultimi due anni hanno avuto un notevole impat-to sul settore agricolo. Sono state lanciate diverse iniziative mirate alla creazione di posti di lavoro e all’aumento della pro-duzione. Sono stati distribuiti sementi e fertilizzanti di alta qualità a oltre 200 mila agricoltori. L’esperimento ha aumentato la produttività e ha portato a uno dei rac-colti più riusciti della storia del paese.L’agricoltura è considerata un settore strategico per il fatto che, a differenza dei comparti petrolifero e minerario che sono di proprietà straniera, è dominata dai ghanesi ed è un’attività con ampi mar-gini di crescita.

RIMUOVERE GLI OSTACOLI Per incoraggiare lo sviluppo sono però necessarie ulteriori riforme. Gli investi-tori hanno bisogno di una serie di garan-zie che, nel caso del Ghana, includono un’attenzione particolare all’istruzione, alla tecnologia e al contenimento di vul-nerabilità come la corruzione. Ma va rico-nosciuto che ci sono stati diversi passi in avanti nella gestione della cosa pubblica. La sostenibilità del debito e la stabilità ma-

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croeconomica sono migliorate; si è ridot-to il disavanzo di bilancio; la corruzione comincia a essere affrontata. Inoltre, l’in-flazione è scesa sotto il 10% e gli indicato-ri macroeconomici generali sono positivi. Ancora da affrontare sono le riforme per stimolare l’attività del settore privato. Si tratta di un obiettivo che può essere raggiunto solo lentamente, eliminando i vincoli che ostacolano la crescita e con-centrando l’attenzione sul miglioramento delle pre-condizioni generali che favori-scano l’iniziativa economica privata.Accra si sta adoperando, inoltre, per ga-rantire che il miglioramento economico sia inclusivo. Il governo ritiene che un requisito fondamentale per sostenere un elevato tasso di crescita nel tempo sia l’inclusione sociale. Ciò significa non solo incoraggiare gli investimenti nazionali ed esteri, ma anche favorire con forza la cre-

QUALCHE TIMOREIl governo del presidente Akufo-Addo è determinato a garantire che i giovani del Ghana acquisiscano competenze che li mettano alla pari con i loro coetanei in qualsiasi parte del mondo. Accra ha aderito al concetto che il XXI secolo è un’era di scienza e tecnologia. Men-tre il Ghana di domani non mancherà di persone qualificate in cerca di lavoro, rimane la grande domanda: chi li impie-gherà e in quali settori? Mentre l’Fmi ha elogiato il governo per i progressi e le capacità messe in campo, si nutrono dubbi sulla sostenibilità dei ritmi della crescita. Il Fondo teme che, al contrario della Costa d’Avorio e dell’Etiopia, l’e-levato tasso di sviluppo del paese non sarà mantenuto nel tempo e prevede un calo nel 2020 a un ritmo compreso tra il 4,5% e il 5% circa.

azione di piccole e medie imprese locali.

ISTRUZIONE E INNOVAZIONEIn ogni paese l’istruzione è la chiave dello sviluppo e il Ghana non fa eccezione: per sostenere l’incremento del Pil sono stati compiuti sforzi per colmare il divario tra l’accademia e l’industria. Sono state avvia-te diverse iniziative per aiutare i giovani che abbandonano la scuola a trovare lavo-ro. Con il sostegno dell’industria, è stato lanciato il piano nazionale per l’imprendi-torialità e l’innovazione, aprendo la porta alla cooperazione con le imprese private. L’obiettivo è sostenere il rinnovamen-to tecnologico e coinvolgere un maggior numero di giovani. E su questo piano non sono mancati i riconoscimenti internazio-nali: per esempio WorldSkills International si aspetta che il Ghana diventi membro a pieno titolo nell’agosto 2019.

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a cura di Pinuccia Parini

OSSERVATORIO ASIA

Indonesia, la rivoluzione di Jokowi

La fine del regime di Suharto in Indonesia aprì un periodo di instabilità che generò una serie di cruente rivolte in alcune aree del paese. Allo scontro intestino, tra diverse etnie e gruppi religiosi, si aggiunsero i disastri naturali che, con lo tsunami del 2004, mise-ro in ginocchio l’economia indonesiana. La travagliata situazione venne gradualmente superata, ma non quella politica. Si dovette attendere sino alle elezioni del 2014, quan-do Joko Widodo, conosciuto come Jokowi, senza una carriera militare alle spalle o l’ap-partenenza a influenti gruppi politici legati al vecchio sistema, divenne presidente. Politico riformatore, di ispirazione liberale, può van-tarsi di un passato senza alcuna ombra di corruzione: con la sua elezione si è aperto un nuovo capitolo della storia del paese. Lo scorso aprile, in Indonesia, quasi 200 mi-lioni di persone sono state chiamate al voto che, questa volta, ha visto coincidere le ele-zioni presidenziali con quelle legislative. Se-condo ai dati forniti dalla Elections commis-sion, circa il 40% degli aventi diritto al voto ha una età tra 17 e 35 anni. Nel 2019, così come avvenne nel 2014, il duello per la pre-sidenza è stato tra Joko Widodo e Prabowo Subianto, che per la seconda volta è stato sconfitto. Le piattaforme politiche dei due contendenti riflettono le inclinazioni degli schieramenti di appartenenza, con connota-zioni più nazionaliste da parte di Prabowo, improntate a politiche protezioniste, tanto da sostenere la necessità di rivedere i pro-getti infrastrutturali con la Cina. Prabowo, che ha sposato la figlia di Suharto, è legato alla tradizionale élite politica del paese. È un ex-generale destituito perché accusato di violazione dei diritti umani nei confronti

di gruppi di attivisti e, dopo avere trascorso molti anni all’estero, è ritornato in Indonesia nel 2009. Widodo, presidente uscente, diven-ne un politico noto a livello internazionale già nel periodo in cui era governatore di Gia-carta (2012). Quando venne eletto nel 2014 si presentò come «uomo del popolo», che avrebbe combattuto la povertà, la corruzio-ne che imperversava nel paese, il nepotismo e l’intolleranza. Questi furono i motivi per cui sconfisse Prabowo Subianto.

UNA BUONA GESTIONEIl primo mandato di Jokowi è stato caratte-rizzato da una buona gestione del contesto economico, mantenendo bassa l’inflazione e solida la crescita. Il livello di povertà è sce-so e alcune opere infrastrutturali sono state portate a termine. Per i prossimi cinque anni si è impegnato ad aumentare gli investimen-ti esteri diretti in Indonesia, sostenere le esportazioni e continuare il programma di 340 miliardi di dollari in infrastrutture. Le critiche nei suoi confronti non sono però mancate. Da alcuni è stato accusato di non essere stato così incisivo nelle battaglie per i diritti umani, da altri di avere svenduto il proprio paese agli stranieri.La seconda vittoria di Jokowi è frutto dei risultati ottenuti. Il sostegno reiterato degli elettori (circa il 57%) trova ragione nelle sue politiche, che hanno saputo cogliere le necessità della popolazione e dare risposte alle loro urgenze, quali l’estensione della copertura assicurativa, così come il migliora-mento della rete infrastrutturale che hanno migliorato le condizioni generali di vita. Il suo partito di appartenenza, il Pdip (Indonesian democratic party of struggle) è risultato

quello che ha conquistato il maggior numero di voti, risultato quest’ultimo che dovrebbe permettergli di mantenere l’attuale coalizio-ne di governo.I punti nodali del suo programma politico sono sostanzialmente tre: l’economia, le in-frastrutture e la corruzione. Ma questa vol-ta, forse a differenza della precedente, sarà importante vedere quale tipo di identità la nazione assumerà. L’80% della popolazione indonesiana è musulmana, ma quest’ultima non è considerata una religione di stato, an-che se le pressioni di alcuni gruppi conserva-tori religiosi sono in aumento. La reazione dei mercati finanziari, alla noti-zia della rielezione di Jokowi, è stata positi-va, così come quella della rupia indonesiana. La presenza degli investitori esteri aveva già mostrato segnali di ripresa di interesse, in prossimità dello scontro elettorale, proprio per la speranza che anche questa volta il pre-sidente in carica avrebbe vinto. Nel 2018 ci sono stati diversi segnali di nervosismo da parte degli investitori stranieri nei confronti del mercato indonesiano: nonostante il gra-duale miglioramento economico, emergeva la forte preoccupazione per l’indebolimento della rupia indonesiana, che avrebbe potuto compromettere la ripresa. Tutto ciò in un contesto in cui, sia il governo, sia i bilanci del-le aziende rimanevano solidi. La debolezza del cambio è stata un tratto co-mune nei mercati asiatici nel 2018, ma la ru-pia indonesiana è stata una delle valute peg-giori. Su essa ha pesato il deficit delle partite correnti e le tensioni sui mercati emergenti, causate soprattutto dalla crisi della lira tur-ca, in un contesto generale in cui la Fed era pronta a politiche monetarie più restrittive.

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La Banca centrale locale ha reagito in modo proattivo, approntando una serie di misure a sostegno del cambio: aumento dei tassi (175 bps) e, lo scorso agosto, di fronte a un ulteriore crollo della divisa verso il dollaro, utilizzo delle riserve valutarie per acquistare titoli di stato. Con la normalizzazione delle tensioni sui mercati, l’atteggiamento degli investitori è migliorato, tanto da attendersi, in futuro, una politica monetaria espansiva.

RATING CONFERMATOLo scorso febbraio, l’agenzia di rating Moo-dy’s ha riaffermato a “Baa2 stable” il rating sovrano dell’Indonesia, sostenendo che il debito è contenuto, le dimensioni dell’eco-nomia sono ampie, con prospettive di una crescita sana, nonostante ci sia una dipen-denza dai finanziamenti esteri. L’agenzia ha sottolineato, inoltre, che l’indebolimento della divisa ha avuto ampie ripercussioni sull’economia. Tuttavia, un forte piano po-litico e strategico, sia monetario, sia fiscale, insieme a uno stretto coordinamento tra i vari soggetti istituzionali chiamati in causa, ha contribuito a mantenere il profilo di credito

logiche politiche del passato. Il rimpasto avvenuto nel 2016 ha invece permesso la costituzione di un esecutivo più dinamico, competente e incline a proseguire il piano di riforme. Sarà importante ora vedere se il governo, risultato delle recenti elezioni, riu-scirà a imprimere un’ulteriore accelerazione al cammino intrapreso.L’Indonesia ha biso-gno di attrarre più capitali esteri e di farlo in modo da creare valore e ricchezza anche e soprattutto in termini di capitale umano. Moody’s stima che la crescita fletta mode-ratamente, tra il 2019 e il 2020, dal 4,9% al 4,8%, per un rallentamento dello sviluppo delle infrastrutture e del commercio globa-le. Se i consumi privati terranno, ci si atten-de che la spesa governativa rallenti dopo le elezioni. L’apertura del paese al commercio è comunque contenuta ed è quindi meno esposto a una contrazione a livello globale rispetto ad altre economie della regione Ma ci sono le due facce della medaglia. Un acuirsi delle tensioni commerciali tra Usa e Pechino avrebbe un impatto pesante sull’In-donesia, che rimane molto esposta alla Cina, suo maggiore trading partner.

del debito sovrano.Nei primi cinque anni del-la presidenza Jokowi, è stata posta molta en-fasi sulle riforme infrastrutturali, con un rad-doppio delle autostrade e della connettività. L’e-commerce è cresciuto e sta prendendo una quota sempre più grande delle vendite, grazie all’enorme sviluppo di infrastrutture correlate. Il governo si è poi fatto promotore di un particolare modello di attività B2B che attira capitali stranieri, soprattutto dalla Cina. E non si tratta della Via della seta. Il modello realizzato facilita il processo di investimenti esteri diretti, sostiene lo sviluppo industriale e crea opportunità di lavoro e passaggio di conoscenza. L’Indonesia è un’economia do-mestica, ma le esportazioni pesano per circa il 20% del Pil e tra queste il 40% è costituito da materie prime, in particolare carbone e olio di palma. Così il governo si è concen-trato sul rimanente 60% dell’export e ha introdotto politiche che sostengono cinque comparti manifatturieri: auto, tessile, elettro-nica, chimica e alimentare/bevande.Se il governo insediatosi nel 2014 aveva se-gnato un segnale di cambiamento, non era riuscito a rompere completamente con le

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di Heidi Foppa*

OSSERVATORIO IMPACT INVESTING

L’opportunità di agire

La giovane attivista svedese Greta Thun-berg ha attirato l’attenzione di tutto il mondo nel suo accalorato discorso ai le-ader mondiali riuniti in Polonia per collo-qui Onu sul clima. Greta ha invitato tutti ad agire come se fossimo in uno stato di panico, come quando la casa è in fiamme. Inutile affidarsi alla speranza che i proble-mi si risolvano da soli. «Intorno al 2030 si rischia di scatenare una reazione a catena irreversibile, al di là del controllo umano. Ciò molto probabilmente porterà alla fine della nostra civiltà così come la co-nosciamo, a meno che in quel momento non si siano verificati cambiamenti per-manenti in tutti gli aspetti della società, compresa una riduzione delle emissioni di Co2 di almeno il 50%», sostiene Greta. Secondo un’indagine del World econo-mic forum, condotta presso oltre 1.000 esperti, i maggiori rischi globali per l’av-venire sono rappresentati dai disastri na-turali e non sono piu di natura economi-ca, come avveniva solamente 10 anni fa.Secondo i calcoli delle Nazioni Unite, per finanziare adeguatamente gli obietti-vi di sviluppo sostenibile (Sdg) mancano all’appello investimenti per 2,5 trilioni di dollari.

NON ILLUDIAMOCIDi fatto è molto positivo notare che pia-no piano importanti attori del settore

finanziario cominciano ad agire. C’è chi lo fa come Amundi, il più grande asset manager in Europa con oltre 1,4 trilioni di asset in gestione, attraverso il fondo tematico Climate action, che mira a iden-tificare le società più avanzate in termini di lotta al cambiamento climatico. C’è poi chi pianta alberi con parte delle com-missioni maturate; chi esclude il finanzia-mento ad aziende che hanno un impatto negativo sull’ambiente, attraverso politi-che di analisi delle pratiche e delle per-formance di Esg. Tuttavia, non illudiamoci. Ancora oggi la maggior parte degli operatori di Wall Street non è focalizzata su questi temi. Non sono certa che nel mondo degli investimenti quotati e liquidi, scambiati virtualmente e spesso in nanosecondi, il relativo prezzo di fatto premi elementi sociali e ambientali. Ma ogni azione è pur sempre un piccolo passo per collegare Wall Street con Main Street.

UN ESEMPIO DA STUDIAREÈ piu facile a oggi gestire e monitorare l’impatto netto positivo nei mercati pri-vati. Anche in questo caso è molto inco-raggiante vedere primarie imprese agire con determinazione e passione. Partners group, tra i piu grandi investitori priva-te markets a livello globale con oltre 83 miliardi di capitali in gestione, è un caso

d’eccellenza da studiare. Il suo impegno dimostra l’importanza e l’impatto positi-vo che si può generare, investendo se-condo i criteri di impact investing, otte-nendo anche un premio economico.L’esperienza di Partners group nell’im-pact investing risale al 2006, quando la fondazione dei dipendenti, Pg impact(Ve-rein), fu istituita e incorporata sulla scia dello tsunami asiatico del 2004. Da allora sono state supportate 52 imprese sociali. Nel 2015 è stato poi deciso di istituzio-nalizzare la pratica di investimento di impatto ed è stato sostenuto il lancio di Pg impact investments, società di asset management focalizzata sulla ricerca di soluzioni di investimento per affrontare le sfide sociali più urgenti del mondo.

FUND RAISING RIUSCITOTutti i profitti derivanti dalle attività com-merciali di Pg impact investments sono trasferiti a Pg impact investments foun-dation, che supporta iniziative sociali che altrimenti non riceverebbero finanzia-menti da investitori commerciali o fondi di investimento. Il fatto che Pg impact investments abbia appena concluso un fund raising di oltre 200 milioni di euro, contro una previsione di 150 milioni, di-mostra quanti investitori sono pronti ad agire, pur rinunciando alla liquidabilità del proprio investimento a breve.

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È questo un esempio di come si possa operare in modo esemplare e collabora-tivo, con la ferma intenzione di rendere la gestione degli investimenti e il relativo impatto più efficaci ed efficienti a livello globale, scalando l’intervento ove possi-bile. Da questa ambizione nel 2018 è nata anche Pg life, una strategia di investimen-to rivolta a società che hanno alte poten-zialità di contribuire al raggiungimento degli Sdg, includendo anche la minimizza-zione o l’esclusione di impatti negativi. In particolare, gli investimenti si focalizzano a contribuire agli Sdg che riguardano l’i-struzione, l’assistenza sanitaria, l’accesso all’energia e l’inclusione sociale.

DIALOGO FONDAMENTALERacconta Carmela Mondino, ingegnere, appassionata e responsabile dell’integra-zione dei fattori Esg nei processi d’in-

gestione con approccio impact investing siano intorno a 502 miliardi di dollari, si può affermare che abbiamo tanti ele-menti cruciali e incoraggianti per agire. Il 72% degli investitori, infatti, conferma di avere raggiunto gli obiettivi di rendi-mento finanziario; ben oltre l’86% ritie-ne di avere generato l’impatto sociale prefissato.«Dobbiamo iniziare a trattare la crisi come una crisi e agire, anche se non abbiamo tutte le soluzioni», è il sugge-rimento di Greta.

* Heidi Foppa ha lavorato con diversi incarichi di responsabi-lità in banche, case di investi-mento e assicurazioni. Attual-mente sta portando avanti un importante progetto di impact investing in Kenya.

vestimento presso Partners group, che il dialogo con le società è fondamenta-le. Più che chiedere numeri e report, lei vuole sapere dai manager come intendo-no migliorare le prassi gestionali e quali procedure hanno implementato.Per gestire e valutare sistematicamente l’impatto netto positivo degli investimen-ti, Pg life ha adottato le linee guida impact management project (il documento è di-sponibile sul sito aziendale). Si tratta di un modello operativo comple-to, che fa tesoro dell’esperienza conso-lidata di oltre 1.300 impact investor im-pegnati a gestire i maggiori rischi globali, ma soprattutto a cogliere opportunità di sviluppo e impatto positivo.

ELEMENTI INCORAGGIANTISe aggiungiamo i recenti dati pubblicati dal Giin, che stima che ora le masse in

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a cura di Boris Secciani

A maggio l’Italia ha visto nuovamente mo-menti non facilissimi a causa di una risa-lita dello spread fra il Btp decennale e il Bund equivalente, anche se in questo caso il fenomeno è stato spinto soprattutto dal fatto che i rendimenti del reddito fisso te-desco hanno visto una forte caduta. In pra-tica, a ogni alito di vento contrario, l’Italia si trova al centro della volatilità dei mercati.Se allarghiamo, però, l’orizzonte tempora-le, si scoprono alcuni risultati interessanti a livello di economia reale. Nello specifico gli ultimi cinque anni hanno visto un arresto del processo di deterioramento relativo che ha interessato la Penisola per un’inte-ra generazione. Entrando un po’ più nello specifico, è interessante osservare l’evolu-zione del Pil pro capite italiano calcolato a parità di potere d’acquisto (Ppp), secondo il metodo usato dal Fondo Monetario In-ternazionale dei “dollari Geary Khamis”, noti anche come dollari internazionali.

IL MASSIMO NEGLI ANNI ‘90L’Italia ha raggiunto nei primi anni ‘90 l’a-pice del proprio benessere relativo, dopo una lunga fase di rincorsa nei confronti del-le economie più avanzate. Per esempio, nel 1993 il Pil pro capite Ppp italiano era più alto del 7% rispetto a quello della Svezia. Nello stesso periodo il rapporto equiva-lente nei confronti della Germania era al 94%, mentre verso gli Usa nei primi anni ‘90 questo indicatore oscillava intorno all’84-85%. In pratica all’epoca in termini relativi l’Italia aveva ben poco da invidiare alle più moderne economie del mondo. Da allora, per ragioni che sono state ana-lizzate ormai in una moltitudine di lavori, è cominciato un declino relativo impressio-nante, che ha portato nel corso di un ven-tennio alla perdita di circa un punto di Pil pro capite relativo all’anno e in alcuni casi anche di più. Ad esempio, nel 2014 il ratio con gli Stati Uniti era sceso al 64%, mentre quello con la Germania al 75%.In particolar modo fa impressione nell’a-nalisi dei citati 20 anni la regolarità della perdita di Pil italiana anno dopo anno, con governi di ogni orientamento e scenari economici globali di qualsiasi genere: il no-stro paese ha perso a ritmi uniformi, recu-perando solo occasionalmente qualche de-cimale qua e là. Non sorprendentemente, il periodo peggiore è stato il quinquennio 2009-2013, all’apice della crisi finanziaria. Ma è interessante notare che da allora la

DIETRO I NUMERI

PIL PRO CAPITE A CONFRONTO

Un’Italia in stagnazionein un mondofermo

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Dai valore ai tuoi investimenti.Insieme possiamo fare la differenza.

Rendimenti e Responsabilità. È nel nostro DNA nordico.

Il presente contiene materiale pubblicitario e potrebbe non fornire tutte le informazioni rilevanti rispetto al/i fondo/i presentato/i. Gli investimenti riguardanti i fondi Nordea devono essere effettuati sulla base del Prospetto informativo e del Documento contenente le informazioni chiave per gli investitori (KIID), che sono disponibili sul sito internet www.nordea.it, insieme alle relazioni semestrali e annuali, e ad ogni altra documentazione d’offerta. Tale documentazione, sia in inglese che nella lingua locale del mercato in cui la SICAV indicata è autorizzata per la distribuzione, è anche disponibile senza costi presso Nordea Investment Funds S.A., 562, rue de Neudorf, P.O. Box 782, L-2017 Lussemburgo, e in Italia, presso i Soggetti collocatori. L’elenco aggiornato dei soggetti incaricati dei pagamenti, raggruppati per categorie omogenee, è messo a disposizione del pubblico presso gli stessi Soggetti collocatori, e presso le filiali capoluogo di regione di State Street Bank International GmbH – Succursale Italia, BNP Paribas Securities Services - Succursale di Milano, Banca Sella Holding S.p.A., Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A., Allfunds Bank S.A.U. Succursale di Milano, Société Générale Securities Services S.p.A. e sul sito www.nordea.it. Il Prospetto ed il Documento contenente le informazioni chiave per gli investitori (KIID) sono stati debitamente pubblicati presso Consob. Pubblicato da Nordea Investment Funds S.A., 562, rue de Neudorf, P.O. Box 782, L-2017 Luxembourg, che è autorizzata dalla Commission de Surveillance du Secteur Financier (CSSF) autorità lussemburghese di sorveglianza dei mercati finanziari.

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situazione si è stabilizzata: i cinque esercizi del lustro 2014-2018 rappresentano il più lungo periodo di tenuta relativa dell’Italia da 30 anni a questa parte nei confronti delle economie più brillanti del nuovo mil-lennio. Ad esempio, il paese ha raggiunto nel 2014 il minimo dalla fine degli anni ‘80 nel rapporto del Pil pro capite a Ppp con l’Australia intorno al 75%, ma nel 2018 questo valore era circa lo stesso con una variabilità minima nel corso del quinquen-nio. La stessa cifra si nota confrontando il dato con la Germania: anche in questo caso intorno al 75% per cinque anni. Gli Stati Uniti, nonostante la perenna ripresa, la piena occupazione e l’accelerazione do-vuta al taglio alle tasse voluto da Donald Trump, hanno guadagnato circa un punto percentuale rispetto alla Penisola, che è passata dal 64,4% del Pil pro capite Ppp statunitense del 2014 al 63,3% del 2018. Nei confronti del Canada si è avuto addi-rittura un miglioramento con un rialzo da circa il 77,9% al 79,8%. Verso la Svezia la stabilizzazione è cominciata solo nel 2015 intorno al 72-73% (fra il 2014 e il 2015 si era avuto ancora un calo consistente).

A CONFRONTO CON L’ASIAQueste economie non sono state prese a caso: si tratta di alcuni dei protagonisti del-la globalizzazione di questi ultimi decenni e sono fra le realtà che sono uscite me-glio da un mondo il cui tasso di crescita è andato progressivamente calando. Ed è interessante notare che il discorso non cambia più di tanto neppure se ci si sposta in Asia: ad esempio nel 2014 il parametro che è stato utilizzato era nel caso di Hong Kong, una delle città più ricche del mondo e uno dei maggiori poli finanziari del piane-ta, intorno al 63%, per arrivare al 61% nel 2018. Circa due punti percentuali sono sta-ti persi curiosamente anche nei confronti di Singapore e Taiwan nello stesso lasso di tempo. Tanto per mettere in prospettiva le dinamiche, nel periodo 2003-2007, all’apice dell’esplosione cinese, l’Italia è passata da un Pil pro capite Ppp del 3,9% più alto di quello di Hong Kong nel 2003 all’83% nel 2007.Solamente la Corea del Sud ha mantenuto un passo significativamente più robusto: nel 2014 l’Italia era ancora lievemente da-vanti (+0,3%), mentre nel 2018 era scesa al 95,9%. Anche in questo caso, però, la stabilizzazione è stata impressionante: per

esempio nel 2010 il nostro valore era anco-ra del 16,9% più elevato di quello coreano per scendere appunto a +0,3% nel 2014.

UNO SVILUPPO BASSOQuesti dati rivelano una verità interessante: la ripresa italiana è stata comunque debo-lissima, quasi impercettibile, fino al 2016 e sembra che sia tornata tale. Ovviamente la serie di dati è molto breve, però era da una generazione che la nostra nazione non teneva così gli argini. Forse, però, sarebbe meglio dire che è tutto il resto del piane-ta che progressivamente si sta sviluppando sempre meno, al netto delle variabili de-mografiche. Infatti spesso i commentatori

dimenticano che l’economia italiana è gra-vata anche da una crescita della popolazio-ne negativa, mentre ad esempio l’Australia vede incrementi annuali tuttora intorno a +1,3%, la Gran Bretagna a +0,6% e gli Usa a +0,7%. Al tempo stesso la metodologia utilizzata dal Fondo Monetario Internazionale è dif-ferente rispetto alle classiche formule in-serite nei deflatori dei vari Pil. Il sospetto, dunque, è che molta della crescita mondia-le sia in realtà più apparente che sostan-ziale, fatto testimoniato anche da un anda-mento non entusiasmante da parte degli asset rischiosi nel periodo preso in esame, specialmente se convertiti in dollari.

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Messaggio pubblicitario con fi nalità promozionali. Le informazioni contenute nel presente documento non costituiscono o erta al pubblico di strumenti fi nanziari né una raccomandazione riguardante strumenti fi nanziari. L’investimento comporta dei rischi. Prima di qualunque investimento, i potenziali investitori devono esaminare se i rischi annessi all’investimento siano appropriati alla propria situazione. In caso di dubbi, si raccomanda di consultare un consulente fi nanziario al fi ne di determinare se l’investimento sia appropriato. Il valore delle quote è soggetto alle oscillazioni del mercato e il valore del proprio investimento può scendere così come salire. È pertanto possibile che il capitale inizialmente investito non venga integralmente restituito, in particolare a seguito di un ribasso dell’indice di riferimento. Prima dell’adesione leggere il KIID, che il proponente l’investimento deve consegnare all’investitore prima della sottoscrizione, ed il Prospetto, pubblicati sul sito www.amundi.it e su www.amundietf.it. I rendimenti passati non sono indicativi di quelli futuri e non vi è garanzia di ottenere uguali rendimenti per il futuro. Il presente documento non è rivolto ai cittadini o residenti degli Stati Uniti d’America o a qualsiasi “U.S. Person” come defi nita nel SEC Regulation S ai sensi del US Securities Act of 1933 e nel Prospetto.Amundi ETF rappresenta l’attività in ETF di Amundi Asset Management (SAS), Società di gestione autorizzata dall’Autorité des Marchés Financiers (“AMF”) con il n° GP 04000036 - Sede sociale: 90 boulevard Pasteur 75015 Paris, France - 437 574 452 RCS Paris ed avente capitale sociale di EUR 1 086 262 605.*¡Fonte Amundi: Confronto basato sulle spese correnti (ongoing charges) di ETF “core” equivalenti disponibili in Europa. Fonte dati Bloomberg al 31/01/2019. Importante: alcuni singoli Fondi possono non essere meno cari dei loro omologhi a livello europeo o possono non avere un omologo con il quale e ettuare un confronto. L’analisi esclude commissioni/costi sostenuti direttamente dagli investitori in sede di della negoziazione del Fondo.(1) Fonte IPE “Top 400 asset managers” pubblicato in giugno 2018 e basato sugli AUM a dicembre 2017. |

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a cura di Boris Secciani

Come definireste una società glo-bal brands?«Come un’azienda di elevata qualità, ben gestita e con un prezzo ragionevole. Que-ste imprese sono caratterizzate da asset immateriali solidi, in particolare per quanto riguarda brand e network. Inoltre presen-tano rendimenti elevati e stabili sul capitale operativo, sostenibili nel lungo periodo».

Qual è la vostra metodologia di investimento? Siete completa-mente focalizzati su un approccio bottom up o aggiungete anche un livello top down?«Il fondo Global Brands è gestito attiva-mente e utilizziamo un approccio bot-tom-up per la selezione dei titoli in porta-foglio. Cerchiamo società di elevata qualità, le cosiddette compounder, con utili resi-lienti, in grado di fare fronte, sia a periodi positivi, sia a quelli negativi del mercato: devono essere caratterizzate da solidi as-set immateriali, visibilità degli utili e valuta-zioni attraenti».

Quali prospettive di guadagno of-fre questa tipologia di società in un contesto relativamente diffici-le per gli utili come dovrebbe es-sere il 2019?«Ci preoccupa il fatto che gli utili siano ancora insostenibilmente elevati, in parti-colare negli Stati Uniti. I margini sono vicini ai livelli massimi, così come la quota di pro-dotto interno lordo dei profitti e il livello di leva potenziale che sostiene gli utili per azione. Gli earning, inoltre, stanno calando in una fase di rialzo delle quotazioni. Ciò perché i mercati stanno semplicemente prezzando un leggero rallentamento eco-nomico e i bilanci delle società molto in-debitate non sono preparati per una situa-zione di maggiore austerità. Data la nostra preoccupazione sulle prospettive degli utili, continuiamo tendenzialmente a consigliare di possedere titoli compounder di eleva-

FACCIA A FACCIA CON IL GESTORE

BRUNO PAULSONPORTFOLIO MANAGER INTERNATIONAL EQUITY TEAM CO-MANAGERGLOBAL BRANDS FUNDSMORGAN STANLEY INVESTMENT MANAGEMENT

In cerca di compounder

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o contratti a lungo termine, supportano il livello delle vendite. La combinazione di vendite robuste e margini forti dovrebbe contribuire a generare profitti elevati, in particolare in presenza di una leva operati-va o finanziaria limitata».

Se l’economia continuasse a dete-riorarsi e a scivolare rapidamente verso quella che possiamo defini-re una recessione globale, come modifichereste il vostro portafo-glio?«Non lo modificheremmo. L’impatto della crisi finanziaria internazionale del 2008/2009 avvalora la nostra tesi secondo cui i compounder possono rappresentare una sorta di sicurezza per la fase avanza-ta del ciclo. Nel corso della crisi, il nostro fondo Ms Invf Global Brands ha visto in realtà aumentare le performance, mentre il mercato è calato del 40%. Inoltre, i gua-dagni dei principali settori presenti nell’at-tuale portafoglio (beni di prima necessità, software e servizi It nell’ambito dell’infor-mation technology e sanità), che combinati rappresentano oltre l’80% dei nostri por-tafogli globali, hanno retto molto meglio di quelli dei settori ciclici loro concorrenti».

ta qualità. La combinazione data da ricavi ricorrenti e dal potere di definire i prez-zi dovrebbe proteggere rispettivamente fatturato e margini, preservando i profitti. Le azioni delle società compounder sono caratterizzate anche da una maggiore pro-babilità di essere relativamente immuni a qualsiasi emergenza finanziaria, qualora vi fosse una crisi dei mercati delle obbligazio-ni corporate».

Quale tipo di profilo di rischio e di beta rispetto al mercato evi-denzia il vostro comparto global brands?«Le società compounder di alta qualità che ricerchiamo, cioè aziende ben gestite, con rendimento elevato e ritorno sul capitale operativo sostenibile, tendono a registrare prestazioni migliori in tutti i cicli di mercato e sono meno vulnerabili alla volatilità eco-nomica, mentre gli indici, a nostro parere, sono intrinsecamente rischiosi. Puntiamo a minimizzare perdite di capitale permanenti rispetto al tracking error e ci focalizziamo sulla resilienza del franchise della società, sulla capacità del management, sullo stato di salute finanziaria e sulla valutazione dei titoli detenuti in portafoglio. Al 31 mar-

zo 2019, il beta del fondo Ms Invf Global Brands era 0,76».

In linea generale, come valutate il mercato azionario internazionale? Ritenete che è tempo di essere un po’ più prudenti?«Il 2019 presenta alcuni preoccupanti echi del 1999. I mercati sono in forte rialzo, malgrado guadagni deboli, mentre assistia-mo al ritorno di offerte pubbliche iniziali (Ipo). Se ci trovassimo veramente nello stadio avanzato del ciclo e fossimo quindi vulnerabili alla pressione dei margini tipica di questa fase, seguita da una crisi economi-ca, tenderemmo a dire che un portafoglio di società compounder sembra davvero il posto migliore per investire. Come detto, i compounder presentano rendimenti eleva-ti sostenibili, supportati da solidi asset im-materiali. Un elemento importante è dato dal fatto che esigiamo anche un forte pote-re di definizione dei prezzi, ricavi ricorrenti e una leva operativa e finanziaria limitata. Questo potere sui prezzi, generalmente so-stenuto da un brand e da un network solidi, permette alle aziende di proteggere i mar-gini quando aumentano i costi, mentre i ri-cavi ricorrenti, derivanti da acquisti ripetuti

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a cura di Boris Secciani

Gli asset su cui investite presenta-no caratteristiche molto diverse. C’è alla base del vostro approccio una filosofia comune?«Se dovessi individuare la filosofia che sta alla base del nostro processo di gestione di attività tanto diverse, come i fondi di fon-di di private equity, i fondi che investono in infrastrutture e quelli in immobiliare, direi che l’elemento base è che si tratta di asset non quotati e quindi spesso soggetti a un forte premio di liquidità. Ciò che li acco-muna, ovviamente, è anche il fatto di essere un’area enorme dell’economia mondiale e per di più in grande crescita. Pensiamo solo all’azionario: nel corso degli ultimi 20 anni, il numero di aziende nei listini degli Stati Uniti è diminuito del 50%, mentre in Europa ci sono 1,6 milioni di società non quotate con almeno 10 dipendenti. Si tratta di un ventaglio di opportunità che non è imme-diatamente accessibile agli investitori privati e agli istituzionali di minori dimensioni. Noi vogliamo offrire ai nostri clienti prodotti in grado di catturare in maniera efficiente il premio di liquidità che rappresenta un’im-portante fonte di rendimento, qualora si adotti un orizzonte temporale ragionevo-le. In diversi casi esso può fornire qualcosa come 200-300 punti base all’anno. Inoltre spesso gli asset private forniscono una buo-na diversificazione, essendo poco correlati con l’andamento generale dei mercati».

Come approcciate l’investimento infrastrutturale?«Quando investiamo in questo ambito vo-gliamo posizionarci in nicchie in grado di fornire un cash flow stabile sul lungo pe-riodo, intendendo con ciò un orizzonte temporale di 20 anni. Il nostro obiettivo è fornire in questo segmento un rendimento annuale dell’8-10%, di cui il 4-5% è dato dal carry annuale generato da questo tipo di attività. Operiamo in diversi comparti che comprendono le infrastrutture per gestire la produzione di energia elettrica rinnova-

FACCIA A FACCIA CON IL GESTORE

ROGER PIMHEAD OF PRIVATE MARKETS PRODUCT STRATEGYSOLUTIONS ABERDEEN STANDARD INVESTMENTS

Investire su tutto ciò che non è quotato

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bile e altri segmenti cruciali per la decarbo-nizzazione dell’economia, quali lo stoccag-gio energetico e le smart grid. Inoltre siamo presenti nella distribuzione del gas e in concessioni in ambito ferroviario e del tra-sporto dei prodotti energetici. Lavoriamo insieme a diversi governi per trovare una soluzione ottimale, consci del fatto che l’in-tervento del settore privato è fondamenta-le per venire incontro alle enormi esigenze infrastrutturali attuali. Necessità che sono al di là della portata di qualsiasi stato».

In questo tipo di investimenti c’è un non indifferente rischio politi-co: come lo gestite?«Siamo ben consci della presenza di que-sta tipologia di rischi: per questo motivo un punto per noi fondamentale è investire solo in asset di cui comprendiamo ogni singolo aspetto, con lo scopo di privilegiare la sta-bilità rispetto al potenziale rendimento. Ciò ci porta, ad esempio, a evitare di esporci a progetti la cui redditività dipende da sussidi pubblici e a scegliere infrastrutture di cui ci sarà bisogno per almeno i prossimi 20 anni».

Nel private equity, come struttu-rate i vostri portafogli?«In questo ambito costruiamo un porta-foglio di diversi gestori europei che ope-rano, sia sul mercato primario, sia su deal secondari. Per capire come ci muoviamo in questo settore, bisogna prima comprende-re alcune diversità fondamentali fra il pri-vate equity europeo e quello statunitense. Innanzitutto i money manager del Vecchio continente tendono a essere specializza-ti su un paese, mentre negli Usa vi è una maggiore quantità di prodotti incentrati su specifici settori. Inoltre quello americano è un mercato enorme, spesso focalizzato su operazioni che possono essere definite di venture capital oppure su acquisizioni di grandi dimensioni. In Europa, invece, ci sono ancora diverse opportunità tra aziende di grande valore, ma di minori dimensioni, anche se le valutazioni non sono più così convenienti come lo erano qualche anno fa. Nonostante i nostri Aum in ambito priva-te equity superino 50 miliardi di dollari e la quantità di risorse a disposizione, è proprio sui temi appena descritti che ci concen-triamo. Per cogliere queste occasioni tra le small cap selezioniamo l’insieme di gestori di private equity che meglio risponde alle nostre esigenze».

Quali caratteristiche cercate in un gestore di private equity?«Disponiamo di un vasto team di ricerca: tra i circa 1.300 money manager che operano in Europa in questa asset class, solo 500 presen-tano un buon livello di credibilità. In questo insieme procediamo per paese, valutando elementi chiave quali la stabilità del team, le performance, i punti di forza e quelli di debo-lezza. L’ideale per noi è trovare un manager che operi in un segmento con un minore gra-do di competitività. Nel settore in cui si muo-ve deve vantare una profonda conoscenza, in grado quindi di porlo in una posizione di van-taggio competitivo, e occorre che adotti un orizzonte temporale di lungo periodo com-patibile con i nostri obiettivi di investimento. Preferiamo, piuttosto che essere focalizzati su due-tre segmenti, concentrarci su quei pro-dotti che offrono un grande livello di cono-scenza degli investimenti trattati. Storicamen-te sul piano geografico siamo sempre stati un po’ sottopesati sulla Scandinavia e sull’Italia. In quest’ultima, comunque, vediamo alcune op-portunità interessanti allo stato attuale».

Oggi c’è un pericolo nel private equity di un ammontare non basso di leva in alcuni ambiti?

«Sicuramente è un elemento da tenere sotto osservazione con grande attenzione: non sia-mo comunque ai livelli estremi comuni pri-ma della crisi finanziaria. Inoltre molti prestiti emessi negli ultimi anni da parte dei fondi di private equity hanno caratteristiche cove-nant-lite. Il che sicuramente rappresenta un problema per quei fondi obbligazionari che hanno comprato una grande quantità di Clo basati su questo sottostante, però al tem-po stesso questa evoluzione permette una maggiore flessibilità nel caso di uno shock al sistema».

Infine, quali trend vedete emergere nel mercato immobiliare?«A livello top down, un ambito su cui in-vestiamo una grande quantità di risorse di ricerca, non possiamo non notare che nell’immobiliare la dispersione è molto ele-vata. Interi segmenti di questo insieme sono in forte difficoltà: pensiamo, ad esempio, alle strutture della grande distribuzione, specie in ambito sub-prime. Dall’altra parte, invece, altri asset, come la logistica, gli aeroporti, cer-te parti del residenziale, sono in condizioni eccellenti. Proprio questo fenomeno di di-spersione permette di generare consistenti quantità di alfa».

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di Boris Secciani

GESTORI

BIOTECNOLOGIE

Growthancora a prezzo accettabile

Nel primo trimestre del 2019 i titoli biotech hanno registrato performance nettamente miglio-ri rispetto agli indici e dai minimi di dicembre ai massimi a inizio di aprile il Nasdaq biotech index è salito del 28%. Inoltre questo comparto, nonostante il rally, è andato a configurarsi come un settore tipicamente growth at reasonable value. E soprattutto, a fianco a grandi gruppi che ope-rano essenzialmente sui grandi temi, come l’oncologia e l’invec-chiamento, si stanno mettendo in evidenza diverse realtà mino-ri, che operano nel campo delle malattie rare. Infine una grande quantità di M&A costituisce uno dei driver fondamentali

Se la ripresa dei mercati è stata spettaco-lare in tutti i primi quattro mesi del 2019, ancora più forte è stato il ritorno nel pri-mo trimestre del 2019 dei titoli della bio-tecnologia. Infatti, limitandoci ai soli Usa, dai minimi di dicembre ai massimi a inizio

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di aprile il Nasdaq biotech index è venuto su di oltre il 28%. Ovviamente l’ambien-te generale particolarmente propenso al rischio, specialmente negli Stati Uniti, ha condotto all’ennesimo rally a tema growth di questi ultimi anni.Nel caso specifico di questo comparto, poi, come affermano quasi tutti i gestori specializzati, la fine del 2018 ha portato le quotazioni a livelli davvero interessan-ti, soprattutto per i colossi. In pratica nei tempi recenti più che mai le biotecnolo-gie sono andate a configurarsi come un settore tipicamente growth at reasonable value. È interessante inoltre notare che può essere diviso in due tronconi, con le mega-cap da una parte e i gruppi di minori dimensioni dall’altra, cui è però demanda-ta gran parte della ricerca più innovativa. Insomma anche il biotech sta maturando e sta cominciando sempre di più ad assu-mere la configurazione del farmaceutico classico, in cui le società dominanti devo-no rinnovare di continuo il proprio porta-foglio di prodotti e brevetti per rimanere competitive. Vale la pena comunque ricor-dare che la farmacologia non rappresenta l’unico campo di applicazione di questo variegato insieme di tecnologie, ma è co-munque il maggiore e il più lucroso.Non sorprende, dunque, che, in condizio-ni minimamente decenti sui mercati, con-tinui a fiorire un’intensa attività di M&A o, in alternativa, di contratti di licenza. La divisione può forse apparire un po’ gros-solana, ma in generale si può affermare che in questo ambito le grandi capitalizza-zioni rappresentano un value play, mentre le aziende minori una tipica scommessa growth. Il fenomeno si interseca anche con le aree di sviluppo scientifico più in-teressanti, che comprendono non solo i grandi macro-temi, come l’oncologia, le malattie legate all’invecchiamento e agli stili di vita, ma anche la nicchia delle co-siddette malattie rare.

L’AREA DELLE MALATTIE RAREQueste ultime, fino a poco tempo fa sostanzialmente poco considerate dal-le major farmaceutiche per via del loro mercato potenziale piuttosto piccolo, si stanno trasformando in una delle aree più importanti in cui essere presenti, se si vuole investire nel biotech. La produttivi-tà scientifica, inoltre, ancora una volta nel 2018 ha mostrato un aumento, miglioran-

Sottopeso sulle mega-capQuali sono stati i driver alla base della ripresa delle quotazioni dei titoli biotech del 2019?«Dalla fine del 2018 l’indice Nasdaq biotech è avanzato di oltre il 18% in dollari, recuperando gran parte delle perdite subite a causa della forte volatilità del quarto trimestre dello scorso anno. I driver vanno ricercati nel ritorno all’attenzione degli investitori di quelli che continuano a essere i punti di forza di questo comparto: la performance infatti è stata trainata da dati clinici positivi, da buoni aggiornamenti sul fronte commerciale e dalla continua attività di M&A, in particolare nel settore oncologico e delle terapie geniche».

Con l’avvio della corsa alle presidenziali americane sta tornando il dibattito sul contenimento del costo dei farmaci, ragione alla base del declino delle quotazioni ad aprile, dopo il fenomenale primo trimestre. Qual è la vostra visione al riguardo?«Il dibattito sui costi sanitari dei farmaci rappresenta senz’altro un’importante sfida per il comparto, ma offre al tempo stesso una rara opportunità. Esso infatti sta prendendo una nuova direzione. In particolare la novità più importante è che il sistema di rimborsi basato sul valore già utilizzato in alcuni paesi è ora richiesto da più voci anche negli Usa, il principale mercato dei farmaci con ricetta. Il governo, le autorità normative, gli assicuratori e gli operatori del settore devono trovare un compromesso che permetta di gestire in modo efficiente i costi dei farmaci senza soffocare l’innovazione. Gli stakeholder più importanti, i pazienti, dovrebbero potere ricevere cure di alta qualità senza rischiare la bancarotta. Di conseguenza riteniamo che quella che si andrà ad aprire non sarà solo una fase di innovazione dal punto di vista scientifico, ma anche un miglioramento dei business model adottati dalle aziende del settore. Quelle che saranno capaci di offrire soluzioni innovative in grado di venire incontro ai problemi evidenziati rappresenteranno grandi occasioni di investimento».

Come operate le vostre scelte di investimento?«Sicuramente è per noi fondamentale posizionarci su società con ottime capacità di innovazione scientifica. Oltre a ciò, però, è importantissima anche una forte visione strategica per offrire maggiore valore a tutti gli stakeholder, investitori compresi. Oltre alla rigorosa analisi fondamentale dei fattori finanziari basata su modelli Dcf e alla valutazione di dati scientifici e clinici, è necessario prendere in considerazione altri elementi, come la gravità delle esigenze cliniche insoddisfatte di cui si occupa la società e la ragionevolezza dei prezzi dei farmaci in termini di accessibilità. In aggiunta a questa analisi fondamentale bottom-up, applichiamo un approccio sistematico alla costruzione del portafoglio, alla diversificazione e alla gestione del rischio. In generale questo processo ci porta ad avere un sottopeso nei confronti della mega-cap del Nasdaq biotech index».

Quali sono i rischi più importanti dei titoli a maggiore capitalizzazione di questo settore?«Per investire con profitto nell’ambito delle biotecnologie diversificare è estremamente importante, in particolar modo se si pensa che molti dei giganti del settore hanno diversi prodotti di punta che si stanno avvicinando alla fine del ciclo di vita. Le loro entrate e i loro margini sono quindi vulnerabili ai tentativi dell’Fda di aumentare la concorrenza».

TAZIO STORNI fund manager Pictet Biotech R-Eur Pictet Asset Management

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22 FONDI&SICAV Giugno 2019

do il profilo di rischio di asset tradizional-mente molto instabili. Se infine aggiungia-mo le sinergie che si stanno creando con l’ascesa della digitalizzazione e di alcune tecnologie curative come la terapia genica, guardare a quest’area del mercato appare quasi obbligatorio. C’è però un grosso ca-veat, che continua ad aleggiare sull’anda-mento in borsa dei titoli legati al settore: a livello di costi questo nuovo mondo che si sta andando a creare di farmaci quasi fantascientifici è semplicemente insoste-nibile, anche per le economie più ricche. Neppure l’entrata sul mercato di player asiatici sembra in grado di abbassare più di tanto i prezzi (a differenza di quanto è avvenuto nell’elettronica degli ultimi de-cenni) di prodotti per loro natura di una complessità incredibile e dal lungo e one-rosissimo processo di approvazione.

IL RISCHIO POLITICOCon l’avvio dei primi vagiti della campagna per le elezioni presidenziali statunitensi del 2020, peraltro caratterizzate all’inter-no del Partito democratico da una corsa verso posizioni più a sinistra, il tema del contenimento dei costi sanitari è tornato a farsi sentire, tanto che il Nasdaq bio-tech index ha evidenziato una correzione durante il mese di aprile, in concomitan-za con tutto ciò che è legato alla salute, come ricorda Michael Kagan, por-tfolio manager del fondo Legg Mason ClearBridge Us Appreciation: «Le società del comparto sanitario di recente hanno subito forti pressioni di vendita da parte degli investitori, dopo che è uscito un sondaggio in cui Bernie Sanders sem-brava in testa per la corsa alla nomination dei democratici. Infatti i mercati appaiono preoccupati dalla sua proposta di esten-dere Medicare a tutti i cittadini, provve-dimento che potrebbe alterare notevol-mente il sistema dei rimborsi esistente negli Usa. In ogni modo non è assoluta-mente scontato che Sanders sarà il can-didato democratico. Sondaggi più recenti infatti mostrano un chiaro vantaggio a fa-vore di Joe Biden, il quale giocò un ruolo determinante nell’approvazione dell’Oba-macare. Peraltro è tutt’altro che sconta-to il fatto che il presidente Trump perda contro ciascuno dei due. Sia le Hmo, sia i titoli biotech e i farmaceutici tradizio-nali attualmente appaiono decisamente a buon mercato e probabilmente scontano in maniera eccessiva il rischio di cambia-menti nelle politiche americane».

UN PROBLEMA REALEDi fondo, comunque, sicuramente il pro-blema è reale ed è destinato a diventare sempre più forte. A questo riguardo appa-re indicativo l’intervento di Christophe Eggmann, gestore del settore healthca-re & biotech di Gam Investments: «I progressi della genomica probabilmente continueranno a produrre effetti dirom-penti sul settore sanitario. Grazie a una ricerca approfondita, negli ultimi 20 anni abbiamo imparato a conoscere meglio le cause genetiche di una malattia. Eppure non è ancora stato trovato rimedio a ol-tre 7 mila affezioni genetiche, di cui solo il 5% è trattabile attualmente. La terapia genica promette di dare una soluzione a un numero molto elevato di patologie

rare. Infatti al mondo ci sono circa 7 mila malattie rare, di cui il 70% di origine ge-netica, con quasi 60 milioni di persone negli Stati Uniti e nell’Unione Europea che ne sono colpiti: di questi, 40 milio-ni sono affetti da rare patologie di origi-ne genetica. Le tecnologie per la terapia genica rappresentano una modalità di trattamento con effetti trasformativi per tutta una serie di malattie monogeniche, tra cui, per esempio, la fibrosi cistica. Ne-gli ultimi anni abbiamo assistito a rapidi progressi e ora, con le nuove modalità di trattamento, siamo vicini a una rivoluzio-ne. Accedendo a un vasto mercato di af-fezioni poco comuni, con la promessa di offrire un trattamento una tantum come cura definitiva, anziché limitarsi ad alle-viare i sintomi, si possono migliorare le vite di oltre 40 milioni di persone. E la tecnologia per trasformare questo sogno in realtà già esiste. La terapia genica vero-similmente sostituirà i trattamenti cronici esistenti. Certo, questo tipo di cura non è

MICHAEL KAGANportfolio managerLegg Mason ClearBridge Us Appreciation

CHRISTOPHE EGGMANNgestore del settore healthcare & biotech Gam Investments

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Prospettive molto positiveI titoli biotech hanno recuperato molto dallo scorso dicembre; a quale punto si trova ora questo comparto in termini di prospettive di utili, valutazioni e sentiment degli investimenti?«Le prospettive di lungo termine per il settore rimangono estremamente positive. Il numero di nuovi farmaci approvati nel 2018, che costituisce il massimo storico ed eclissa il record stabilito l’anno precedente, testimonia che la biotecnologia continua a essere una fonte chiave di prodotti per l’industria sanitaria. Durante lo scorso anno, il 93% dei farmaci è stato approvato nel primo ciclo di revisione e, per la prima volta, oltre la metà (56%) delle nuove approvazioni include indicazioni per il trattamento di malattie rare, mentre più di un terzo (35%) riguarda molecole definite “first in class”, ovvero farmaci che utilizzano un meccanismo d’azione nuovo e unico per la cura di una condizione medica. Per quanto riguarda le valutazioni, le riteniamo ancora estremamente attraenti, visto che le grandi big come Amgen, Biogen o Gilead hanno multipli prezzo/utile eccezionalmente bassi, spesso inferiori a 15».

Quali sono le aree più interessanti in cui investire?«Un’attenzione particolare viene riservata al settore dell’oncologia e delle patologie metaboliche, senza tralasciare quello delle terapie geniche, degli antivirali e delle malattie infiammatorie. Guardando poi ai cambiamenti nell’automazione, nella robotica e nell’Ai, cominciamo a vedere un aumento esponenziale del ruolo del software nel settore, con molte aziende che stanno iniziando a intraprendere il viaggio di trasformazione digitale che definirà come i loro impianti opereranno nei prossimi decenni. Le nuove tecnologie si concentrano sulle comuni sfide della produzione farmaceutica, come l’affidabilità, l’efficienza, la documentazione e il reporting».

Come si può costruire un portafoglio biotech con un rischio accettabile?«Nonostante si sia dimostrato uno dei migliori settori su cui investire negli ultimi 20 anni, con una performance che supera il 1.000% dal 2000 a oggi, la biotecnologia è ancora ritenuto un ambito ad alto rischio e per questo motivo queste azioni sono intrinsecamente volatili. Pertanto, la parte che riguarda la gestione del rischio è determinante per costruire rendimenti nel tempo. È quindi importante perseguire una strategia che preveda la diversificazione dell’investimento in un paniere di aziende promettenti. Senza dimenticare che l’investimento strategico nel settore della salute dovrebbe occupare una porzione limitata (10-15%) del patrimonio».

La spinta nell’attività di M&A che riguarda small e mid cap innovative del biotech si protrarrà? Il premio pagato non sta diventando eccessivo?«I significativi cambiamenti che stanno interessando il settore farmaceutico tradizionale, alle prese con la sempre più agguerrita concorrenza dei farmaci generici e con il “patent cliff” (le scadenze brevettuali), continuano a imporre alle grandi multinazionali la necessità di ravvivare le loro pipeline di prodotti. Tutto ciò mantiene vivo più che mai l’interesse delle società più affermate verso aziende che sviluppano terapie biologiche innovative, in particolare farmaci oncologici e cure per malattie rare. In termini di M&A, l’inizio del 2019 è stato scoppiettante, con Eli Lilly che ha scommesso 8 miliardi di dollari sul franchising di Loxo Oncology per il trattamento del cancro, Bristol-Myers Squibb che ha offerto 74 miliardi di dollari per acquisire Celgene (la terza maggiore società biotech Usa), Roche e Biogen che hanno rilevato Spark Therapeutics e Nightstar per entrare nell’arena delle terapie geniche e GlaxoSmithKline che ha perfezionato l’acquisizione di Tesaro, società focalizzata sull’oncologia, per un corrispettivo di circa 5,1 miliardi di dollari. Ora che nel settore biotecnologico le tecnologie sono migliorate drasticamente, i vecchi leader di Big pharma si sono resi conto che investire denaro per l’innovazione è la chiave per il successo futuro e siamo assolutamente convinti che la via obbligata per molti di essi rimanga l’acquisizione di società biotech, più dinamiche, dotate di sofisticatissime tecnologie e con pipeline ricche di farmaci molto promettenti. Alcuni si sono già mossi, altri lo stanno facendo e il resto, inevitabilmente, lo farà».

GIANPAOLO NODARIamministratore delegato J. Lamarck

a buon mercato: costa oltre un milione di dollari per trattamento, ma il suo prezzo di vendita non è nulla al confronto dei co-sti che deve sostenere a vita un paziente che riceve una terapia cronica, che sono stimati in 20 milioni di dollari. Nei prossi-mi tre/sette anni, reputiamo che i paradig-mi di trattamento potrebbero cambiare in modo radicale grazie alla terapia genica. E le aziende che stanno a guardare rischiano di restare indietro».Il modello spesa immediata elevata a fronte di risparmi derivanti dall’elimina-zione della cronicizzazione è sicuramente veritiero, il problema però è che spesso i governi preferiscono spesso una di-stribuzione di costi più elevati sul lungo periodo piuttosto che affrontare subito pesanti uscite di cassa. Come emerge dal-le considerazioni fatte nelle interviste ai gestori, per riuscire a fare decollare de-finitivamente queste enormi innovazioni serviranno progressi anche nei modelli di business, non solo a livello scientifico.

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di Tommaso Andreoli, investment solutions managerYusuf Durmaz, fund analyst - investment researchAllfunds Bank

I fondi nella categoria equity-biotechnolo-gy investono in titoli quotati del comparto biotech, sub-industry del settore healthca-re. Nel 2019 questi strumenti hanno regi-strato performance positive pari a +9,98% in dollari Usa; nel 2018, al contrario, l’in-dice ha segnato un rendimento negativo (-8,86%.) Alla fine di marzo di quest’anno i capitali allocati in prodotti che investono nelle biotech ammontavano a 308 milio-ni di euro su 180 miliardi intermediati da Allfunds. Sulla piattaforma di Afb i dati al termine del primo trimestre mostrano che i clienti istituzionali e quelli retail sono en-trambi interessati a questa categoria con il 50% ciascuno.Il peer group equity-biotechnology è com-posto da 16 fondi. Per la nostra analisi sono state prese in considerazione due strategie, ognuna delle quali è presente nella insight list: Ubs (Lux) Equity Fund-Biotech e Franklin-Biotechnology Disco-very. Il periodo di studio copre gli ultimi tre anni rolling al 30 aprile 2019 e la valu-ta considerata è il dollaro. L’indice di rife-rimento che è stato utilizzato è il Nasdaq biotech Tr return. Tutti i prodotti hanno più di tre anni di storia.Il Franklin-Biotechnology Discovery ha fat-to registrare le migliori performance nel 2019, con una volatilità annualizzata del 22,50%. Sui 12 mesi i due strumenti sele-zionati hanno evidenziato performance positive: +10,46% per il prodotto di Ubs, che presenta anche il maggiore indice di Sharpe pari a 0,34, e +12,93% per quello di Franklin. Vediamo ora nel dettaglio le caratteristiche dei singoli comparti.

Evan McCulloch e Steven Kornfeld di FRANKLIN-BIOTECHNOLOGY DISCOVERYIl Franklin-Biotechnology Discovery è ge-stito da Evan McCulloch, che ricopre anche il ruolo di team leader del settore healthcare, e da Steven Kornfeld. Il team di investimento segue un approccio bottom–up. Le raccomandazioni vengono

GESTORI

BIOTECNOLOGIE

Un inizio anno con il botto

TICKER RENDIMENTO VOLATILITÀ SHARPE ACTIVE CORRELAZIONE R2 BETA ALPHA TRACKING INFO RATIO JENSEN ALPHA TREYNOR ANNUALIZZATO PREMIUM ERROR RATIO

Nasdaq Biotechnology Total Return Index 6,29% 22,14% Ubs Lux Eq-Biotech Usd-Qac 7,67% 22,50% 0,34 1,39% 0,92 0,84 0,93 1,80% 8,98% 0,15 -0,05 0,09Frank-Biotech Disc-I-Accusd 5,55% 23,39% 0,24 -0,74% 0,97 0,95 1,03 -0,92% 5,30% -0,14 -0,08 0,06

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espresse sulla base di una forte convin-zione, senza alcuna influenza da parte dei trend di mercato di breve periodo. Il mo-ney manager mira a selezionare società con solidi fondamentali e valutazioni interessan-ti. Il processo di investimento si articola in tre fasi:- l’universo dei titoli viene filtrato dal team di analisti, allo scopo di eliminare le società che non presentano i requisiti prefissati dal team di gestione;- in seguito, viene applicato uno screening qualitativo e quantitativo per produrre una focus list;- i titoli della focus list sono soggetti a una rigorosa ricerca, per individuare i principali driver del business, di crescita, finanziari e di rischio.Gli analisti ricercano le seguenti caratteri-stiche:- qualità del management;

- robuste prospettive di crescita;- forte posizionamento nel mercato;- margini di profitto alti o in crescita;- buoni ritorni sugli investimenti.Ogni analista è responsabile del monitorag-gio degli sviluppi che riguardano la propria area di ricerca. Ognuno di loro, inoltre, svi-luppa i suoi giudizi (buy/hold/sell) sui titoli presenti nella focus list. Il processo di co-struzione del portafoglio mira a ottenere un profilo rischio/rendimento più efficiente rispetto al benchmark di riferimento. I fund manager mirano a:- costruire un portafoglio con un approccio bilanciato (esposizione a titoli con differenti capitalizzazioni di mercato);- realizzare un’allocation basata su una stra-tegia bottom-up volta a individuare società che presentano un eccezionale potenziale;- evitare investimenti in grandi società far-maceutiche, a causa degli stagnanti tassi di

crescita e con una scarsa cultura impren-ditoriale;- mantenere il portafoglio totalmente inve-stito;- investire a livello globale per massimizza-re le opportunità di investimento.Gli analisti lavorano, da vicino, con i fund manager per analizzare i trend e valutare, sulla base del profilo rischio/rendimento, le singole possibilità di buone performance. I titoli in portafoglio che non hanno raggiun-to i propri obiettivi o che hanno evidenzia-to importanti cambiamenti nei fondamen-tali vengono costantemente monitorati. Il posizionamento di un titolo in portafoglio viene ridotto o eliminato quando si eviden-zia uno dei seguenti criteri:- la posizione competitiva di lungo periodo o le prospettive di crescita si sono dete-riorate;- il potenziale di crescita del titolo è intera-

TICKER RENDIMENTO VOLATILITÀ SHARPE ACTIVE CORRELAZIONE R2 BETA ALPHA TRACKING INFO RATIO JENSEN ALPHA TREYNOR ANNUALIZZATO PREMIUM ERROR RATIO

Nasdaq Biotechnology Total Return Index 6,29% 22,14% Ubs Lux Eq-Biotech Usd-Qac 7,67% 22,50% 0,34 1,39% 0,92 0,84 0,93 1,80% 8,98% 0,15 -0,05 0,09Frank-Biotech Disc-I-Accusd 5,55% 23,39% 0,24 -0,74% 0,97 0,95 1,03 -0,92% 5,30% -0,14 -0,08 0,06

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mente riflesso nel suo prezzo;- esiste l’opportunità di investire in un’altra società che presenta un migliore potenziale di crescita;- dati quantitativi indicano che il tasso di crescita rallenterà nei prossimi trimestri.Il team di investimento non dichiara uno specifico target di performance, né alcun limite sul tracking error. Il fondo Fran-klin-Biotechnology Discovery è gestito, inoltre, senza alcun bias di stile. Si ritiene che la liquidità possa rappresentare il prin-cipale fattore di rischio per il portafoglio. Un eventuale shock nel mercato mid cap potrebbe impattare i ritorni di questo prodotto, a causa della difficoltà che si po-trebbero riscontrare nel liquidare alcune posizioni. Questa strategia non presenta una forte correlazione con il contesto macroeco-nomico, come inflazione, crescita del Pil o tasso di occupazione.

Nathalie Lötscher Petrus di UBS (LUX) EQUITY FUND–BIOTECHQuesto strumento è gestito da Nathalie

Lötscher Petrus, supportata dal team di analisti global healthcare che operano a Londra, Chicago, Zurigo, Singapore e Tokyo. Il processo di investimento si basa sull’as-sunzione che il valore intrinseco di un titolo è determinato dai suoi fondamentali, che guidano i flussi di cassa. Nel processo non vengono utilizzati indicatori come price/earning, price/book value, price/sales o di-vidend/price come proxy per la stima del valore intrinseco di un titolo. Per garantire un adeguato livello di diversificazione il fon-do mantiene posizioni su un ampio raggio di aziende (large company e small startup) nel settore biotech. Il team di gestione, inol-tre, è libero di investire in comparti minori come quello degli strumenti e dei servizi nel campo della life science. Il team global healthcare fornisce i principali input per gli investimenti in aziende large cap, mentre le analisi che riguardano i titoli small e mid cap sono condotte dagli specialist basati a Zurigo.Le società vengono valutate con diversi fra-mework, a seconda della capitalizzazione:- le large cap sono giudicate con un approc-

I MIGLIORI A UN ANNO SECONDO CITYWIRE

I VINCENTI DEL BIOTECH

1° David Pinniger Polar Capital Biotechnology R Usd

2° Nathalie Lötscher Petrus Ubs (Lux) Equity Fund Biotech (Usd) P-acc

3° Christian Darenhill e Maria WernerSeb Concept Biotechnology Fund D Eur

4° Rudi Van den Eynde Candriam Equities L Biotechnology C Cap

5° Steven Kornfeld e Evan McCulloch Franklin Biotechnology Discovery A (acc) Usd

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26 FONDI&SICAV Giugno 2019 FONDI&SICAV Giugno 2019 27

cio price/intrinsic value, attraverso un mo-dello Dcf 4 stage.- le small e mid cap sono analizzate tramite una valutazione per somma di parti. Il valore attuale netto dei potenziali flussi di cassa di ogni titolo viene studiato con un’analisi di scenario, per individuare il valore intrinseco risk adjusted, e confrontato con il valore at-tuale di mercato. Il portafoglio è benchmark agnostic e il posizionamento dei titoli è determinato a seconda del livello di fiducia dei portfolio manager. Un titolo può essere detenuto con un peso significativo se il team di inve-stimento ritiene che sia fortemente sotto-prezzato dal mercato rispetto agli altri titoli del segmento.Il processo di costruzione del portafoglio inizia da un universo investibile compo-sto da circa 300-400 società operanti nel comparto biotech con una capitalizzazione minima di mercato di 200 milioni di dollari. Per garantire un adeguato livello di diversi-ficazione, l’allocazione presenta esposizioni in ogni sub-settore dell’universo biotech. Il portafoglio finale è composto da 50-60 titoli, per il 40-60% large cap e il 40-60% mid cap con un profilo rischio rendimento interessante. Il beta deve essere compreso tra 0,8 e 1,2 e con un tracking error minore o uguale al 10%.Questo strumento ha come obiettivo di in-vestimento generare un ritorno superiore al benchmark, sebbene non venga specifica-to a questo proposito alcun numero. Il fondo non presenta una correlazione con il contesto macroeconomico, come inflazio-ne, crescita del Pil o tasso di occupazione.

La presente scheda (“il documento”) è una presentazione preparata da Allfunds Bank S.A. (“la Banca”). Le informazioni riprodotte nel presente documento non sono e non devono essere intese come ricerca in materia di investimenti, né una raccomandazione o un suggerimento, implicito o esplicito, rispetto ad una strategia di investimento avente ad oggetto gli strumenti finanziari trattati o emittenti strumenti finanziari, né una sollecitazione o offerta, consulenza in materia di investimenti, legale fiscale o di altra natura. Il documento contiene informazioni sintetiche sulle caratteristiche e sui rischi principali di uno strumento finanziario, ha un mero contenuto informativo e riporta solo le informazioni ritenute più rilevanti per la comprensione degli strumenti finanziari e dei loro rischi. Per una descrizione approfondita dello strumento finanziario e dei suoi rischi si rimanda al KIID ed al Prospetto Informativo. Il presente documento contiene informazioni che possono differire rispetto a quelle indicate nella documentazione ufficiale in tal caso valgono queste ultime. Tutte le informazioni contenute in questo documento sono fornite in buona fede sulla base dei dati disponibili al momento in cui è stata redatta.Questo documento si basa su informazioni e fonti considerate attendibili, ma di cui la Banca non è in grado di assicurare l’esattezza, a tal fine, quindi. la Banca non è responsabile per eventuali errori, omissioni o inesattezze. È stata adottata la massima diligenza possibile al fine di selezionare le fonti di provenienza dei contenuti. La Banca non offre alcuna garanzia, espressa o implicita, né esprime alcuna dichiarazione in merito all’esattezza, adeguatezza o possibilità di accedere a detti contenuti, alla disponibilità degli stessi o al loro utilizzo. La Banca non sarà pertanto responsabile, di nessuno dei suddetti contenuti. Le informazioni sono fornite unicamente a scopo informativo.Il trattamento fiscale applicato dipenderà dalle circostanze individuali di ciascun investitore e può essere soggetto a cambiamenti in futuro. Si prega di consultare i propri consulenti fiscali, contabili e legali. Gli strumenti finanziari presentati sono soggetti ai rischi di mercato e non c’è alcuna certezza o garanzia che gli obiettivi degli stessi siano raggiunti. Il valore degli investimenti è soggetto a variazioni anche in virtù delle oscillazioni dei tassi di cambio. Alcuni dei principali rischi dell’investimento sono: rischi associati al territorio, rischi di non liquidità, rischi di portafoglio concentrato, rischi di rendimento del portafoglio, rischi di gestione, rischi sui derivati, rischi di prestito, rischi fiscali e rischi azionari. Questi ed altri rischi sono descritti nel prospetto informativo. I potenziali investitori devono leggere attentamente il prospetto informativo per avere informazioni sui rischi, al fine di stabilire se l’investi-mento è adatto a loro. I seguenti rischi possono aumentare la volatilità del prezzo del fondo, amplificando gli effetti del mercato. Si prega di tenere conto, al momento di investire, che: (i) Gli investimenti in titoli azionari sono soggetti ai rischi di mercato, alle condizioni economiche e politiche dei paesi in cui si effettuano gli investimenti e, potenzialmente, al rischio legato ai tassi di cambio valuta. (ii) Gli investimenti in titoli obbligazionari sono principalmente soggetti ai rischi sul tasso d’interesse, sul credito e sulla insolvenza e, potenzialmente, al rischio legato ai tassi di cambio valuta. (iii) Gli investimenti in absolute return e strategie alternative sono principalmente soggetti al tasso d’interesse, alla liquidità di mercato, al rischio di credito e insolvenza e,potenzialmente, al rischio legato ai tassi di cambio valuta. L’uso di prodotti finanziari come parte del processo di investimento può inoltre generare rischi relativi a restrizioni di liquidità e leva finanziaria. (iv) Gli investimenti nei mercati emergenti e/o in piccole società possono comportare un più elevato grado di rischio essendo potenzialmente più volatili rispetto a quelli effettuati nei mercati sviluppati o nelle grandi società.Le performance registrate in passato non sono necessariamente indicative di analoghe performance future. I rendimenti sono al lordo degli oneri fiscali. Il valore dell’investimento è soggetto a fluttuazioni. Il presente materiale informativo non è stato soggetto all’approvazione di alcuna autorità degli Stati Membri europei.

PERFORMANCE ANNUALI

PERFORMANCE A TRE ANNI

Nasdaq biotechnology total return tndex

Frank-Biotech Disc-I-Acc Usd

Ubs Lux Eq-Biotech Usd-Qac

150

140

130

120

110

100

90

80

70

60

2019 2018 2017 2016 2015

aprile 2016 ottobre 2016 aprile 2017 ottobre 2017 aprile 2018 ottobre 2018 aprile 2019

Nasdaq biotechnology total return indeb

Frank-Biotech Disc-I-Acc Usd

Ubs Lux Eq-Biotech Usd-Qac

30%

20%

10%

0%

-10%

-20%

-30%

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COVER STORY

GLI USA SEMPRE PROTAGONISTI

Una guerra commerciale che può essere persa

La ripresa del conflitto sui dazi tra Cina e Usa ha mandato a pic-co il mercato che stava salendo con grande forza. Nella sua guerra con-tro la Repubblica Popolare Trump può contare su notevoli appoggi, ma le conseguenze negative sull’e-conomia americana per il momen-to sono state nettamente maggiori rispetto a quelle che ha subito il Dragone. «In termini di scambi con gli Stati Uniti, ad aprile (anno su anno) le esportazioni cinesi sono diminuite del 13,1%, mentre le im-portazioni sono calate addirittura del 25,7%: il deficit commerciale degli States con il gigante asiatico è pertanto ulteriormente aumen-tato»

Domenica 5 maggio ha visto un cambiamen-to di cui si fa ancora fatica a valutare gli effet-ti. Si parla ovviamente dell’annuncio da parte del presidente Trump dell’innalzamento dei dazi su circa 200 miliardi di beni cinesi dal 10% al 25%. Il provvedimento ha scatenato una serie di recriminazioni, contromisure e annunci che sono serviti a ricordare agli investitori un punto fondamentale: le due super-potenze del mondo non vanno d’ac-cordo praticamente su nulla, con la sfida tecnologica che rimane la questione chiave al centro di tutto. All’indomani dell’annuncio, infatti, si sono inseguite diverse versioni su quanto è effettivamente accaduto, oltre a svariate voci fra le quali la vendita di Treasury da parte della Cina.Al di là della contingenza, però, sono gli svi-luppi futuri generali a preoccupare. Infatti, ciò che sostiene Chia-Liang Lian, head of emerging markets debt di Western As-set (affiliata di Legg Mason), sembra cor-roborare la versione di uno scontro frontale a livello tecnologico: «Il progetto del presi-dente Trump di aumentare i dazi su 200 mi-liardi di dollari di importazioni cinesi dal 10% al 25% è stato attuato e una nuova imposta del 25% su oltre 325 miliardi di beni è attual-mente al vaglio. Si è trattato di una sorpresa, dopo che nei mesi precedenti entrambe le parti avevano rilasciato commenti concilian-ti (il segretario al Tesoro, Steven Mnuchin, aveva definito i negoziati svoltisi a Pechino “produttivi”). Il venerdì precedente, le mo-difiche proposte all’ultima bozza di accordo erano state caratterizzate da un tentativo di tornare indietro rispetto agli impegni sul

di Boris Secciani

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furto di proprietà intellettuale e sui trasferi-menti tecnologici forzati. Sembra inoltre che un nodo importante sia stato l’insistenza da parte del governo Usa sul diritto di imporre di nuovo unilateralmente i dazi, nel caso che la Cina manchi ai suoi impegni».

ADATTARSI ALLA REALTÀSe il paradigma della nuova guerra fredda per la supremazia tecnologica globale si ri-velasse veritiero, nonostante una contingen-za che ha visto reazioni negative, ma per il momento neppure troppo pesanti (Huawei a parte), gli investitori non potrebbero fare altro che adattarsi a una realtà che compor-terebbe un bel po’ di volatilità in più e un minore rendimento potenziale degli asset ri-schiosi a livello planetario. Innanzitutto que-sta nuova fase di crisi sta mettendo i mer-cati di fronte al fatto che non si tratta di un fenomeno passeggero. Neppure la mancata rielezione di Donald Trump l’anno prossimo probabilmente modificherebbe più di tanto la situazione, in quanto, tutto sommato, non è un mistero che, come sostiene il team di analisi di Notz Stucki, «il punto centrale delle trattative rimane sempre la battaglia

per la supremazia tecnologica: la posizione di Trump viene approvata silenziosamente dai responsabili delle politiche dell’Ocse». La Repubblica Popolare, insomma, sembra ave-re pochi amici, quanto meno in occidente, in questo suo tentativo di tornare a essere la maggiore potenza del mondo, peraltro con un modello diversissimo rispetto alla demo-crazia liberale che ha accompagnato lo svi-luppo capitalistico nell’era moderna.

DRAGONE ANCORA VOLATILELe piazze finanziarie del Dragone rimangono ancora strutturalmente volatili e lontane da un assetto di libero mercato, oltre che prive di investitori istituzionali di dimensioni enor-mi e con un’ottica di lungo periodo, come ad esempio i fondi pensione statunitensi o del Nord Europa. Nonostante la Cina non abbia a livello economico ormai praticamente nulla a che vedere con un paese emergente, alme-no nella sua accezione classica, le sue infra-strutture finanziarie rimangono ancora non scevre da fragilità. Pertanto le brutali perdite a ogni livello degli asset cinesi, con anche lo yuan in calo in una settimana di circa lo 0,75% rispetto al dol-

laro, non sono più di tanto sorprendenti. È comunque tuttora ragionevole pensare che sia soprattutto la seconda economia del mondo a rischiare i danni maggiori, come ricordano David Page, senior economist Us, e Aidan Yao, senior economist China, di Axa Investment Managers: «Negli Usa la reazione dei mercati finanziari è stata finora contenuta. L’aumento dei dazi rischia di ridurre la crescita del Pil americano di 0,25-0,5 punti percentuali nei prossimi due anni. Un effetto che potrebbe essere com-pensato da una politica più accomodante da parte della Fed. Tuttavia, rialzi permanenti dei dazi potrebbero portare a una decele-razione materiale dell’economia Usa, che deve già affrontare venti contrari interni. In Cina la reazione dei mercati è stata più netta. Gli attuali dazi minacciano di abbas-sare l’incremento del Pil cinese di circa 0,3 punti percentuali. Una politica di allenta-mento permetterebbe al gigante asiatico di mantenere per il 2019 un aumento del Pil superiore al 6%. Tuttavia, un rialzo delle tariffe più consistente potrebbe ridurre la crescita fino a 1,5 punti percentuali e non sarebbero compensati da un allentamento

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significativo delle politiche monetarie».

UNA LETTURA SBAGLIATAA una lettura più approfondita, però, l’in-terpretazione è più complicata. Per capire meglio ciò di cui si parla, vale la pena partire dall’analisi di Projit Chatterjee, senior equity specialist, emerging markets and Asia Pacific equities di Ubs Asset Manage-ment: «Oltre i tre quarti del fatturato delle aziende quotate nell’indice Msci emerging markets vengono generati all’estero, men-tre per quanto riguarda le società cinesi la situazione è speculare, con oltre il 90% del-le entrate che nasce sul mercato interno. Per questo motivo ritengo che la lettura di ciò che è successo l’anno scorso allo scop-pio delle tensioni commerciali sia sbagliata.

GEORGE EFSTATHOPOULOSportfolio manager Ff Asia Pacific Ma Growth & Income Fund Fidelity International

A provocare il calo delle attività finanziarie nella Repubblica Popolare è stato soprat-tutto il rallentamento domestico dovuto al desiderio delle autorità di contenere la leva finanziaria del sistema e riportare il debito sotto controllo. Attualmente la situazione è diversa, poiché la Cina è tornata in una fase economica caratterizzata da stimoli dome-stici». Uno scenario simile viene delineato anche da George Efstathopoulos, portfolio ma-nager dell’Ff Asia Pacific Ma Growth & Income Fund di Fidelity Interna-tional: «L’impatto della guerra commercia-le è relativamente limitato, se confrontato con la dimensione del Pil cinese e il valore delle recenti misure di stimolo attuate dal paese. La Cina ha la possibilità di ammortiz-

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zare, utilizzando strumenti politici, l’impatto dello scontro sui dazi, il cui inasprimento in-ciderà sulla prontezza di intervento del pae-se. Rispetto al 2018, Pechino è più preparata, considerando le misure di stimolo economi-co, sia da un punto di vista fiscale, sia mone-tario. Gli spread delle obbligazioni corporate onshore si sono stabilizzati, mentre i costi di finanziamento esterni si sono notevolmen-te ridotti. Questa volta il sentiment negati-vo generato dall’inasprimento della guerra commerciale non coincide con una stretta creditizia. La Cina ha inoltre incrementato le misure a sostegno delle società private, che rappresentano un fattore chiave nella crescita del Pil e dell’occupazione del paese. Potremmo assistere a politiche di maggiore incentivazione dei flussi di liquidità verso le piccole e medie imprese. È possibile anche che siano introdotte misure fiscali favorevoli in termini di agevolazioni fiscali e tagli alle commissioni. Stiamo inoltre monitorando l’impatto della guerra commerciale sull’infla-zione, i cui effetti potrebbero ripercuotersi, sia sugli Stati Uniti, sia sulla Cina».

PIÙ DANNI PER GLI USAIn aggiunta a questa analisi è interessante no-tare che per il momento i danni peggiori dal punto di vista dell’interscambio li hanno su-biti gli Usa, più che il Dragone. Qualche det-taglio viene fornito da Xueming Song, economista di Dws China: «L’amministra-zione Trump ha iniziato a imporre dazi sulle importazioni dalla Cina all’inizio del 2018, con l’obiettivo di rendere i prodotti cinesi

più costosi e quindi meno attrattivi per i con-sumatori statunitensi. La Cina si è vendicata a tempo debito imponendo dazi su determina-ti beni Usa. Si potrebbe supporre che questa politica stia danneggiando maggiormente gli esportatori cinesi rispetto a quelli statuni-tensi, perché è stata Washington a innesca-re l’escalation. Ironia della sorte, è successo esattamente il contrario, come dimostrano gli ultimi dati commerciali e il nostro “gra-fico della settimana”. In termini di scambi con gli Stati Uniti, ad aprile (anno su anno) le esportazioni cinesi sono diminuite del 13,1%, mentre le importazioni sono calate addirittu-ra del 25,7%: il deficit commerciale Usa con la Cina è pertanto ulteriormente aumentato. Poiché i dati mensili degli scambi tendono a essere alquanto volatili, il grafico mostra cifre uniformi (trend complessivo di 12 mesi). Ri-spetto ai livelli del quarto trimestre 2018, le esportazioni cinesi verso gli Stati Uniti sono diminuite del 3% (al 30 aprile 2019), mentre le importazioni cinesi di merci statunitensi sono calate del 15%. Anche in termini as-soluti, il calo dell’import cinese dagli Usa ha superato di due volte le esportazioni verso gli Stati Uniti di un fattore 2. Quindi, finora, il conflitto commerciale sembra una sconfitta, visto che ha provocato maggiori sofferenze agli esportatori americani che a quelli cinesi. Il calo delle importazioni di beni americani suggerisce in parte un problema più ampio negli States, che diventa più chiaro quando si guardano i dati commerciali cinesi rispetto al resto del mondo nel suo insieme. Merci come la soia, che la Cina comprava dagli Stati

Uniti, ora provengono sempre più dal Bra-sile. Tutti questi numeri suggeriscono che un’ulteriore escalation del conflitto com-merciale sarebbe costosa per quasi tutti, a cominciare dai consumatori statunitensi. Ma per ora sulla base delle prove, ciò vale anche per gli esportatori Usa, i presunti beneficiari delle politiche commerciali di Trump».

PUNTI DEBOLI PER GLI USAIn pratica oggi la Repubblica Popolare si sente con ogni probabilità molto più forte rispetto a un anno fa, perché sembra avere realizzato il fatto che anche gli Stati Uniti, ap-parentemente così in forma, mostrano pe-santi punti deboli qua e là. Tutto ciò rischia di esacerbare ulteriormente lo scontro in atto, in quanto sostanzialmente entrambi i contendenti appaiono convinti di essere più forti dell’avversario. In tutto ciò, come peraltro accennavano Page e Yao, di Axa Investment Managers, politiche monetarie più espansive, in Usa, in Cina e nel resto del mondo, diventano ogni giorno più probabili. Con un’economia globale in rallentamento e il rischio di vedere ridotti i propri flussi di merci, servizi e capitali a livello globale, non resterebbe molto altro da fare se non ten-tare di creare le condizioni domestiche più favorevoli possibile. Specialmente negli Stati Uniti è cruciale non generare ulteriore incertezza a livel-lo finanziario. Se è vero, infatti, che la Cina probabilmente fra i due contendenti è la nazione che rischia di più in termini di ef-fetti diretti sull’economia reale, gli Usa sono invece fragili per il legame che c’è fra mer-cati e andamento economico generale. Da questo punto di vista, quindi, oggi lo scenario per Jerome Powell è tutt’altro che facile da decifrare e non è privo di rischi. Michele De Michelis, responsabile investimenti di Frame Asset Management, sostiene: «Ci stavamo quasi rilassando, abituati a un mercato azionario che saliva quasi tutti i giorni insieme agli altri risky asset, convinti dalle buone trimestrali e dal cambio di at-teggiamento della Fed, quando all’improvvi-so ecco riemergere tutte le paure che pen-savamo sopite, come per esempio la trade war sino-americana. Il presidente Trump ha deciso infatti di mostrare i muscoli con i suoi tweet al veleno, convinto di essere rieletto il prossimo anno. Ha ricordato ai suoi avver-sari che, se mai avessero sperato di trovare un clima migliore per negoziare nel 2020, in realtà al suo secondo mandato potrebbero

DIECI ANNI DI INTERSCAMBIO TRA CINA E USA

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Importazioni cinesi dagli Usa * Esportazioni cinesi verso gli Usa*

* 12 months rolling Fonte: Bloomberg Finance LPp Dws Investment GmbH, al 5/8/19

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avere a che fare con un presidente ancora meno accondiscendente: quindi conviene chiudere subito la partita. E i cinesi, insie-me ai loro alleati, hanno risposto subito alla loro maniera, semplicemente saltando le ultime aste dei titoli di stato del Tesoro americano. Guarda caso a quel punto Trump ha detto di avere ricevuto una bellissima let-tera dal presidente Xi Jinping ed è diventato subito ottimista. Stiamo quindi tornando nel mood negativo? Qualche mese fa avevo già accennato al “trading range” di Powell dopo gli anni della “put” della Yellen, convinto che non avrebbe visto di buon occhio un mer-cato troppo euforico. Inoltre era chiaro che sarebbe intervenuto con una “moral sua-sion” qualora fossimo tornati sui massimi, così come aveva rasserenato gli animi quan-do in dicembre l’S&P 500 si era pericolo-samente avvicinato a 2.300 punti, conscio dell’importanza della borsa americana per i consumi del suo paese».

CONSUMI IN PERICOLOIn pratica una deflagrazione del conflitto ol-tre la soglia dell’accettabilità intaccherebbe i

consumi, il segmento maggiore dell’econo-mia statunitense, al punto che è considerato una proxy dell’intero sistema americano. Ciò potrebbe avvenire tramite un canale diretto, rappresentato dall’aumento dell’inflazione derivante dalle tariffe sulle merci, con effet-ti che potrebbero rivelarsi particolarmente nefasti nel campo dell’auto e dell’elettronica, e tramite un canale indiretto appena analiz-zato, ossia l’effetto ricchezza generato da Wall Street. Simili sviluppi costringerebbero la Federal Reserve a una scelta non facile: o rischiare un aumento dei prezzi sopra il target o sostenere i corsi dei mercati. Pro-babilmente, vista la storia degli ultimi decen-ni della Banca centrale americana, verrebbe scelta la seconda opzione, anche perché l’ef-fetto sui prezzi sarebbe temperato dal non entusiasmante mood generale.

UNA DIFFICILE PREVISIONEDi questa opinione è Constantin Stur-dza, gestore dell’Ei Sturdza Family Funds: «È difficile prevedere la crescita trimestrale di un’economia tanto com-plessa come quella statunitense. Tuttavia,

riteniamo che gli elementi principali, for-za dei consumi, domanda di investimenti, condizioni finanziarie, rimangano orienta-ti in un’ottica espansionistica. Le frizioni commerciali potrebbero avere un impatto sulle catene di approvvigionamento e sul mercato finale ed è per questo motivo che quest’area è da considerare un potenziale rischio. Il persistere di bassi livelli di infla-zione, combinati con un elevato indebita-mento, dovrebbe continuare a spingere la Fed verso politiche relativamente accomo-danti».In definitiva, come accennato in apertura, se sostanziali granelli di sabbia dovesse-ro essere inseriti negli ingranaggi globali, gli investitori farebbero comunque bene a orientarsi a una certa cautela globale, consci che probabilmente gli effetti nell’im-mediato sarebbero molto pesanti su Cina, resto dell’Asia e pure Europa. Ma anche gli Stati Uniti alla lunga rischierebbero di anda-re incontro a fasi di instabilità. Un assaggio l’abbiamo già avuto nel 2018: non è detto che la seconda volta i danni non sarebbero anche peggiori.

1 Fonte: DWS, dati a fine marzo 2019. L’impegno di DWS è iniziato nel 1994 con la partecipazione all’Assemblea degli Azionisti di Hoechst. Nel 2007 DWS ha iniziato ad integrare i criteri ESG nei processi di investimento.2  ESG (Environmental, Social, Governance) è un acronimo che tradotto significa: Ambiente, Sociale e Governance delle aziende.3 Fonte: DWS Sustainability Report 2018

Messaggio pubblicitario con finalità promozionali. Prima dell’adesione leggere il prospetto d’offerta e il documento contenente le informazioni chiave per gli investitori (Key Investor Information Document - cd. KIID), disponibile presso DWS International GmbH - Milan Branch, Via F. Turati 25/27, 20121 Milano, presso i Soggetti Collocatori e i. Soggetti Incaricati dei Pagamenti, nonché sul sito www.DWS.it.

SOLUZIONI DI INVESTIMENTO PER UN FUTURO PIU’ SOSTENIBILEGli investimenti responsabili consentono di creare concretamente valore nel lungo termine. DWS lavora da oltre 20 anni1 all‘integrazione dei criteri ESG2 nel mondo degli investimenti e nel 2008 ha aderito ai Principi di Investimento Responsabile delle Nazioni Unite (PRI). Attraverso il Motore ESG, che integra fattori ambientali, sociali e di governance delleaziende nei processi e nelle decisioni di investimento, DWS gestisce un patrimonio di 32,8 miliardi di Euro in investimenti sostenibili attivi, passivi e alternativi3.

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1 Fonte: DWS, dati a fine marzo 2019. L’impegno di DWS è iniziato nel 1994 con la partecipazione all’Assemblea degli Azionisti di Hoechst. Nel 2007 DWS ha iniziato ad integrare i criteri ESG nei processi di investimento.2  ESG (Environmental, Social, Governance) è un acronimo che tradotto significa: Ambiente, Sociale e Governance delle aziende.3 Fonte: DWS Sustainability Report 2018

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COVER STORY

GLI USA SEMPRE PROTAGONISTI

Il problema non è solo Trump

Dopo un primo quadrimestre che ha riportato ai massimi i mercati Usa, maggio ha evidenziato una fragilità imprevista. La miccia è stata innescata dalla ripresa della guerra commerciale tra Stati Uni-ti e Cina, che tutti davano come praticamente conclusa, ma in re-altà i problemi nascono anche da altri elementi molto importanti, come le decisioni della Fed, una stagione degli utili non esaltan-te, valutazioni abbastanza alte e un trend che in fondo non è stato così entusiasmante. Così nessuno nelle condizioni attuali si aspetta crescite importanti nei prossimi mesi e in questo quadro difender-si dall’incertezza e proteggere i

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mesi di guadagni passati appaiono le urgenze più impellenti rispetto a come posizionarsi per sfruttare un’ennesima gamba di possenti ri-alzi

Prima di analizzare i diversi aspetti che ca-ratterizzano oggi l’azionario made in Usa, esaminando il declino della volatilità, l’atteg-giamento della Fed e le prospettive di utili, viene spontaneo chiedersi quanto potenzia-le è rimasto per la seconda metà dell’anno, con l’enigma dei rapporti politici fra Usa e Cina che rischiano di risultare il proverbia-le sasso in uno stagno. Il vero problema è infatti che negli Stati Uniti, dopo qualche settimana di paura non del tutto compren-sibile, sembra di essere tornati agli eccessi opposti, ossia all’euforia. Di recente, infatti, ha cominciato a circolare negli ambienti fi-nanziari la previsione di un possibile melt up, strappo al rialzo, da parte dell’equity statu-nitense, sull’onda della buona tenuta dell’e-conomia e di una ripresa degli utili, il cui an-damento forse era stato sottovalutato dal management stesso delle aziende. Il rischio che si stia andando incontro a uno scenario di irrazionalità positiva viene sottolineato da David Bianco, cio Americas di Dws: «Per valutare l’umore degli investitori azio-nari utilizziamo una combinazione tra l’S&P 500 trailing P/E ratio e l’options-market-im-

plied near-term volatility index (Cboe Vix in-dex). Come dimostra il nostro “grafico della settimana”, questo “Panic-euphoria indica-tor” è passato in quattro mesi dal panico al compiacimento, se non addirittura all’eu-foria. A seconda dei rischi macroeconomici, pensiamo che una valutazione dell’indice trailing S&P 500 P/E tra 17 e 18 punti sia ragionevole. Riteniamo, tuttavia, che ulterio-ri rialzi dell’S&P 500 renderanno necessarie stime più elevate sugli utili».

ENTUSIASMO INGIUSTIFICATOA meno, infatti, di sorprese fortemente po-sitive, appare ragionevole pensare che l’eu-foria degli investitori sia piuttosto mal posta, con una combinazione di rischio e rendi-mento atteso nell’immediato non delle mi-gliori, come ricorda Nadège Dufossé, cfa e head of asset allocation di Candriam: «Il mercato statunitense ha guadagnato il 20% dall’inizio di gennaio, fatto che si traduce in rendimenti annualizzati relativamente irrea-listici per il 2019. Il rally delle borse azionarie non potrà viaggiare al ritmo del primo qua-drimestre nei prossimi mesi. I listini si stanno dimostrando particolarmente resilienti, so-stenuti da uno slancio positivo molto forte che potrebbe persistere ulteriormente. Che cosa ci si può ragionevolmente attendere? Nel caso di un potenziale ribasso, le con-seguenze sarebbero molto più significative che a fronte di un possibile rialzo. Infatti ci si può aspettare un ulteriore 4-5% in uno scenario rialzista basato sull’aumento degli indici equity, mentre un ritorno ai minimi dello scorso anno comporterebbe un calo del 20%».

La problematica esposta da Dufossé peral-tro non è riconducibile solo al breve pe-riodo: è ormai un decennio che l’azionario statunitense sta facendo nettamente me-glio rispetto ai concorrenti e in rapporto a quanto ha fornito in passato agli investitori.

NON PER SEMPREGuardando al futuro, il rischio che le perfor-mance non siano più le stesse è concreto e al riguardo qualche semplice considera-zione viene fornita da Edwin Walczak, portfolio manager di Vontobel Asset Management: «Dal punto di vista stori-co, i dati mostrano che non si può contare sulla prosecuzione per sempre di questo tipo di rendimenti. Infatti il Cagr dell’S&P 500 dalla grande recessione è stato del 14%. Si tratta di un valore ben al di sopra di ciò che può essere considerata la norma, che è l’8%, il 9% o anche il 10%. Non è ragionevole attendersi che questi rendimenti persistano. Di conseguenza il messaggio che vogliamo dare è lo stesso che comunichiamo da un po’ di tempo: bisogna aspettarsi trend azio-nari più deboli in futuro. Nessuno può fare davvero previsioni sull’economia con preci-sione: ad esempio nessuno vide l’arrivo del-la grande recessione e probabilmente nes-suno si aspettava che la ripresa del mercato fosse così forte quest’anno».

IL RISCHIO DELL’EUFORIANotoriamente il rischio maggiore di uno stato euforico è la sua instabilità: basta in-fatti che qualcosa vada storto, o venga per-cepito come tale, per portare il sentiment all’opposto. Di ciò si è visto un esempio nel 2018 e, per certi versi, anche nei mesi a cavallo fra la seconda parte del 2015 e la

NADÈGE DUFOSSÉcfa e head of asset allocation Candriam

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prima del 2016. Nulla impedisce di rivivere qualcosa del genere. Dall’altra parte non si può nemmeno sotto-valutare la volontà di investire in azionario da parte dell’immenso complesso degli in-vestitori americani, sia istituzionali, sia priva-ti, in sé una base di liquidità formidabile, al di là di ciò che il resto del mondo possa fare o pensare. E non è un fattore secondario la mancanza di vere alternative. Sulla possibi-lità di un ulteriore sentiment rally fornisce un’analisi interessante Keith Wade, chief economist & strategist di Schroders: «Fi-nora quest’anno i mercati azionari hanno avuto buone performance, ma ora si parla di un possibile melt up: molti investitori in-

I NUMERI DI WALL STREET

L’ennesimo outlier statisticoIl 2019 del mercato azionario statunitense si è dimostrato fino all’inizio di maggio tutto sommato in linea con quanto accaduto nel 2017 e nel 2018. Con ciò si intende dire che, per quanto si è visto finora, anche questa annata sembra destinata a finire nell’ambito degli outlier statistici. In quest’ultimo gruppo vi sono entrati a pieno diritto il 2017, in cui quasi tutti gli asset rischiosi a livello globale sono andati su, e l’anno passato carat-terizzato da un andamento speculare. Nel primo terzo del 2019, cominciato con venti di possibile recessione, l’S&P 500, volato a oltre 2.954, è riuscito addirittura a mettere a segno un nuovo massimo storico, che mancava da circa sette mesi.

UNA PERFORMANCE NON INCREDIBILENella prima settimana di maggio il total return del più vasto, diversificato e importante benchmark azionario del mondo risultava in crescita del 18,03%. Questa performance non risultava di per sé incredibile: in fondo non solo la Cina, ma persino l’Italia hanno messo a segno rendimenti superiori, con l’Europa che ha mostrato per i propri indici continentali più importanti guadagni intorno al 16-17%. Il comportamento dell’azionario americano risulta però eccezionale per una serie di ragioni. Innanzitutto gli investitori hanno operato l’ennesimo poderoso rerating, nonostante la vulgata comune preveda sempre una fine delle sovraperformance statunitensi a causa dei multipli elevati. A tutto ciò si è accompagnata poi una ripresa, non particolarmente attesa dal consensus, del dollaro, che è salito del 2,64% nei confronti dell’euro nei primi quattro mesi del 2019. Questo sviluppo è in generale piuttosto controintuitivo nelle fasi di forte propensione al rischio, almeno secondo quanto siamo stati abituati a vedere nel corso degli anni 2000: basti pensare a quanto era successo nel periodo fra gli ultimi mesi del 2017 e i primi del 2018.Infine, ed è forse l’aspetto più importante, fa una certa impressione l’estensione della ripresa e la chiara fiducia accordata, sia alla continuazione dei driver di crescita secolare delle aziende americane più innovative, sia al ciclo contingente. In pratica è andato prati-camente tutto su: fra gli 11 settori principali in cui è diviso l’S&P 500, infatti, solo uno alla fine della prima settimana di maggio aveva registrato performance inferiori alla doppia cifra, con sei su 11 che hanno messo a segno nuovi massimi. In quella data, inoltre, solo quattro comparti mostravano un total return inferiore a quello dell’indice. Il segmento peggiore del mercato era risultato la cura della salute, nonostante una forte ripresa delle biotecnologie, aumentato solo del 4,76%. A seguire si trovavano poi le utility (+11,09%), l’energia (+12,97%), i materiali di base (+12,45%) e i beni di largo consumo (+13,77%). Peraltro, per quanto riguarda quest’ultimo comparto, esso si trovava comunque ai mas-simi storici, nonostante l’andamento relativamente modesto in questo 2019, perché era stato quello che aveva resistito meglio negli ultimi terribili mesi del 2018.

UNA GIGANTESCA ROTAZIONEDall’altra parte, invece, troviamo in testa alle performance, probabilmente non troppo sorprendentemente, l’information technology con +27,75%, cui fanno seguito gli indu-striali (+22,48%), i consumi discrezionali (+21,84%) e i gruppi di media e comunicazione (+21,67%). In pratica una gigantesca rotazione dai difensivi a tipologie di investimento più aggressive, che ha coinvolto non solo Faang e affini, ma anche i nomi più ciclici dell’in-dustria. Forse solo nel campo dei servizi finanziari (+18,54%) gli investitori sull’equity americano hanno mostrato di recente un minimo di titubanza. Il rendimento fornito agli investitori è stato in questo ambito tutt’altro che disprezzabile, al tempo stesso però ci si poteva forse aspettare di più, data la performance pessima di queste società nel 2018. Sicuramente la pausa di riflessione della Federal Reserve e la non favorevole struttura delle curve dei tassi di interesse hanno contribuito a frenare l’entusiasmo sulle prospet-tive dei finanziari.

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KEITH WADEchief economist & strategist Schroders

EDWIN WALCZAKportfolio manager Vontobel Asset Manageme

fatti ritengono che si assisterà a un’impen-nata degli indici nei prossimi mesi. Questa convinzione si basa sull’idea che ci si trovi in un contesto goldilocks, nel quale la crescita non è, né così rapida da generare inflazione, né così lenta da comprimere gli utili, ma una perfetta via di mezzo. La Fed è ferma in at-tesa di sviluppi, i rendimenti obbligazionari sono bassi e gli investitori hanno parecchia liquidità a disposizione, essendosi apparen-temente persi il rally sui mercati. D’altra parte, vi sono alcuni venti contrari macro-economici, come scorte in eccesso, prezzi del petrolio più elevati e una potenziale compressione dei margini di profitto che minacciano di fare frenare l’azionario. Que-

sti rischi potrebbero concretizzarsi, tuttavia la storia ci insegna che un melt up può avve-nire perché viene spinto dal sentiment, piut-tosto che per ragioni macroeconomiche».

COME INNESCARE UN RALLY?Che cosa potrebbe spingere gli investitori ad abbandonare gli indugi e a innescare un ulteriore rally? Essenzialmente, dando per scontata una continuazione dello scenario di grande moderazione economica e di pru-denza da parte della Federal Reserve, molto dipenderà dallo sviluppo dei risultati azien-dali. Come ricorda infatti Michael Reilly, chief investment officer equities di Tcw, «la svolta dovish della Fed ha rassicurato gli in-

vestitori, preoccupati del fatto che tassi più elevati potessero portare l’economia ame-ricana a una recessione. Ora, con la Ban-ca centrale Usa in disparte e una crescita macroeconomica solida, ma non stellare, gli investitori sui mercati azionari si stanno fa-cendo guidare dalle prospettive di crescita degli utili, che però si sono già notevolmen-te ridotte nel corso degli scorsi mesi, forse persino troppo».Se quella macchina da profitti che è Cor-porate America, seppure priva di ulteriori stimoli fiscali, riprendesse a stupire al rialzo, riuscendo ancora una volta a sovraperfor-mare il proprio ciclo economico di riferi-mento, allora non ci sarebbe da stupirsi se le quotazioni venissero spinte fino al terreno dell’irrazionalità. Al riguardo forse appare sintomatica la diversa reazione ai recenti risultati trimestrali riportati da due colossi della tecnologia, Apple e Alphabet. La prima ha visto un forte aumento dei corsi, nono-

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stante un calo dei risultati su base annuale, grazie a una guidance piuttosto ottimista, mentre la seconda ha visto pesanti perdite

(a fronte dell’ennesimo trimestre di cresci-ta) in quanto gli investitori hanno osservato con preoccupazione il rallentamento dell’e-spansione di fatturato e profitti, temendo che il fenomeno possa essere l’inizio di qualcosa di più strutturale.Le due aziende non sono esempi presi a caso e neppure sono state scelte perché sono colossi dell’economia digitale, bensì per il loro ruolo e la loro sensibilità all’an-damento dei consumi statunitensi. Più di ogni altra economia del mondo, infatti, l’A-merica ha adottato una filosofia del pro-prio sviluppo incentrata sulla crescita del benessere materiale dei propri abitanti, un modello peraltro che è stato ben compre-so dalla Cina. Altrettanto non si può dire dell’Europa, che è uscita in maniera un mi-nimo convincente dalla propria recessione solamente quando i privati hanno ripreso

a spendere ed è stato almeno parzialmente abbandonato il modello tedesco di qualche anno fa, incentrato quasi esclusivamente su export&austerità fiscale. Dunque profitti e Fed con al centro di tutto il consumatore: un ritorno, dopo l’irrazio-nalità double face dell’anno scorso, al buon vecchio gioco della Wall Street di questi anni, sempre che la nuova guerra fredda non cambi radicalmente le carte in tavola.

TRE INCOGNITESe si vuole parlare del livello delle valuta-zioni in cui si è posizionato l’equity statuni-tense, essenzialmente bisogna analizzare tre elementi: da una parte l’azione della Federal Reserve, dall’altra l’andamento dei profitti per analizzare infine ancora una volta il re-cente passato. Il cambiamento epocale della Banca centrale alla fine dell’anno scorso ha

MICHAEL REILLYchief investment officer equities Tcw

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L’IMPORTANZA DEI PROFITTI

Solo se Wall Street resterà una macchina da utiliLa questione cruciale per sorreggere tutta l’impalcatura è rappresentata dai profitti. Infatti da diversi punti di vista Wall Street appare carissima, rispetto, ad esempio, al patrimonio netto delle aziende o alla fetta totale di quella gigantesca torta che è il Pil statunitense che le maggiori società Usa sono in grado di accaparrarsi. Da questo punto di vista esemplare appare l’intervento di Michael Kagan, portfolio manager del fondo Legg Mason ClearBridge Us Appreciation: «Considero che l’indicatore più affidabile per valutare il mercato azionario americano sia il rapporto fra la capitalizzazione complessiva e il Pil, una metrica cui presta molta attenzione anche Warren Buffett. Da questo punto di vista siamo tornati ai picchi del 1999-2000, il livello più elevato di sempre. Va detto, però, che corsi alti di per sé non costituiscono una ragione sufficiente per abbattere le quotazioni: il punto è che i rendimenti di lungo periodo offerti all’investitore nell’equity Usa probabilmente risulteranno mediocri».

TANTI RIACQUISTI DI AZIONI PROPRIEA giustificare una serie di metriche che rappresentano sicuramente un outlier storico, c’è sempre stata la capacità di generare profitti elevatissimi. Basti pensare che fra il 2014 e il 2015 si vide quella che fu definita una recessione dei profitti: l’Eps complessivo dell’indice passò infatti da 110,76 dollari a 93 e i mercati cominciarono a dare segni di pesante nervosismo. L’irrequietezza è stata poi superata con il boom verificatosi a partire dall’ultima parte del 2016 fino ai primi mesi del 2018. Wall Street è dunque una macchina da utili, che rappresentano una significativa percentuale della fantastica crescita dell’ultimo decennio: basti pensare che nel 2008 all’esplodere del caos sui mercati l’Eps era sui 18 dollari. Inoltre l’incre-mento è stato generato da forti riacquisti di azioni proprie. Il fenomeno ha visto l’apogeo nel 2018, quando fu toccato il record storico sopra 800 miliardi di dollari: infatti una buona parte dei flussi di cassa aggiuntivi generati dalle riforme fiscali di Trump è finito in queste attività.Sarebbe però sbagliato attribuire solo a uno spregiudicato uso della leva aziendale l’elevato livello di redditività del capitale azionario statunitense. Per capire che cosa si intende, basta osservare solamente i conti di cinque colossi dell’economia digitale: Alphabet, Amazon, Apple, Facebook e Microsoft. Nel 2018 complessivamente queste società hanno messo a segno utili netti per 139 miliardi di dollari a fronte di un fatturato di 802. Ed è da questa variabile che passa il futuro dei rendimenti dell’equity made in Usa e a questo punto non si può non chiedersi quale sia il quadro in questo ambito. A metà maggio un po’ più dei tre quarti delle aziende dell’S&P 500 hanno riportato i risultati per la prima frazione del 2019. Se si fa una miscela dei numeri previsti per chi ancora deve pubblicare i dati e le cifre effettive, si ha un calo dello 0,8% rispetto a un anno fa.

ATTESI NUMERI PEGGIORISi tratta in generale di performance estremamente favorevoli per una ragione: fino a qualche settimana prima erano attesi numeri molto peggiori (circa -4%) e, visto il tasso di sorprese positive, non ci sarebbe da stupirsi se alla fine si avrà l’ennesimo trimestre di crescita dei profitti. Non si è infatti registrato un calo dal secondo quarto del 2016, proprio alla fine di quella earnings recession cui si accennava precedentemente. Se poi si con-sidera che finora le piuttosto temute guidance per il futuro prossimo, visto come si erano messe le cose all’inizio del 2019, sono state incoraggianti e che il paragone con il 2018 non è comunque facile, non sorprende che sovente la reazione da parte dei gestori alle recenti news sia stata deci-samente positiva. Ad esempio Stéphane Monier, cio di Private Bank Lombard Odier, afferma: «Attualmente ci troviamo nel bel mezzo del primo trimestre per le società statunitensi che hanno riportato risultati a dir poco stellari. Trattandosi di un quarto tradizionalmente debole, gli analisti, dopo il sell off di dicembre 2018, avevano ridotto drasticamente le proprie previsioni per gli utili del 2019. Adesso, invece, le attese sono state nuovamente riviste al rialzo. Come abbiamo evidenziato in precedenza, abbiamo già assistito a un aumento della guidance da parte di un certo numero di aziende, nonostante le significative incertezze del contesto macro-politico». Il problema dell’attuale paradigma è che comunque può essere letto in maniera marcatamente positiva solo alla luce dei timori recessivi di qualche mese fa: infatti, a meno di sorprese clamorose, è difficile pensare che vi sia chissà quale botta al rialzo, sia nella seconda parte di quest’anno, sia nel 2020, quando anzi i timori di una contrazione economica potrebbero apparire più sensati, non peraltro per via della lunghezza del ciclo in corso. Usando un’espressione un po’ informale, si potrebbe dire che quanto fatto vedere da Usa Inc. di recente rappresenta il minimo sindacale per giustificare i corsi azionari.

I RISCHI INCOMBONOD’altronde per il futuro i rischi non mancano, come specifica Keith Wade, di Schroders: «Nel 2018 i mercati sono stati guidati da utili societari più solidi, tuttavia i prezzi delle azioni sono diminuiti, dato che i rialzi dei tassi hanno spinto gli investitori a riesaminare le valutazioni. Sembra che quest’anno ci troveremo nella situazione opposta, dato che prevediamo che i profitti rallenteranno via via che le banche centrali faranno passi indietro. Non ci aspettiamo una recessione negli Stati Uniti (intesa come due trimestri consecutivi di crescita economica negativa), ma il nostro modello di previsione indica di prestare particolare attenzione agli utili Usa. Siamo convinti che gli earning raggiungeranno il picco nel terzo tri-mestre del 2019 e che poi scenderanno in linea con un’economia statunitense più debole. In generale, prevediamo che i profitti Usa (escluso il settore finanziario) aumenteranno del 6% nel 2019, ma poi perderanno il 4% nel 2020. Mentre il quadro descritto finora rappresenta il nostro caso base, abbiamo contemplato anche scenari alternativi. Prevedibilmente, la percentuale dei profitti sul Pil vedrebbe un declino ancora più brusco se nel 2020 dovessimo assistere a una recessione negli Stati Uniti. In questo caso, gli utili potrebbero vedere un calo del 13,5%. In uno scenario di recessione globale a esclusione degli Stati Uniti, la discesa degli earning sarebbe del 7,4% nel 2020. Soltanto due scenari mostrano una crescita dei profitti: se la Cina cercherà di evitare un rallentamento economico più ampio introducendo stimoli alla crescita e all’inflazione con spese fiscali extra, oppure se l’espansione Usa sorprendesse ancora grazie a una solidità maggiore sul lato dell’offerta».

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indubbiamente mutato lo scenario in ma-niera fondamentale. Non fosse altro che per avere innescato una ripresa dell’equity risk premium non da poco, evitando quello che rischiava di diventare un bear market piuttosto serio del complesso del reddito fisso. Una quantificazione del fenomeno ar-riva da Nadège Dufossé, di Candriam: «Le valutazioni azionarie non sono eccessive, con un rapporto price/earning di 17,5 sul mercato statunitense, rispetto a una media di 17x negli ultimi 20 anni. L’inversione di marcia della politica monetaria da parte della Federal Reserve sta sostenendo valu-tazioni azionarie più elevate. La Fed ha (for-se temporaneamente) interrotto il ciclo di rialzo dei tassi, mentre il suo programma di riduzione del bilancio dovrebbe concluder-si a settembre. I tassi di interesse restano bassi in assenza di pressioni inflazionistiche e, rendono i titoli azionari relativamente più appetibili di quelli obbligazionari, poi-ché il premio al rischio per il mercato Usa è adesso molto positivo con il +3%, che è al di sopra della sua media storica del 2,5%. Il miglioramento dei dati economici, dopo il forte rallentamento registrato alla fine dello scorso anno, sta quindi spingendo le azioni al rialzo. La prudenza è un altro fat-tore che potrebbe continuare a sostenere il rally dei mercati azionari, dal momento che gli investitori sembrano essersi persi par-te dell’accelerazione. Le piazze equity non sono quindi ancora caratterizzate da un ec-cessivo ottimismo».

INFLAZIONE FIACCAA consentire la pausa attuale è stato il ritor-no a una situazione di goldilocks, in cui la cre-scita continua a essere buona, con sorprese positive negli ultimi mesi che potrebbero

essere confermate o non confermate, ma che comunque non rendono molto proba-bile uno scenario recessivo per il 2019. Il Pil nominale negli Stati Uniti continua ad avere un andamento piuttosto modesto e colpisce a questo punto del ciclo la debolezza dell’in-flazione, che negli ultimi mesi non ha fatto altro che perdere qualche decimale, come ricorda Keith Wade, di Schroders: «Guar-dando ai mercati attuali, l’elemento chiave che sta guidando l’azione dei policy maker è il comportamento favorevole dell’inflazione. Nonostante ci si trovi in una fase avanzata del ciclo economico, nella quale un mercato del lavoro saturo e tassi elevati di utilizzo della capacità produttiva dovrebbero creare una pressione al rialzo sul costo della vita, l’inflazione statunitense è diminuita. L’indice dei prezzi al consumo (Cpi) in marzo era all’1,9%, inferiore di un punto percentuale ri-spetto allo scorso giugno. Allo stesso tempo, l’indice core (il Cpi esclusi cibo ed energia) era al 2% in marzo, rispetto al 2,3% dello scorso luglio. Il Pce core deflator, l’indicatore preferito della Fed, in marzo segnava appena l’1,5%. L’inflazione è un indicatore che pre-senta un ritardo intrinseco, di conseguenza i tassi bassi attuali non garantiscono interessi

ridotti anche in futuro. Tuttavia, con questi livelli come punto di partenza, vi è un mar-gine significativo perché la Fed possa tolle-rare un rialzo delle pressioni sui prezzi nei prossimi mesi ed essere paziente nel deter-minare i tassi di interesse».Ciò che c’è da attendersi da parte del-le autorità monetarie è nel concreto una continuazione dello status quo, con un’at-tenzione spasmodica ai dati, specialmen-te sull’inflazione, come sottolinea Justin

JUSTIN STREETERanalista e portfolio manager Comgest

STEFANO TURLIZZIresponsabile gestioni individuali Cassa Lombarda

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Streeter, analista e portfolio manager di Comgest: «Riteniamo che vi sia ancora un po’ di fiacchezza nell’ambito dell’oc-cupazione statunitense, a causa del basso tasso di partecipazione al mercato del la-voro rispetto ai paesi Ocse. Questo fatto, insieme all’aumento della produttività e ai cambiamenti nei modelli di spesa, sta man-tenendo bassa l’inflazione a stelle e strisce. La Fed vorrebbe che raggiungesse il 2% con maggiore costanza. Tale situazione determi-nerà l’approccio della Fed ai tassi».

LE INCERTEZZE SULLA FEDQuello che oggi è forse un fattore di ri-schio, per quanto riguarda la Banca centra-le, risiede in un grado di incertezza elevato sulle scelte future rispetto al recente pas-sato. Incertezza che probabilmente non si potrà risolvere solo con un atteggiamento data-driven. Un esempio si è visto con la breve fase di nervosismo innescata dopo l’ultimo meeting della Fed a inizio maggio. Molti si aspettavano che in tale occasione venisse indicata addirittura una tempistica su un possibile taglio futuro dei tassi e a ini-zio maggio una sforbiciata di 25 punti base veniva quotata, a giudicare dall’andamento

I CONSUMI

Qualche dubbio in un settore chiaveAlla fine tutto ricadrà sulle spalle di quella possente dinamo economica che è il parco consumatori del paese, dove però non è che ci siano solo rose e fiori, come ricorda Stefano Turlizzi, di Cassa Lombarda: «Il rallentamento dei consumi e le difficoltà di alcuni settori chiave, come auto e immobiliare, non sembrano forieri di sorprese particolarmente positive sull’andamento dell’economia americana». Di conseguenza non è fuori dal mondo immaginare in tali condizioni un ulteriore calo di comparti già in una fase ciclica non delle migliori, come i microchip o l’auto, una sostenuta diminuzione dei corsi delle materie prime e una messa in mora dei piani di investimento e di espansione dell’occupazione da parte delle aziende. A quel punto, con ogni probabilità si ritornerebbe al solito canovaccio di richieste fatte a gran voce alla Federal Reserve per abbassare i tassi e/o attuare nuove politiche di stimolo non convenzionali. Il tutto può forse apparire un poco estremo, visti i dati macro usciti di recente. In realtà, se andiamo a scavare nel dettaglio, si può notare che, senza l’aumento delle scorte e la diminuzione delle importazioni, la crescita del Pil sarebbe scesa dal 3,2% al l’1,8%. Inoltre è vero che il tasso di disoccupazione è sceso ad aprile a un quasi miracoloso 3,6%, dal 3,8% di marzo. Ma è altrettanto indubbio che questo risultato è stato dovuto a una calo della percentuale della popolazione inserita nella forza lavoro. Nell’ultimo anno il totale degli occupati in Usa è cresciuto di oltre 1,4 milioni di persone, un andamento pressoché pari all’aumento della forza lavoro. In totale la percentuale degli occupati nella fascia di età che va dai 16 ai 64 anni dall’autunno scorso oscilla fra il 60,7% e il 60,8%: si tratta di valori non particolarmente entusiasmanti all’interno dell’area Ocse. L’economia statunitense è dunque sì in buone condizioni, ma non siamo nell’ambito di un boom, livello probabilmente appena sfiorato solo uno-due anni fa.

del future sui Fed funds, con il 50% di pro-babilità che avvenisse entro la fine del mese. Ma l’idea che sia necessario un allentamen-to delle condizioni finanziarie può apparire a dir poco singolare con un’economia con un tasso disoccupazione al 3,6%, ai minimi dal 1969 quando c’erano circa 550 mila sol-dati in Vietnam (quindi fuori dal mercato del lavoro), e con un Pil che nel primo trime-stre ha stupito in positivo e che comunque in questo 2019 alla fine dovrebbe crescere intorno al 2,5%. In realtà, però, vi sono chiari segnali che i problemi del passato non sono stati del tutto superati. In primis la persisten-te inversione della curve dei rendimenti dei governativi, oltre che, appunto, l’andamento anemico dei prezzi. Su tutto ciò è arrivato l’ennesimo capitolo della saga della guerra commerciale/politica/tecnologica/ideologica con la Cina. Di fronte a questi avvenimenti l’atteggia-mento di Powell e soci potrebbe rivelarsi una nuova fonte di negatività per il sistema. Esemplare al riguardo la sintesi di Stefano Turlizzi, responsabile delle gestioni indi-viduali di Cassa Lombarda: «In questi ultimi giorni la minaccia di un nuovo aumen-

to dei dazi sui prodotti cinesi da parte di Trump ci ha mostrato la fragilità dei mercati. Il listino Usa in questi mesi ha infatti messo a segno un incredibile rally ritornando sui massimi a fronte però di un peggioramento dei dati macro e di diverse revisioni al ribas-so delle guidance sugli utili da parte delle società. Visto lo scarso sostegno provenien-te dai profitti, qualsiasi notizia in grado di incidere sull’umore degli investitori po-trebbe innescare ribassi anche pronunciati. Gran parte della performance continuerà a dipendere dal livello della liquidità che la Fed deciderà di immettere nel sistema. Gli ulti-mi rialzi sono in gran parte legati al mutato atteggiamento tenuto dalle banche centrali negli ultimi mesi e da qui si deve partire per cercare di individuare gli spazi ulteriori di salita dei mercati».

CHE COSA SUCCEDERÀ?Nel concreto che cosa potrebbe accadere? Per rispondere a questa domanda bisogna tornare indietro all’anno scorso, in cui di fronte a chiari segnali di rallentamento eco-nomico e con una tensione al calor bianco fra le due maggiori economie del mondo, i

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Fed funds continuavano a venire rialzati fino a provocare per la prima volta dal 2008-2009 un bear market (se si considerano i picchi e i minimi intraday, non le chiusure). Qualcosa di simile potrebbe accadere in questo 2019, dove però anche solo mante-nere il costo del denaro a un livello costante potrebbe rivelarsi troppo per gli investitori. In pratica l’idea dietro questa tesi è che, man mano che si va avanti, il tasso di equilibrio di-venta sempre più basso. Il fatto che comun-que l’economia sta crescendo in maniera più tenue, mentre il deficit federale e il debito pubblico hanno ripreso a correre con deci-sione, per tacere del livello di leva aziendale, contribuisce a rendere più concreto il pa-radigma di ribasso degli interessi. Su tutto poi si inserisce la nuova fase della saga della guerra commerciale con la Cina, che po-trebbe diventare l’ennesima variabile in gra-do di complicare ulteriormente le decisioni delle autorità monetarie. Fabiana Fedeli, global head of fundamental equities di Ro-beco, sostiene: «Molto dipenderà da come andrà a finire la partita del commercio glo-bale. Ipotizzando che si arrivi a un accordo commerciale e che la situazione macro negli Stati Uniti e a livello globale non si deteriori, ci aspettiamo che l’economia statunitense rimanga solida e che la Fed mantenga i tassi invariati nel 2019. Tuttavia, se le controversie commerciali si intensificassero, danneggian-do potenzialmente il contesto macro e gli utili di corporate America, ci aspetteremmo operazioni di taglio dei tassi da parte del-la Fed». La questione chiave è la tempistica: di fronte a un ritorno del nervosismo, se non del panico, a fronte magari di qualche dato deludente accompagnato da tensioni politiche di ogni genere, la Federal Reserve

semplicemente potrebbe non avere a dispo-sizione il lusso di temporeggiare.

LE PROSPETTIVE DI UTILICon quest’ultimo tema va a intersecarsi la questione delle valutazioni e delle prospet-tive di utilI. Se, infatti si allarga l’orizzonte temporale, specificatamente dalla fine del 2017 quando l’S&P 500 chiuse a 2.673 fino alla seconda settimana di maggio, dopo il ri-torno della questione del commercio con la Cina, in cui il benchmark si trovata intorno a 2.880-2.890, si può vedere che alla fin fine i rendimenti sono stati piuttosto modesti. So-lamente che nel mezzo è successo di tutto, inclusa la più rapida correzione dal dopo-guerra a oggi (nell’inverno del 2018) e il pri-mo bear market, per quanto estremamente leggero, alla fine del 2018. Di conseguenza alla fin fine, per quanto non a buon mercato, le azioni statunitensi non scambiano neppu-re a multipli folli, quanto meno in termini di profitti attesi, come sottolinea Michael Reil-ly, di Tcw: «Non riteniamo che le valutazioni siano su livelli pericolosi. Ovviamente, è im-portante ricordare che il mercato azionario statunitense ha subito una compressione significativa l’anno scorso. In particolare, a inizio 2018 le azioni venivano scambiate con un rapporto prezzo/utili forward intorno a 18x. Nonostante una crescita degli utili per azione in eccesso del 20%, il mercato azionario ha perso il 4,4% (S&P 500 index total return in dollari), cosicché il 2018 si è concluso con un rapporto P/E forward di circa 16x. Quindi, sebbene l’indice si sia poi ripreso, tornando a toccare i massimi livelli, le azioni vengono scambiate a un rapporto prezzo/utili forward di 17x, un livello che ri-teniamo abbastanza equo e solo leggermen-te superiore alla media degli ultimi decenni».

UNO SCENARIO INTERMEDIOProbabilmente, visto il paradigma in cui ci troviamo, non sarebbe del tutto implausibile uno scenario intermedio, fra la prosecuzio-ne del rally a rischio di portare i corsi nel territorio della bolla e chi invece paventa mercati orso al primo accenno di rallenta-mento economico, ossia il fenomeno cui ha accennato Edwin Walczak di Vontobel Asset Management, che prevede un andamento nel suo complesso caratterizzato da cresci-te più modeste e in cui il picking si dimo-strerà una necessità ineluttabile. Su questo piano una previsione piuttosto precisa viene fornita da Fabrizio Fiorini, responsabile

degli investimenti e vicedirettore genera-le di Pramerica Sgr: «In realtà i primi quattro mesi del 2019 non possono essere letti separatamente da quanto accaduto nei quattro precedenti. Il mercato è tornato sui massimi per il semplice fatto che i timori di recessione che avevano innescato il movi-mento di fine 2018 sono stati dissipati dai dati economici, dalle reazioni politiche e dal cambio di atteggiamento da parte della Ban-ca centrale. Nel frattempo le aziende hanno continuato a generare utili e ciò rafforza la significatività del movimento. Per il prossi-mo futuro il mercato non potrà contare su nuove sorprese, né dai dati, né dalla Fed; i profitti potranno confermare le attese, ma non sorprendere al rialzo, pertanto i listini dovrebbero muoversi intorno ai livelli rag-giunti a fine aprile».

BENVENUTA VOLATILITÀCon sviluppi di questo genere alla fin fine il ritorno della volatilità potrebbe persino ri-sultare benvenuto, in quanto fornitore di oc-casioni per rosicchiare un po’ di rendimento in più all’interno di un andamento generale più moderato. In questa maniera sembra pensarla David Ross, cfa di Echiquier World Equity Growth Fund Mana-ger di La Financière de l’Echiquier: «Dopo quattro mesi fortemente positivi che hanno portato il mercato a nuovi mas-simi storici, probabilmente per gli investitori sarebbe ragionevole dare retta al vecchio adagio di Wall Street sell in may and go away. In ogni modo, però, anche un calo non se-gnalerebbe la fine del bull market azionario. Infatti quanto accaduto di recente non è sta-to altro che un’inversione del terribile quar-to trimestre del 2018, in cui i mercati non avrebbero certo dovuto venire giù con una simile intensità. Un’altra maniera per espri-mere lo stesso concetto può essere sottoli-neare che negli ultimi sette mesi alla fin fine l’S&P 500 si è apprezzato dello 0,5%. Non si tratta certo di un movimento tipico di fasi di incredibile ottimismo. Sicuramente si è vista molta volatilità in entrambe le direzioni con però movimenti netti molto limitati. Pertan-to in un frangente come questo le corre-zioni sono al tempo stesso eventi normali e occasioni per comprare dopo i cali».

CHE FARE?In definitiva lo scenario euforico di un nuo-vo melt up dell’S&P 500 non pare probabi-lissimo: l’ipotesi centrale è che i rendimenti

FABIANA FEDELIglobal head of fundamental equities Robeco

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azionari possano seguire nel prossimo anno l’andamento dell’Eps più la componente for-nita dai dividendi, un range quindi compre-so fra la parte centrale e quella più elevata della singola cifra. Il tutto senza particolari derating o all’opposto rerating. Man mano che si va avanti, però, rischiano di concretiz-zarsi alcuni problemi aumentati anche da un altro fattore: la triade già descritta costitu-ita da valutazioni, politica monetaria e utili, che rappresenta un insieme di grandezze altamente correlate tra loro, il cui legame potrebbe venire rafforzato dall’incertez-za politica. In pratica potrebbe realizzarsi il seguente sentiero di sviluppo: le tensioni fra Cina e Usa hanno forti probabilità che si acuiscano con un’influenza fortemente negativa sul sentiment di mercato; questo a sua volta potrebbe, con un’economia già più lenta di suo rispetto al 2018, stavolta davvero dare la scintilla a una recessione. In particolare non va dimenticato che comun-que tuttora ci si trova in un mondo fatto di corporation dal braccino corto quando si

tratta di investire, come ricorda in questo commento sugli sviluppi in termini di pro-fitto Fabiana Fedeli, di Robeco: «Nel primo trimestre gli utili per azione hanno supera-to le aspettative degli analisti e l’aumento delle previsioni di spesa in conto capitale dimostra che anche il sentiment sta miglio-rando. Gli utili sono risultati superiori alle aspettative nella maggior parte dei settori, con healthcare e tecnologia in testa. Non dimentichiamo, tuttavia, che il fenomeno ha interessato dati che erano stati rivisti al ri-basso e il contesto dei profitti in generale rimane sotto tono. Attualmente gli utili per azione del primo trimestre sono in rialzo appena del 2% anno su anno, ovvero circa il 4% sopra il consenso. Anche i livelli di spesa in conto capitale, per quanto vedano piccoli miglioramenti, sono inferiori al dato anno su anno».

POCHE SORPRESE NEGATIVEVisto il bipolarismo fra ottimismo per i ri-sultati aziendali e paura di problemi politici

giganteschi e un mercato in qualche maniera “priced to perfection”, la risposta al quesito sul che fare viene in qualche maniera for-nita da Fabrizio Fiorini, di Pramerica Sgr: «Il miglioramento del quadro congiunturale e delle prospettive è stato rapidamente in-corporato dai prezzi di mercato. Gli sviluppi futuri, su crescita, utili e scelte delle banche centrali non dovrebbero riservare sorpre-se negative. Tuttavia, alle attuali valutazioni servono nuove motivazioni per mantenere determinati livelli di investito azionario e queste nuove motivazioni, al momento, non ci sono. Pertanto abbiamo optato per una riduzione delle posizioni. L’idea, tuttavia, non è che ci sia una forte correzione e l’avvio di un trend ribassista, ma solo una stabiliz-zazione che offrirà altri punti di entrata più interessanti». In questo quadro difendersi dall’incertezza e proteggere questi mesi di guadagni ap-paiono le urgenze più impellenti rispetto a come posizionarsi per sfruttare un’ennesi-ma gamba di possenti rialzi.

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I numeri diWall Street

INCHIESTA

GLI USA SEMPRE PROTAGONISTI

+7,6%la crescita dei profitti

dell’Eps dell’S&P 500 prevista per il quarto trimestre 2019,

il livello migliore per quest’anno

fonte: FactSet

+11%il margine di profitto netto sul fatturato delle aziende dell’S&P 500 nel primo

trimestre 2019

fonte: FactSet

+9,2%la crescita degli utili nel primo

trimestre 2019 del comparto cura della salute, il migliore fra gli 11

macrosettori dell’S&P 500

fonte: FactSet

30,38il P/E di Shiller dell’S&P

500 a metà maggio

fonte: Multipl

12,44% la standard deviation annualizzata dell’indice S&P 500 nel decennio

terminato a fine aprile 2019

fonte: S&P Dow Jones

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+11%il margine di profitto netto sul fatturato delle aziende dell’S&P 500 nel primo

trimestre 2019

fonte: FactSet

12,44% la standard deviation annualizzata dell’indice S&P 500 nel decennio

terminato a fine aprile 2019

fonte: S&P Dow Jones

-26%il calo degli utili nei primi tre mesi del 2019 del comparto energetico, il peggiore fra gli 11 macrosettori

dell’S&P 500

fonte: FactSet

16,5

il P/E forward dell’S&P 500 a metà maggio 2019

fonte: Thomson Reuters

18,95il P/E trailing a fine aprile dell’S&P 500

fonte: S&P Dow Jones

1,23lo Sharpe annuale ottenuto nel

decennio terminato ad aprile 2019 dall’S&P 500

fonte: S&P Dow Jones

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COVER STORY

GLI USA SEMPRE PROTAGONISTI

Ancora più tecnologia, ancora più Stati Uniti

Prepararsi in maniera adeguata ai periodi negativi o comunque pieni di incognite non è certo semplice, ma la maggior parte degli opera-tori ritiene che in fondo i driver di crescita secolari per gli Usa con-tinuino a essere tutti lì, tanto che molti stanno scegliendo di igno-rare le difficoltà attuali per con-centrarsi sulle growth story più promettenti. In questo contesto la tecnologia dovrebbe rimanere uno dei principali beneficiari dei trend di sviluppo legati al cloud computing, alle infrastrutture wireless, all’intelligenza artificia-le e ai nuovi dispositivi connessi, come i veicoli a guida autonoma e l’internet-of-things industria-le. Senza dimenticare healthcare, consumi discrezionali e commu-nications services

È sempre difficile prevedere la volatili-tà dei mercati basandosi sull’andamento di strumenti come le opzioni, perché il livello di propensione e avversione al ri-schio presenta caratteristiche altamente irregolari che rendono difficile operare con strategie consistenti di copertura coerenti. Sostanzialmente le scelte non sono molte: da una parte si può provare a utilizzare derivati senza sacrificare troppo in termini di rendimento, approccio che presenta il marcato rischio di vedere non centrati gli obiettivi ed è caratterizzato da una gestione della liquidità non semplice. Dall’altra si può lavorare a livello di asset allocation, decidendo quale quantità del portafoglio mettere in azioni e quanto, invece, in attività meno rischiose. Anche in questo caso le sfide da affrontare non sono poche, perché un simile approccio richiede un modello di allocazione dina-mica in grado di cogliere rapidamente e con precisione i cambiamenti in termini di regime economico e di propensione al ri-schio. Infine vi è lo stock picking, anch’esso un terreno su cui non è facile camminare: i cali sui mercati hanno la brutta tendenza di generare listini in cui solo pochi titoli difensivi presentano performance apprez-zabili, mentre la maggior parte dei temi è caratterizzata da un alto beta che porta a rendimenti negativi e molto simili fra loro. In pratica prepararsi in maniera adegua-ta ai periodi negativi o comunque pieni

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di incognite, non è, né facile, né poco costoso, tanto che la prima domanda fondamentale da farsi è se valga la pena allo stato attuale operare con un atteg-giamento prudenziale. In fondo i driver di crescita secolari continuano a essere tutti lì, tanto che non pochi gestori stan-no sostanzialmente scegliendo di ignorare le difficoltà attuali per concentrarsi sulle growth story più promettenti. Indicativo il parere di David Ross, di La Financière de l’Echiquier: «Riteniamo che le miglio-ri opportunità rimangano nel settore del cloud, poiché il mondo in realtà è appe-na agli inizi della propria trasformazione digitale. Pertanto aziende come Amazon, Microsoft, Salesforce e Adobe restano in cima alle nostre scelte di investimento. Uno dei temi ricorrenti di questo lungo bull market è stato la rotazione. Sotto una superficie caratterizzata da forza, infatti, ci sono state continue correzioni in diversi

segmenti di mercato. Un andamento del genere si è avuto nella cura della salute e noi ne abbiamo approfittato per operare una rotazione all’interno del comparto».

UNA SORPRESA POSITIVAUn quadro simile appare dal ragionamen-to di Esther Baroudy e John Flynn, senior portfolio manager azionario globa-le di State Street Global Advisors. «Finora le trimestrali della prima parte dell’anno hanno battuto le stime. Circa tre quarti delle società dell’S&P500 han-no dichiarato di avere raggiunto risultati superiori alle attese e per molte aziende la crescita del fatturato ha rappresentato una sorpresa positiva. In particolare l’heal-thcare, i consumi discrezionali e i commu-nications services hanno riportato numeri eccezionali. Anche l’It ha sorpreso in posi-tivo e ci aspettiamo che tutti questi setto-ri continuino a registrare buoni successi: la

tecnologia dovrebbe continuare a essere uno dei principali beneficiari dei trend di crescita secolari legati al cloud computing, alle infrastrutture wireless, all’intelligenza artificiale e ai nuovi dispositivi connessi, come i veicoli a guida autonoma e l’inter-net-of-things industriale. Vediamo anche che i continui cambiamenti dirompenti guidati dall’e-commerce trainano alcuni segmenti dei consumi discrezionali, men-tre l’healthcare dovrebbe sperimentare una nuova ondata di innovazione legata alla terapia genica, alla chirurgia robotica e ai nuovi dispositivi medici».

DISTINZIONE SUPERATAI temi della tecnologia e della sanità iden-tificati da Baroudy, Flynn e Ross ricordano agli investitori che negli ultimi anni essen-zialmente è venuta a cadere la distinzio-ne fra growth e value, lasciando il posto a strategie basate sull’identificazione di

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aziende il cui margine di crescita non sia stato adeguatamente riconosciuto dagli investitori. Visti i multipli di certi colossi del software, dei beni di consumo discre-zionali e dei servizi statunitensi, può sem-brare paradossale pensare a un consensus troppo cauto sulle prospettive di crescita. In realtà ciò che interessa sottolineare è che, al di là della giustezza delle previsioni, oggi nessun settore è al sicuro da shock esogeni. La chiave di tutto sta nell’identi-ficare quelle società con driver di lungo periodo sufficientemente forti da essere capaci, se non di neutralizzare, quanto meno di ridurre la volatilità di breve.È appunto questo il caso della tecnologia e in questo ambito vale la pena centra-re l’attenzione sul gigantesco comparto dell’hardware. Quest’ultimo si trova ad avere a che fare per il momento con un ciclo non entusiasmante delle vendite in diversi settori chiave, con il più il rischio di andare incontro a una situazione di caos nella filiera produttiva compresa in un’area fra gli Usa e il Far East, se i rap-porti fra Cina e Usa precipitassero. Non è improbabile che a fronte di un simile sce-nario in un’ottica di tempo ragionevole gruppi come Amazon, Microsoft, Alibaba e Tencent, per non parlare di aziende small e mid cap in campi come la cybersecurity, si troverebbero in una posizione migliore rispetto ai colossi dell’hardware: si trat-ta di player dominanti in settori dai Cagr ancora elevati e sui propri enormi mer-cati domestici. La parola chiave di questo

processo, però, è “in un tempo ragione-vole”: qualora partisse una correzione o un bear market nei termini che sono stati descritti finora, nell’immediato si vedreb-bero punizioni severe in tutto il com-parto growth. Non peraltro per via della forte liquidità a leva su esso concentrata.

IN CERCA DI REDDITIVITÀUn riassunto di quanto affermato viene fornito da Zehrid Osmani, head of Global Long-Term Unconstrai-ned di Martin Currie (gruppo Legg Mason): «Il nostro approccio all’inve-stimento nell’ambito dell’equity globale è caratterizzato dalla ricerca di azioni di aziende che sono in grado di generare in maniera sostenibile un elevato rendimen-to sul capitale impiegato. Interi settori, quali le telecom e le utility, fanno fatica a

CORSI AZIONARI IN CRESCITA NONOSTANTE GLI UTILI STABILI

Euphoria Panic

* S&P 500 trailing P/E ratio dividend by the volatily index (Vix)

Fonte: Bloomberg Finance Lp, Dws Investment Gmbh, al 26/4/19

2000 2005 2010 2015

2,5%

2%

1,5%

1%

0,5%

0

Panic-Euphoria indicator*

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ZEHRID OSMANIhead Global Long-Term Unconstrained Martin Currie (gruppo Legg Mason)

generare redditività sufficiente a ripagare i costi sostenuti, pertanto in generale ten-diamo a essere sottopesati in ambito va-lue. Cerchiamo ciò che possiamo definire come quality growth, ossia aziende carat-terizzate da solide prospettive di crescita, che operano in nicchie dalle significative barriere all’entrata, tutti elementi che permettono di avere una forte capacità di imporre i propri prezzi. Prendiamo, ad esempio, il comparto delle auto elettri-che: a nostro avviso si tratta di un seg-mento destinato a crescere con un Cagr intorno al 40% per il prossimo decennio. Al suo interno, però, le prospettive sono molto differenti: ad esempio è ancora impossibile stabilire quale produttore di questo tipo di vetture emergerà come leader. Noi non vogliamo di conseguen-za esporci a quello che potremmo defi-nire un rischio di marchio, in compenso ci sono eccellenti occasioni fra le società che operano in punti della filiera come la produzione delle batterie, le tecnologie per la connettività alla griglia elettrica, i materiali».

ALTA CONVINZIONEUn aspetto interessante, che si riallaccia a quanto detto finora, è dato dalle caratte-ristiche del portafoglio di Zehrid Osmani: «Il nostro fondo globale è basato su uno stile interamente fondamentale che por-ta, su un universo di oltre 500 aziende su cui investire, a detenere circa 30 titoli con una logica priva di qualsiasi vincolo nei confronti di un benchmark. Si tratta, dun-que, di un’allocazione ad alta convinzione. Riteniamo che il nostro approccio rispon-da in maniera ideale anche alle necessità di risk management: è possibile, infatti, per noi andare incontro a una volatilità di bre-ve periodo. Molti investitori spesso, allo scoppio delle recessioni, si chiedono solo che cosa succederà a determinate azio-ni nel corso della contrazione economi-ca, non come si comporteranno dopo. In particolare questa domanda è importante se, come crediamo, la prossima recessio-ne sarà piuttosto leggera e con una se-guente ripresa moderata».Questo ragionamento offre la possibilità di trarre qualche conclusione dall’analisi quantitativa condotta sui rendimenti del Vix: come abbiamo visto, nell’ultimo de-cennio ci sono state oscillazioni piuttosto selvagge all’interno di un drift negativo

STIMA KERNEL DELLA DISTRIBUZIONE DEI CAMBIAMENTIGIORNALIERI DEL VIX

che ha portato a un aggiustamento al ri-basso delle prospettive di volatilità. Al tem-po stesso sul breve periodo a volte inter-vengono fasi di panico in cui gli investitori corrono ad acquistare strategie basate su opzioni put, panico che tende a crescere in maniera tanto più rapida quanto più bas-so è il punto di partenza del Vix; le acque, però, tendono a calmarsi rapidamente. Si-mili sviluppi sembrano la conferma della bontà di un approccio di tipo high convi-ction, con però il caveat che in questo caso si sacrifica in maniera evidente l’aspetto della diversificazione. La mancata presenza in comparti più difensivi rischia anch’essa di diventare letale qualora il proprio pi-cking non si riveli dei più adeguati. Dunque in conclusione sembra evidente

Den

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-40 0 40 80

0.06

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0.00

Oscillazioni giornaliere del Vix in %

che a livello di scelte settoriali la tecnolo-gia, nelle sue accezioni più ampie, rimane il tema principale su cui investire a livello globale. È un settore che vede gli Usa an-cora in una posizione di primissimo piano, con la consapevolezza, però, che il pano-rama del futuro sarà molto diverso da quello di oggi. Ma per arrivare a quel punto esistono solo due scelte: o ingoiare un rischio di forte volatilità di breve periodo, con l’i-dea che, qualora si sia puntato sui caval-li vincenti, il fenomeno dovrebbe essere passeggero, oppure rinunciare a una parte

di performance. Sia che si diversifichi in comparti più difensivi o che si decida di coprire il proprio portafoglio con derivati o addirittura si aumenti la propria alloca-zione in liquidità, i risultati non cambiano poi moltissimo.Sempre che alla fine si arrivi a un equili-brio fra Cina e Usa, per quanto pessimo e contraddittorio. Altrimenti, nel caso di un conflitto permanente, tutte queste analisi lascerebbero il tempo che trovano: a quel punto saremmo davvero in un paradigma nuovo che nessun modello, quantitativo o fondamentale che sia, può finora decifrare.

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Il 2018 non è stato facile per nessuna asset class, sia sul piano dell’andamento finanziario, sia per la raccolta. Per gli Etf le cose non sono però andate così male, visto che gli afflussi netti si sono sì di-mezzati rispetto all’anno precedente, ma sono rimasti ampiamente positivi. Ben pochi strumenti finanziari possono affer-mare altrettanto.Ad avere mantenuto una grande forza agli exchange traded fund sono stati diversi elementi: il più immediato è il bassissimo costo, che, in una fase di rendimenti mol-to limati, assume un’importanza sempre più strategica. Ma fondamentale è l’uso sempre più frequente che di questo pro-dotto viene fatto dagli investitori istitu-zionali e dagli operatori professionali, che in Italia restano la grande maggioranza degli acquirenti. Soprattutto i fondi mul-ti-asset con gli Etf riescono a coprire interi mercati senza dovere ricorrere a faticosi stock picking.In quest’ottica un ruolo crescente lo stanno ricoprendo gli strumenti smart beta, che aggiungono una connotazione attiva a un prodotto che di per sé è pas-sivo per definizione. Per di più, in un anno difficile come il 2018, questa categoria di Etf si è comportata in generale bene e in taluni casi addirittura brillantemente, riu-scendo a guadagnate su piazze e settori dove spesso le perdite sono state pesantiDell’andamento del mercato e dell’evo-luzione di questi prodotti Fondi&Sicav ha parlato con Vincenzo Sagone, head of Etf, indexing & smart beta business unit di Amundi Sgr, Mauro Giangran-de, director-head of passive sales, Italy & Iberia di Xtrackers Dws, e Marcello Chelli, responsabile per l’Italia di Lyxor Etf.

Il 2018 è stato un anno negativo per quasi tutte le asset class. Quali cam-biamenti ha portato la ripresa dei primi quattro mesi del 2019?

Sagone: «È possibile suddividere il 2018 in due fasi distinte: se il primo trimestre ha mantenuto lo slancio dell’anno pre-cedente, i successivi tre hanno subito un rallentamento significativo. Complessiva-mente, gli afflussi netti sono stati pari a 43 miliardi di euro nel 2018, ovvero circa

SPECIALE ETF

a cura di Boris Secciani

Una crescita continua e non solo per i costi bassi

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la metà della raccolta del 2017. In termini di asset class, le azioni hanno catturato circa due terzi di questi flussi in entra-ta, con gli Stati Uniti al primo posto. A fine anno, abbiamo notato una rotazione dei portafogli, con una riallocazione delle posizioni dai mercati sviluppati verso gli emergenti. Per quanto riguarda l’universo smart beta, gli investitori hanno privile-giato i fattori difensivi, quali il minimum volatility e il quality. Nell’obbligazionario, il vincitore indiscusso è stato il debito governativo. Nel 2019 la raccolta degli Etf sul mercato europeo è stata sinora

ampiamente positiva. Ha infatti raggiunto 29 miliardi di euro a fine aprile, trainata principalmente dai prodotti sul reddito fisso. Sul fronte azionario, le esposizio-ni globali sono in testa, con 7 miliardi di euro di flussi, seguite da quelle sui paesi emergenti. Osservando i settori, permane un atteggiamento difensivo, con la scelta di investire in consumi non ciclici. Lo stesso vale per gli smart beta, dove continuano i flussi positivi verso fattori difensivi (di-vidend e minimum volatility). Nell’obbliga-zionario la ripartizione è più o meno equa tra titoli di stato e corporate. Per quanto

riguarda i governativi, sono soprattutto i paesi emergenti che continuano a essere favoriti dagli investitori, mentre per i titoli corporate è la zona euro a primeggiare, con 5 miliardi di euro di flussi verso il credito investment grade e 2,3 miliardi in obbligazioni high yield».

Chelli: «Il 2018 si è rivelato un anno complesso per gli investitori a causa della crescente incertezza economica e poli-tica su entrambe le sponde dell’Atlanti-co. Nonostante ciò, in Europa nel 2018 la raccolta netta è stata positiva per 45 miliardi di euro (la metà dell’anno pre-cedente), mentre il patrimonio si è atte-stato a 633 miliardi di euro, in lievissima flessione. Pertanto, il 2018 è stato il terzo anno migliore in assoluto per l’industria degli Etf in Europa in termini di raccol-ta, dopo il 2017 e il 2015. Nell’equity, gli unici vincitori sono stati gli Etf azionari Usa, per i quali gli afflussi sono aumentati di circa il 50%, attestandosi a 18,5 miliar-di di euro. Per quanto riguarda il reddito fisso, a causa delle tante incognite e della volatilità, gli investitori si sono spostati significativamente verso asset considerati sicuri. La raccolta a favore degli Etf su ti-toli di stato dei mercati sviluppati ha rag-giunto il livello record di circa 12 miliardi di euro, equamente ripartiti tra Etf su

VINCENZO SAGONEhead of Etf, indexing & smart beta business unit Amundi Sgr

Sede italiana della società

Via Cernaia 8/10, 20121 Milano

www.amundietf.it

Aum complessivo (al 30 aprile 2019)47 miliardi di euro

Etf con le maggiori masse Amundi Msci Emerging Markets Ucits Etf

Etf più scambiato Amundi Index Msci North America Ucits Etf Dr

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governativi statunitensi ed europei. Una menzione particolare va agli investimen-ti Esg, con 4 miliardi di euro di raccolta nel 2018, equivalente al 9% dei flussi di tutti gli Etf e in netto aumento rispetto ai 2,2 miliardi registrati nel 2017. Il 2019 è iniziato positivamente per gli exchange traded fund, che nei primi mesi dell’anno hanno beneficiato di una raccolta di quasi 30 miliardi, di cui 20 ascrivibili al reddi-to fisso: da notare, infatti, che è stato il migliore inizio d’anno di sempre per il fixed income. In generale a oggi i flussi sono stati guidati principalmente dagli Etf su corporate bond, su azionario e bond emerging market e su smart beta: meri-tano inoltre una menzione questi ultimi (4 miliardi di raccolta, grazie soprattutto al fattore quality) e gli Etf Esg (3 miliardi).

Giangrande: «Nel corso del 2018 l’in-tera industry degli Etf Ucits ha raccolto circa 50 miliardi di euro. Un dato sicu-ramente positivo, considerato che, so-prattutto a partire dalla seconda parte dell’anno, tutte le principali asset class hanno registrato una volatilità crescente e performance negative, con l’unica ecce-zione dei bond governativi. Ciò potrebbe sorprendere, data la natura direziona-le dei prodotti indicizzati, ma è invece la riprova che questi strumenti si sono definitivamente affermati e sono ormai parte integrante del portafoglio dei prin-cipali investitori istituzionali. Quando il turnover è elevato, i flussi si spostano da un’asset class all’altra, ma non escono dal perimetro degli Etf, anzi i dati ci dicono che il saldo è stato appunto positivo, con masse che evidentemente sono arrivate anche da altre tipologie di investimenti. Il 2018 non ha rappresentato un’ecce-zione: sono infatti quattro anni e mezzo che il mercato non registra un solo mese di raccolta negativa, un periodo molto lungo nel quale abbiamo assistito anche ad altri momenti di forte tensione, come quello che ha caratterizzato gli emerging market nell’agosto del 2015. Tornando al 2018, i flussi si sono concentrati per la gran parte sugli Etf che replicano indici azionari globali e su quelli che offrono accesso al mercato equity statunitense. In ambito obbligazionario la raccolta ha premiato gli Etf su benchmark di titoli di stato, principalmente quelli americani, mentre a soffrire sono stati i prodot-

che, nonostante le performance positive realizzate dai mercati azionari, nel corso del primo trimestre dell’anno la raccolta sull’equity è stata inferiore a quella degli Etf obbligazionari. Una possibile spiegazio-ne è che la maggior parte degli investitori abbia probabilmente tenuto duro durante gli ultimi mesi del 2018 confidando in un successivo rimbalzo, circostanza che poi

MARCELLO CHELLIresponsabile per l’Italia Lyxor Etf

Sede italiana della società

Via Olona 2, 20123 Milano

www.lyxoretf.it

Aum in Europa (al 16 maggio 2019) 62 miliardi di euro

Etf con le maggiori masse e più scambiato in Italia (fonte Borsa Italiana al primo trimestre)Lyxor Euro Overnight Return Ucits Etf

ti sulle azioni europee e le obbligazioni corporate. Nel 2019 il sentiment di mer-cato è sicuramente cambiato e gli investi-tori sono tornati a comprare prodotti a spread, approfittando anche di valutazioni che all’inizio di gennaio avevano raggiun-to livelli di ingresso interessanti, come le obbligazioni high yield e gli emerging market bond. È interessante notare, però,

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si è effettivamente verificata. Ciò ha con-sentito loro di alleggerire gradualmente le posizioni mano a mano che i mercati si sono riportati in territorio positivo».

Qual è il bilancio del 2018 e di inizio 2019 in termini di raccolta per la vostra società e dove si sono concentrati i maggiori afflussi? Si è registrata una minore propensione al rischio?

Sagone: «Nonostante le difficili condi-zioni del mercato, nel 2018 Amundi Etf ha realizzato una raccolta netta positiva di oltre 3,8 miliardi di euro. La nostra cre-scita è stata trainata non solo dal lancio di soluzioni innovative, ma anche dalla competitività in termini di costo e dal-la capacità di soddisfare con successo le esigenze dei clienti grazie a strategie, sia core di portafoglio, sia più specifiche. La business line si è concentrata sullo svi-luppo di soluzioni su misura per clienti

istituzionali e distributori, a dimostrazio-ne dell’impegno profuso nel collaborare con loro e nel soddisfare le loro esigenze di lungo periodo. In particolare, in un con-testo caratterizzato da una forte doman-da per gli strumenti azionari e a reddito fisso tradizionali, Amundi Etf ha attirato il 30% dei flussi verso gli Etf azionari esposti ai mercati emergenti, quasi il 35% verso quelli sulle azioni europee e il 25% delle sottoscrizioni verso strumenti su bond governativi globali. Nei primi quattro mesi del 2019 Amundi Etf ha raccolto oltre 3,3 miliardi di nuovi asset, confermandosi nella top-5 degli emittenti europei con 47 miliardi di euro di masse gestite e al terzo posto in Italia. La nostra raccolta si è concentrata principalmente sugli Etf esposti alle azioni Usa e nord americane, che hanno attirato oltre 1,7 miliardi di euro, e all’azionario emergente con oltre 1,2 miliardi di flussi, circa il 20% del totale verso questa asset class. Infine, in ambito obbligazionario, abbiamo raccolto oltre 340 milioni di euro sui titoli governativi della zona euro (all maturities)».

Chelli: «Nel 2019 Lyxor sta raccoglien-do sull’Etf sugli U.s. Tips (inflation linked bond) e sul nuovo Etf Esg Msci Europe Leaders, che ha superato 500 milioni di euro di patrimonio. Si è invece registrata un’inversione di tendenza sull’Etf costru-ito sull’S&P 500 che, nel 2018, era stato il prodotto di maggiore successo grazie a una raccolta di 3 miliardi di euro che lo aveva portato a sfiorare 9 miliardi di pa-

trimonio. L’interesse è scaturito soprat-tutto dalla sua performance a un anno, ben superiore a quella di altri Etf a mi-nore costo, a riprova che non ci si può limitare all’analisi del Ter per la selezio-ne degli Etf. Sempre nel 2018, il secondo prodotto per raccolta è stato il Lyxor Etf Stoxx Europe, che appartiene alla gamma di Lyxor Etf “core”, cioè a basso costo (Ter di 7 punti base all’anno), a replica fisi-ca e senza rischio di prestito titoli. Infine, il terzo Etf per raccolta è stato il Lyxor Etf Euro Overnight (ex Euro Cash) che, insieme al Lyxor Etf Smart Cash, viene usato per la gestione del cash in virtù di una duration nulla: i due Etf di liquidità hanno complessivamente quasi 2 miliardi di patrimonio e una liquidità eccezionale sull’Otc, con uno spread bid-ask pari a una frazione di basis point».

Giangrande: «Come detto, i flussi del 2018 non hanno evidenziato un chiaro spostamento di masse verso prodotti a minore rischio, anzi gli Etf azionari han-no catalizzato la gran parte dell’interesse con oltre il 70% dei flussi netti totali. Un risk off si è però osservato nell’ambito degli investimenti obbligazionari. La rac-colta, infatti, è stata appannaggio quasi esclusivo dei prodotti exchange traded che offrono accesso a indici di bond go-vernativi in euro e in dollari, i quali, in effetti, non hanno perso il ruolo di safe haven asset realizzando alla fine dell’anno performance positive. I flussi sembrano quindi suggerire che le riallocazioni non

MAURO GIANGRANDEdirector-head of passive sales, Italy & Iberia Xtrackers Dws

Sede italiana della società

Via Filippo Turati 25/27, 20121 Milano

https://funds.dws.com/it

Aum totale della piattaforma europea di Etp (al 31 marzo 2019) 88,4 miliardi di euro

Etf con le maggiori masse in EuropaXtrackers Euro Stoxx50 Ucits Etf

I tre Etf Xtrackers più scambiato su Borsa Italiana (al 10 maggio 2019)

Xtrackers Msci Usa Ucits Etf

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54 FONDI&SICAV Giugno 2019

siano state dettate da una propensione al rischio decrescente, ma piuttosto dall’a-dozione di un approccio barbell che da un lato ha polarizzato i portafogli nei due estremi e dall’altro ha cercato di ridurre il più possibile il rischio di liquidità. Le azio-ni sono infatti l’asset class che può essere smobilizzata più velocemente e al minore costo in caso di un’improvvisa inversione di tendenza». A vostro avviso nell’in-vestimento in Etf quanto conta ancora l’elemento risparmio dei costi?

Sagone: «Nell’attuale contesto di mer-cato, caratterizzato da rendimenti bas-si, l’attenzione ai costi è cruciale. L’Etf è un candidato naturale nelle scelte di allocazione degli investitori, poiché le commissioni contenute sono una delle sue caratteristiche principali. Anche nel selezionare un Etf, poi, l’investitore guar-da al Ter, un elemento sul quale Amundi pone grande attenzione, tanto da fare di “cheaper & smarter” il nostro motto. A dimostrazione dell’impegno in tal senso e grazie al potere negoziale datoci dalla dimensione del gruppo Amundi, abbiamo lanciato quest’anno la gamma Amundi Pri-me Etf, la meno cara sul mercato. Que-sta offerta di nove Etf sulle asset class e geografie indispensabili per comporre un portafoglio diversificato, è infatti propo-sta a spese correnti dello 0,05%. Il costo è quindi fondamentale, ma non dobbia-mo dimenticare che anche altri elemen-ti hanno la loro importanza. Sulla base dell’ultima Survey Edhec condotta su un campione di investitori istituzionali, quan-do questi si trovano a selezionare un Etf, considerano anche parametri come la qualità della replica, l’impegno nel lungo termine dell’emittente e l’ampiezza della gamma. Questo risultato è importante, perché dimostra che gli investitori sono alla ricerca di partner di fiducia, in grado di offrire soluzioni sostenibili nel tempo».

Chelli: «In Europa, nel 2018, gli Etf a bas-so costo hanno catalizzato circa la metà di tutta la raccolta netta dell’industria e sono stati il segmento degli Etf con il più alto tasso di crescita. Da anni esiste una gamma di Lyxor Etf con un Ter compre-so tra lo 0,04% e lo 0,12% all’anno: com-

plessivamente sono 21 prodotti passivi, che diventano 32 considerando le varie versioni (ad esempio, a cambio coperto, a capitalizzazione, a distribuzione…). La gamma di Lyxor Etf a basso costo, che ha quasi 5 miliardi di euro di patrimonio complessivo, copre i maggiori mercati azionari (Europa, Eurozona, Us, Uk, Giap-pone, Asia, globale) e obbligazionari ed è previsto un ampliamento ulteriore del range. Esattamente un anno fa, all’interno della gamma di Etf a Ter ridotto, Lyxor ha aggiunto il suffisso “core” agli strumen-ti che sono a replica fisica e che non si espongono al rischio del prestito titoli. È opportuno comunque ricordare che il costo totale di un Etf non esprime la qualità della sua replica e così alcuni Etf hanno migliori performance rispetto ad altri con Ter più bassi».

Giangrande: «I costi ridotti hanno avu-to un ruolo fondamentale soprattutto per la definitiva affermazione degli Etf fixed income. In presenza, infatti, di rendimenti sempre più compressi e in molti casi ad-dirittura negativi, commissioni eccessive potrebbero rappresentare una zavorra difficilmente sostenibile, soprattutto nel medio-lungo termine. Più in generale, il nuovo contesto normativo ha sicuramen-te influito nella scelta di alcuni distribu-tori di inserire una percentuale maggiore di Etf all’interno di prodotti retail, quali ad esempio le unit-linked, allo scopo di ridurre in maniera considerevole i costi complessivi che gravano sul cliente fina-le. Detto ciò, sarebbe altamente riduttivo circoscrivere le ragioni del successo degli Etf alla semplice competitività commissio-nale, anche perché la riduzione dei Ter ha più di recente interessato tutte le catego-rie di fondi, soprattutto le classi istituzio-nali. Dai riscontri ricevuti dai nostri clienti abbiamo infatti evidenza che altre ragioni concorrono, insieme ai costi, a determi-nare la scelta finale tra i vari strumenti disponibili. I più importanti sono l’elevato grado di trasparenza associato all’investi-mento in Etf, la possibilità di aggiustare i portafogli molto velocemente e con bassi costi di transazione, il sempre maggiore peso che, nella ricerca dell’extra-rendi-mento, assumono le decisioni di asset al-location rispetto allo stock picking».

Come si sta evolvendo la

domanda da parte degli investitori?

Sagone: «Per quanto riguarda i prodot-ti, notiamo un crescente interesse anche nell’industria passiva per gli investimenti responsabili. Sta infatti aumentando la domanda di Etf che replicano indici Sri o che applicano esclusioni specifiche. Per rispondere a queste richieste e poiché Amundi ha fatto dell’investimento re-sponsabile uno del suoi quattro principi fondanti, tutti gli Etf della nostra gamma escludono i titoli di società coinvolte nella produzione o nella vendita di armi controverse. Abbiamo poi lanciato una gamma di Etf Sri, sia azionari, sia obbli-gazionari, che utilizzano la metodologia Sri di Msci. A questa offerta si aggiunge la creazione di soluzioni su misura per rispondere alle esigenze specifiche degli istituzionali. Sempre per i prodotti, un trend che si osserva sul mercato euro-peo degli Etf è lo sviluppo dell’offerta di Etf obbligazionari: penso, ad esempio, agli strumenti sulle obbligazioni a tasso va-riabile, ai tripla B o agli Etf aggregate. In-fine, notiamo un appetito crescente per le esposizioni tematiche, come l’intelli-genza artificiale, per esempio, che con-sentono agli investitori di cogliere il po-tenziale di alcuni mega-trend significativi. Uscendo dalla prospettiva puramente legata al prodotto, la domanda sta evol-vendo anche sulla tipologia di investitore: notiamo infatti un interesse in aumento da parte del retail, fatto piuttosto nuo-vo sul mercato europeo, dove la grande maggioranza di coloro che acquistano un Etf (nell’ordine dell’80%) è costituita da professionali e istituzionali. Si tratta di un trend appena iniziato, stimolato tra l’altro anche dalle novità normative in-trodotte dalla Mifid II, ma riteniamo che sia destinato a crescere. Ciò si traduce nello sviluppo di soluzioni a base di Etf, quali i fondi di fondi, le gestioni patrimo-niali, le unit-linked, sempre più richieste dai distributori. Per rispondere a questa domanda l’emittente di Etf deve essere in grado di offrire non solo il prodotto Etf, ma anche un servizio di advisory e di costruzione di soluzioni strutturate e una serie di strumenti di animazione dell’offerta per supportare il distributo-re nella formazione e nell’informazione rivolta al cliente».

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56 FONDI&SICAV Giugno 2019 FONDI&SICAV Giugno 2019 57

di Paola Sacerdotein collaborazione con Borsa Italiana

Ad aprile gli asset under management di Etfplus, il segmento di Borsa Italiana dedi-cato agli exchange traded product, si sono attestati a 74,98 miliardi di euro, metten-do a segno una crescita del 10,9% rispet-to allo stesso periodo del 2018. Nel corso del mese sono stati quotati 16 nuovi Etf (15 tradizionali e uno attivo) e il numero complessivo degli strumenti disponibili sulla piattaforma è salito ora a 1.299, dei quali 983 Etf, 208 Etc e 109 Etn, mentre i provider sono rimasti stabili a 20.

MIGLIORE MESE PER GLI ETCLa crescita dell’Aum complessivo degli exchange traded fund è da attribuire es-senzialmente all’effetto prezzo, determina-to da un primo quadrimestre ottimo per quasi tutti i mercati, che ha contribuito alla variazione positiva per oltre 1.134 milioni, mentre i flussi netti nel mese sono stati leg-germente negativi per un valore di 7,6 mi-lioni di euro. Proseguendo il trend in atto da inizio anno, la raccolta si è concentrata pre-valentemente sugli strumenti obbligazionari, anche se in deciso rallentamento rispetto ai mesi precedenti: i prodotti sul reddito fisso hanno infatti raccolto 294,02 milioni di euro, meno di un terzo rispetto a mar-zo. Tutte le altre asset class hanno chiuso il mese in rosso, con la classifica dei deflus-

ETP

IL MERCATO ITALIANO

Patrimonio in costantecrescita

Etf, Etc/Etn quotati in Italia

Società Etf Etc Etn

Structured Invest 2

Hanetf 5

First Trust 3

Indexiq - Candriam 5

Franklin Templeton 9

Ossiam 11

Vaneck 18

Jp Morgan 20

Vanguard 19

Hsbc 20

L&G 21

Bnp Paribas Easy 22

Spdr Etfs – State Street 71

Invesco 80 1

Ubs 91

Amundi 106

iShares 132

Xtrackers 145 9

Lyxor – Société Générale 166 25 24

Boost/Wisdomtree/Etf Securities 37 173 85

20 emittenti 983 208 109

Dati al 30 aprile 2019

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56 FONDI&SICAV Giugno 2019 FONDI&SICAV Giugno 2019 57

AUM DEGLI ETF PER ASSET CLASS

Etf azionari sviluppati 36,77%

Etf obbligazionari 45,98%

Etf azionari emergenti 7,61%

Etf style 3,65%

Altro 5,99%

Indice di commodity 6,24%

Energia 16,80%

Metalli preziosi 51,89%

Metalli industriali 1,77%

Prodotti agricoli 3,20%

Bestiame 0,03%

Etn 20,07%

AUM DEGLI ETC/ETN PER ASSET CLASS

si guidata ancora una volta dagli strumenti sull’azionario dei paesi sviluppati, che hanno registrato disinvestimenti per 355,45 milio-ni, seguiti dai prodotti sull’azionario emer-gente con un saldo negativo di 63,67 e dagli Etf di stile con 23,21 milioni. Di converso, gli Etc hanno messo a segno il migliore mese dell’anno con una raccolta che si è attestata a 173,88 milioni.

BENE DA INIZIO ANNODall’inizio dell’anno la raccolta complessi-va sulla piattaforma Etfplus è positiva per 1.676,05 milioni. In testa alla classifica si posiziona ovviamente l’obbligazionario, con 2.737,2 milioni di flussi netti in entrata, se-guito dagli Etc/Etn che, grazie al ritorno d’in-teresse degli investitori nel corso del mese appena concluso, si posizionano al secondo posto con flussi positivi per 199,23 milioni, e dai prodotti sull’azionario emergente con 134,37 milioni. Sul fronte opposto, i maggio-ri deflussi nei primi quattro mesi del 2019 si sono registrati nell’azionario dei paesi sviluppati, che ha registrato fuoriuscite per 1.430,99 milioni, ed è leggermente negativo anche il bilancio degli Etf di stile che hanno visto disinvestimenti per 31,19 milioni.Per quanto riguarda gli scambi, ad aprile i nu-meri sono risultati in calo rispetto al mese precedente, sia per numero di contratti medi giornalieri (18.279 contro 20.592 di marzo), sia per il controvalore medio degli scambi (388,6 milioni di euro contro 428,7).

RACCOLTA NETTA PER ASSET CLASS

aprile 2019

Azionari sviluppati Obbligazionari Azionari emerging Style Altro Totale Etf Etc/Etn Totale Etfplus

173,88

mnl

1.500

1.250

1.000

750

500

250

0

-355,45

294,02

-63,67 -23,21

140,71 166,28

2737,2

134,37

-31,19

1476,82

199,23

1676,05

67,43

-1430,99

2019

-7,60

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a cura di 4InvestAdvisor

La generazione di algoritmi basati su mo-delli genetici ha portato notevoli sviluppi, vantaggi e passi in avanti nel settore, ma ha altresì evidenziato la necessità di effettuare uno step ulteriore, legato non solo all’ana-lisi dei parametri, ma anche alla loro bontà e alla loro solidità, alla solidità statistica del modello creato, alla resistenza alle modifi-che del sottostante e di conseguenza ap-punto a un allontanamento dal sottostante stesso. Nasce quindi una nuova generazione, il trading algoritmico in intelligenza artificia-le basato sulla data science, con un utilizzo reale dei processi di machine learning. La macchina apprende non solo per il settag-gio dei parametri e la ricerca delle condi-zioni migliori, ma anche per la capacità di resistere a un certo grado di mutamenti del mercato, con impostazioni adattabili a sottostanti diversi, ma con natura statistica simile.

FINTECH

L’ULTIMO STEP

I modelli in data science

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58 FONDI&SICAV Giugno 2019 FONDI&SICAV Giugno 2019 59

NON C’È IL SOTTOSTANTEQuesti nuovi modelli e questa metodolo-gia, prodotti con le ultime tecnologie lega-te ai big data combinati a processi di data science e machine learning, non nascono direttamente dai movimenti del sottostan-te, ma solo in ultima istanza vengono appli-cati al sottostante selezionato, come se il sottostante reale fosse semplicemente una delle milioni di possibilità analizzate.La conseguenza dei modelli creati con que-sta nuova metodologia risulterà non solo priva di tutti quei problemi che potevano essere generati dalle costruzioni basate direttamente sui sottostanti utilizzati, ma anche capace di adattarsi notevolmente meglio ai possibili mutamenti del mercato, avendo infatti già dimostrato di potere la-vorare su scenari anche molto diversi fra loro.Oltre a questo, che già rappresenterebbe un notevole passo avanti, questi processi realizzati grazie a queste recentissime tec-nologie e metodologie, hanno permesso di sviluppare controlli sulla normalizzazione dei parametri, così da evitare, grazie a pro-cessi di “gaussianizzazione” dei parametri, quello che in statistica viene definito ru-more statistico.

NUOVISSIMA GENERAZIONEQuesta nuovissima generazione, che è ve-nuta a crearsi solo recentissimamente gra-zie soprattutto alla notevole rivoluzione avvenuta in campo informatico e di cui la 4Invest Adivsor risulta pioniera, nasce da quanto di buono gli algoritmi genetici e di reti neurali hanno portato al trading algo-ritmico. La data science, grazie ad analisi di big data e a processi di machine learning, ha per-messo di elaborare con metodologie in qualche modo simili agli algoritmi genetici ma non ancorati al sottostante, nuovi mo-delli e metodi di trading non costruiti sul

sottostante e sottoposti a processi di veri-fica su milioni di test.Linguaggi di programmazione come R o Python, con i vari moduli statistici e le li-brerie legate ai big data, hanno permesso non solo di analizzare quantità di dati al-trimenti impossibili da studiare, ma anche, attraverso procedure di data science, di NON lavorare direttamente sui sottostanti ma creare milioni di potenziali sottostanti nati da letture statistiche di quelli reali. In questo modo è possibile simulare su centi-naia di milioni di test non solo la solidità dei modelli e la mancanza di eccessive corre-lazioni, overfiting e correlazioni spurie, ma anche un’estrema resistenza dei modelli ai possibili mutamenti dei sottostanti.

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FONDI&SICAV Settembre 2018 61

CONSULENTI RETI

MAURIZIO BUFIpresidente

Anasf

MARCO DEROMApresidente Efpa Italia

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Lo sviluppo delle conoscenze e delle com-petenze aumenta il capitale umano e mi-gliora la qualità del servizio di consulenza. In 10 anni lo scenario italiano è completa-mente cambiato e non solo su stimolo del regolatore. Ben prima, infatti, le associa-zioni di categoria e le stesse società-reti si sono mosse per innalzare il livello di preparazione dei consulenti finanziari. Ac-canto a questo percorso è emerso il tema della certificazione delle competenze ac-quisite, chi garantisce, cioè, che il lavoro formativo è stato efficace. In questo numero di Fondi & Sicav, che ar-riva ai lettori nei giorni dell’Efpa meeting di Torino, si parla di questi temi con Mar-co Deroma, presidente di Efpa Italia, fondazione che ha il ruolo di certificare le competenze degli advisor, e con Mauri-zio Bufi, presidente dell’Anasf, l’associa-zione dei consulenti finanziari.

Com’è cambiato il mondo del-la consulenza finanziaria italiana negli ultimi 10 anni sul piano delle competenze professionali?

Maurizio Bufi (Anasf): «Lo sviluppo delle competenze professionali è da sem-pre il leit motiv dell’attività del consulente finanziario e rappresenta una delle leve fondamentali dell’incremento della qualità del servizio al risparmiatore. Un percorso che negli ultimi 10 anni ha saputo rispon-dere all’aumentata complessità degli sce-nari economici e all’emersione di esigenze sempre più sofisticate della clientela, il tutto inserito in un contesto che ha visto vacillare i paradigmi più consolidati del mondo finanziario. Si pensi in particolare alla crisi del modello di banca tradizionale e alla portata disruptive dell’innovazione tecnologica per il nostro settore. In que-sto scenario la nostra categoria si è dimo-strata all’altezza delle sfide, adattandosi pro-attivamente, anche e soprattutto sot-to il profilo del capitale umano, alle novità e conservando al tempo stesso la propria identità».

Marco Deroma (Efpa Italia): «Gli ultimi 10 anni hanno segnato un profon-do cambiamento, che si può riconoscere anche analizzando l’evoluzione della for-mazione. Ricordo che nel 2009 hanno cominciato a essere sviluppate iniziati-ve formative di grande valore e oggi, nel

CONSULENTI RETI

MAURIZIO BUFIpresidenteAnasfpresidentAnasfMARCO DEROMApresidente Efpa Italia

Preparatie certificati

a cura di Lorenzo Dilena

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2019, i principali intermediari dispongono di una propria struttura formativa interna che affonda le proprie radici nel decennio appena trascorso. Che si chiamino corpo-rate university, campus o altro ancora, non ha importanza: dietro al nome si intravve-dono i grandi investimenti economici che testimoniano l’importanza strategica della conoscenza e della competenza. Aggiungo che 15 anni prima dell’arrivo della Mifid II, l’Associazione dei consulenti finanziari ha fondato Efpa Italia e l’attuale numero di circa 6 mila professionisti certificati rap-presenta il migliore esempio concreto di attenzione alla preparazione e all’aggior-namento professionale continuo. Questa è l’Italia innovativa, che non attende le pre-scrizioni degli organismi di regolazione dei mercati per cambiare».

In quali aspetti della professione si può toccare con mano il miglio-ramento del servizio come effet-to della più ampia preparazione del consulente?

Bufi: «Il valore del nostro servizio si può

misurare con un approccio multidimensio-nale che tiene conto non solo degli aspetti quantitativi, come il numero di clienti, le quote di mercato o il patrimonio gestito, ma anche del livello di soddisfazione de-gli investitori nei confronti del servizio ricevuto. Non dobbiamo poi dimenticarci dell’ulteriore dimensione rappresentata dal grado di preparazione della cliente-la delle reti sui temi del risparmio, che è migliore rispetto a quello riscontrabile tra coloro che si affidano ad altri canali. Tut-to ciò è stato possibile grazie a un’opera costante di sviluppo e di consolidamento della relazione con il risparmiatore, del quale abbiamo imparato a interpretare attitudini e sensibilità che richiedevano di essere espresse. Si pensi, ad esempio, ai temi della finanza etica».

Deroma: «La maggiore propensione all’investimento nei prodotti di risparmio gestito è un esempio di miglioramento del servizio di consulenza che è frutto della specifica formazione del professionista. Indipendentemente dalla selezione che si svilupperà in futuro sulla base del rapporto

valore/costo degli strumenti di risparmio gestito, è fuori discussione il contributo alla performance che deriva dal corretto comportamento dell’investitore. In questo ambito si rileva il grande valore offerto dal consulente finanziario al cliente».

La Mifid II ha introdotto nuo-vi standard formativi. Le società devono garantire percorsi di ag-giornamento della durata com-plessiva di almeno 30 ore con test finale. Qual è la validità e l’affi-dabilità di un percorso realizzato tutto in casa?

Bufi: «Il ruolo del legislatore è fornire standard di base lasciando il necessario grado di flessibilità agli operatori. Spet-ta poi a ciascun intermediario fornire ai propri consulenti gli strumenti per pote-re investire adeguatamente sulla propria formazione in modo tale che il confronto con gli investitori possa essere all’altezza delle aspettative del mercato. La possibile differenziazione dei percorsi formativi non deve perciò essere considerata un limite

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ma, anzi, una leva di valore che arricchisce il panorama dell’offerta di consulenza».

Deroma: «Il recepimento della direttiva Mifid II in Italia, in ambito di conoscenze e competenze richieste al personale adibito all’erogazione di servizi di informazione o consulenza in materia di investimenti, non ha seguito il suggerimento dell’Esma (l’autorità europea di vigilanza sui mercati mobiliari, ndr) di garantire una netta divi-sione tra gli enti responsabili delle attività di formazione e quelli incaricati di verifi-carne l’apprendimento. Questo elemento porta alla nascita di possibili conflitti di interesse, figli di una certificazione delle competenze potenzialmente autoreferen-ziale e, quindi, non completamente affida-bile».

Nell’ottobre 2018 la Consob ha riconosciuto, ai fini dell’attività formativa dei consulenti, anche i soggetti esterni all’intermedia-rio: quali opportunità può creare questo fatto per le associazione di cui siete a capo?

Bufi: «Non si tratta soltanto di un’op-portunità, ma anche e soprattutto di un riconoscimento dell’esperienza della nostra associazione, che da sempre ha considerato la formazione un fiore all’oc-chiello della propria attività e che ora può pertanto giocare un ruolo di primo piano nell’offerta formativa di percorsi di ag-giornamento professionale».

Deroma: «Efpa Italia non si occupa di formazione, ma di certificazione delle co-noscenze e delle competenze di financial advisor e di financial planner, mantenendo così una netta separazione che garantisce l’imparzialità del nostro giudizio. Detto ciò, l’allargamento del perimetro formati-vo a soggetti esterni all’intermediario rap-presenta un’opportunità di outsourcing che potrebbe rappresentare un’alternati-va per contenere i costi di questa attività e per garantire un percorso formativo che sia anche in linea con i programmi delle nostre certificazioni. Questo fatto rappre-senta un’opportunità per la fondazione di aumentare i professionisti certificati al suo attivo».

Avete riscontrato che si sia ve-

MAURIZIO BUFI, presidente Anasf

rificato in generale un interesse crescente da parte del potenziale bacino di utenti?

Bufi: «Da sempre i nostri seminari ri-scuotono molto successo tra gli associa-ti, grazie all’elevato standing dei docenti e alla proposta di tematiche in linea con l’evolversi dei mercati e del contesto nor-mativo, nonché delle esigenze professio-nali dei consulenti finanziari».

Deroma: «L’interesse da parte delle reti di consulenti finanziari e degli istituti ban-cari è tangibile. Soprattutto nell’ambito delle società di distribuzione abbiamo ri-scontrato una certa sensibilità sul tema di una certificazione indipendente e al mo-mento sono in via di sviluppo programmi formativi specifici finalizzati al raggiungi-mento dei livelli di preparazione adeguati al conseguimento delle certificazioni Eip (European financial practitioner) ed Efa (European financial advisor)».

State lavorando a partnership stabili con gli intermediari?

Bufi: «Sì, abbiamo già avviato le prime si-nergie con Azimut, Fideuram e Sanpaolo Invest, che hanno integrato la formazione dei propri consulenti con i corsi Anasf. L’obiettivo è allargare la platea delle reti

cui fornire il nostro know how».Deroma: «Stiamo lavorando per porre basi solide sulle quali costruire rapporti di collaborazione di lungo periodo, in par-ticolare con gli enti formativi che fanno capo agli intermediari. L’obiettivo di Efpa Italia è indubbiamente consolidare la pro-pria posizione, proponendosi come ente certificatore di riferimento nell’industria. Già oggi la nostra offerta si qualifica come una delle migliori in termini reputazionali e tramite nuove collaborazioni con gli in-termediari puntiamo a crescere per rag-giungere i livelli di Spagna e Regno Unito».

Quali sono gli ambiti disciplinari in cui si devono concentrare gli sforzi formativi oggi?

Bufi: «L’evoluzione della formazione va di pari passo con quella della professione. Anticipare o rispondere prontamente alle mutevoli esigenze del mercato è una con-ditio sine qua non per mantenere un ruolo di primo piano in questa industria. La no-stra associazione è perciò chiamata a pre-sidiare costantemente i cambiamenti del panorama normativo e i nuovi trend nelle abitudini di risparmio e di investimento per potere proporre un’offerta formativa up-to-date. È il caso di approfondimenti sui nuovi temi dell’investimento immobi-liare, dell’art advisory e della discontinuità

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aziendale e familiare».Deroma: «Ci sono due esempi concreti che sottolineano la necessità di migliorare la qualità degli investimenti degli italiani: l’eccesso di liquidità e l’incapacità di utiliz-zare correttamente la risorsa tempo. Per temi così importanti occorre una risposta di sistema, ovvero un impegno educativo condiviso che coinvolga tutti i portato-ri d’interesse del mercato: l’industria dei prodotti, gli intermediari, gli organi di in-formazione, l’Organismo di vigilanza e te-nuta dell’Albo unico, i consulenti finanziari stessi e le associazioni dei consumatori. Nell’auspicata risposta di sistema, la Fon-dazione avrebbe il ruolo di promuovere e sostenere programmi di formazione per i consulenti finanziari orientati al potenzia-mento delle competenze in ambito di neu-ro-scienze, di analisi dei comportamenti e di psicologia delle scelte».

Fra Efpa e Anasf esiste ormai un rapporto collaudato: sono in pre-visione nuove iniziative comuni nel campo della formazione cer-tificata?

Bufi: «La nascita di Efpa è stata fortemen-te voluta dalla nostra associazione come

passo necessario al riconoscimento di principi, programmi formativi e linee gui-da di valutazione per la costruzione di un profilo professionale di riferimento a for-te vocazione europea nella pianificazione finanziaria. Il futuro si giocherà sulla capa-cità di continuare a puntare sul riconosci-mento del valore della formazione e sarà quindi un passaggio naturale proseguire in questo percorso di collaborazione e di crescita volto a un ulteriore consolida-mento del ruolo di Efpa quale soggetto di riferimento per il settore».

Deroma: «Anasf ed Efpa Italia hanno sempre mantenuto una stretta collabo-razione. Nell’ultimo anno, caratterizzato dall’introduzione della normativa Mifid II, il rapporto si è ulteriormente rafforzato proprio in virtù dell’adozione da parte del regolatore europeo e nazionale dei principi che avevano ispirato la fonda-zione di Efpa Italia, ovvero l’importanza della formazione, della certificazione delle conoscenze e competenze e dell’aggior-namento professionale continuo. Il rico-noscimento della validità degli scopi della fondazione amplia l’ambito delle iniziative comuni con Anasf come, per esempio, le recenti collaborazioni con il mondo acca-

demico».Quali sono le certificazioni indi-pendenti che un consulente do-vrebbe avere cura di possedere nel proprio curriculum vitae, una volta che abbia ottenuto il “pa-tentino” dell’Albo?

Bufi: «L’iscrizione all’Albo rappresenta già di per sé la garanzia di uno standard di qualità elevato, poiché è basata su una rigorosa prova valutativa oppure sul pos-sesso di specifici requisiti di professionali-tà. Nello svolgimento della professione si inserisce poi un’attività di aggiornamento cui tutti i consulenti finanziari sono chia-mati. Sta infine alla sensibilità del singolo valutare quali sono gli ambiti su cui pun-tare maggiormente, in base al contesto in cui opera e alla propria clientela. Allo svi-luppo del proprio bagaglio di conoscenze e competenze possono contribuire anche le sinergie tra consulenti finanziari attiva-bili attraverso formule organizzative già sperimentate, come il team, o innovative, come la persona giuridica a favore della quale l’Anasf da tempo si pronuncia in un’ottica di allineamento europeo. In que-sto scenario sarà proprio la specializza-zione delle competenze la chiave per met-tere a disposizione del risparmiatore una squadra di professionisti qualificati che sappia offrire una consulenza a 360 gradi».

Quali sono i temi principali dell’Efpa meeting a Torino e per-ché li avete ritenuti importanti per la formazione dei consulenti finanziari?

Deroma: «La definizione di standard sui requisiti di conoscenza e competenza ri-chiesti al personale è stata uno dei punti di innovazione più rilevanti introdotti dalla Mifid II. Questo elemento è necessaria-mente legato al concetto di formazione, sia come preparazione pregressa, sia come processo di costante aggiornamento. I temi scelti per l’Efpa Italia meeting 2019 ripor-tano all’idea della formazione concepita in chiave introspettiva. Andremo a esplorare, infatti, quali dimensioni ha assunto e sta as-sumendo la professione del consulente fi-nanziario, cercando di offrire uno strumen-to di orientamento che aiuti gli advisor a trovare una loro identità all’interno di un contesto in continua evoluzione».MARCO DEROMA, presidente Efpa Italia

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Da impiegato di sportello a consu-lente finanziario, lasciandosi alle spalle lo stipendio fisso per passare alla libera professione. Chi ha det-to addio alle banche tradizionali, optando per le reti di consulenza, sa di che cosa si sta parlando: di fatica della scelta, di formazione, di cambiamento, di motivazione e di sfide. Sono migliaia i professio-nisti che hanno fatto questa scel-ta. La ristrutturazione del settore bancario retail ha creato esuberi, ma anche opportunità

In questo numero Fondi & Sicav racconta le storie di ex bancari che hanno deciso di passare da un lavoro tranquilo, quasi un clas-sico di sicurezza e rilassatezza, a un impe-gno professionale che può dare molte sod-disfazioni, ma elimina quasi tutte le certezze. Come dice uno di loro: «Lavoro molto più di prima ma con grandi soddisfazioni. Gesti-sco meglio il mio tempo e lo condivido con più consapevolezza con la mia famiglia».

FLESSIBILITÀ E MERITOCRAZIABarbara Castoldi arriva alla professione di consulente finanziario dopo una carriera in quello che è oggi il gruppo Ubi: il Credito Agrario Bresciano prima, la Banca Lombar-da dopo, infine l’attività di private banker sempre per Ubi Banca. «Sono molteplici le motivazioni che mi hanno spinto ad abbrac-ciare la libera professione», spiega. «Innan-zitutto c’è una componente personale, con alcune vicissitudini familiari che richiedeva-no da parte mia una gestione del tempo più autonoma ed elastica. A ciò si è aggiunta la ricerca di un sistema più meritocratico che premiasse la mia grande voglia di mettermi alla prova e combaciasse con l’esigenza di nuovi stimoli e sfide professionali».Dopo una lunga riflessione, Barbara ha trovato tutto ciò in Banca Generali Private. Una sfida definita «stimolante», avendo trovato «una struttura che, oltre ad avermi accolto a braccia aperte, mi ha messo nelle condizioni ottimali per vivere con serenità questa transizione che rappre-senta una scelta importantissima nella mia vita». Una sfida che consiglierebbe agli ex colleghi? «È una scelta estremamente per-sonale e non è detto che il passaggio alla libera professione sia giusto per tutti. Nel mio caso, la premessa è stata amare il mio lavoro, una forte motivazione e la volontà

CONSULENTI RETI

DA BANCARI A CONSULENTI

Fugadallo sportello a cura di Lorenzo Dilena

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66 FONDI&SICAV Giugno 2019 FONDI&SICAV Giugno 2019 67

con solide basi. In banca ho trascorso anni di importante crescita professionale, accom-pagnata dal piacere di svolgere il mio lavoro serenamente, tuttavia mancava qualcosa: la piena libertà d’azione, la completa respon-sabilità di accompagnare il cliente verso i suoi obiettivi. Ecco allora farsi strada in me la riflessione importante, sofferta, profonda e illuminante che mi ha portato a scegliere di diventare un libero professionista».Oggi Giuseppe è felice della sua scelta: «Ov-viamente non mancano momenti sfidanti, ma credo che, in giusta misura, siano parte del “carburante” che mi permette di rag-giungere sempre nuovi traguardi». A chi sta pensando di fare lo stesso passo, Testa parla chiaro: «Non è un lavoro per tutti. Occor-rono apertura mentale, caparbietà, dispo-sizione d’animo, resistenza e perseveranza, il tutto con una famiglia che ti supporti e sopporti senza se e senza ma: mia moglie e i miei tre figli sono stati e sono fondamentali nel mio percorso».

PADRONE DEL MIO TEMPODiplomato in ragioneria nel 1990, Gilber-to Bassi ha iniziato a lavorare in una banca del gruppo Unicredit nel 1993, ricoprendo

BARBARA CASTOLDIconsulente finanziarioBanca Generali Private

«È una scelta personale e non è detto che il passaggio alla libera professione sia giusto per tutti. Nel mio caso, la premessa è stata amare il mio lavoro, una forte motivazione e la volontà di aumentare il livello del servizio alla mia clientela»BARBARA CASTOLDI

di aumentare il livello del servizio alla mia clientela con cui c’è sempre stato un forte rapporto di fiducia ed empatia».

SCELTA SOFFERTA E FELICEGiuseppe Testa ha 45 anni, vive a Busto Arsizio, in provincia di Varese. Laureato in fi-losofia, è stato per anni un dipendente della Banca Popolare di Milano. «La mia passione per i numeri, per la filosofia della scienza, per la filosofia della matematica e per la fi-nanza, supportata da tanta formazione, teo-rica e pratica, mi hanno portato a scegliere quello che per me è il più bel lavoro del mondo: sono un consulente finanziario spe-cializzato nella pianificazione patrimoniale». Dal dicembre 2017 opera con CheBan-ca!. «Non voglio dilungarmi sulla motiva-zione che mi ha portato a scegliere questa realtà, bastano pochi indicatori: solidità del gruppo Mediobanca, trasparenza nel rap-porto con la struttura, compagni di viaggio davvero degni, massimo supporto dell’a-zienda nell’inserimento, anche attraverso l’assegnazione di un cospicuo portafoglio clienti che mi ha consentito di partire già

GIUSEPPE TESTAconsulente finanziarioCheBanca!

«In banca ho trascorso anni di importante crescita professionale, accompagnata dal piacere di svolgere il mio lavoro serenamente, tuttavia mancava qualcosa: la piena libertà d’azione»GIUSEPPE TESTA

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vari ruoli fino a diventare direttore d’a-genzia. Il salto è avvenuto nel 2006, con il passaggio a Banca Mediolanum, fino ad approdare come consulente finanziario nel 2011 a Copernico Sim. «La scelta di pas-sare da dipendente di una banca tradiziona-le a consulente finanziario libero professio-nista è stata dettata da due fattori: anzitutto la famiglia, visto che ero diventato da poco tempo papà; poi le difficoltà che il sistema bancario stava già manifestando e che si ripercuotevano sull’operatività quotidiana con limiti operativi e logiche commerciali che facevo fatica ad accettare».Così, per evitare di passare da una banca all’altra, rischiando di ritrovarsi con gli stessi problemi, Gilberto ha cercato un’alternati-va fuori dal sistema tradizionale, anche se il timore di lasciare la retribuzione fissa per quella variabile era forte. «Mi ha aiutato a prendere la decisione definitiva un’attenta riflessione sulle mie capacità e soprattutto su come avevo gestito fino ad allora il mio rapporto con i clienti». Da qui la scelta «di abbandonare il mondo bancario a favore di una realtà indipendente, che mi permettes-se di offrire liberamente le migliori soluzioni

di investimento sul mercato, tutelando pie-namente gli interessi di chi mi aveva dato fiducia». Le difficoltà? «Fare percepire al cliente che la banca tradizionale non offre garanzie maggiori rispetto a istituti non tradizionali o reti di consulenti: ho fatto un gran lavoro di educazione finanziaria per tranquillizzare i clienti».

ARCHITETTURE APERTEGiuseppe Rugiano, 61 anni, ha un curri-culum robusto. Laureato in scienze statisti-che ed economiche presso l’Università degli Studi di Bologna e Mba biennale alla Stern School of Business presso la New York Uni-versity. Per molto tempo, prima di approda-re a Widiba, è stato un private banker di Intesa Sanpaolo.Perché lasciare un porto sicuro per un’av-ventura perigliosa, per di più con una re-altà di nuova costituzione? «La possibilità di decidere in completa autonomia, senza condizionamenti, gli strumenti finanziari da proporre ai clienti per la costruzione dei loro portafogli è stata l’elemento principa-le che mi ha spinto al cambiamento». Per Giuseppe era necessario che la rete di con-sulenza scelta avesse «una gamma di case di investimento molto ampia, contenente tutti i brand più riconosciuti, senza budget di prodotto e conflitti di interesse: una vera e propria architettura aperta».Le cose non arrivano mai a caso. Quando il manager di Widiba gli ha detto “da noi non ci sono budget”, ha capito che quello era il suo posto: «In un istante mi ha messo a mio agio, era ciò che combaciava appieno con la mia filosofia». Un altro elemento di scel-ta è stato la modalità di lavoro: «Lavorare come private banker dipendente compor-tava la presenza in ufficio, elemento che era diventato un peso. Aveva però il vantaggio di farmi sentire un certo senso di protezio-ne, di tranquillità. Oggi da consulente posso gestire il mio tempo in autonomia e ho so-stituito quella protezione con la conquista quotidiana di nuovi spazi, di nuovo business. È un passaggio non banale, una crescita che chiede una forte focalizzazione su se stessi, ma che porta a risultati impagabili».

LA CENTRALITÀ DEL CLIENTEGiuseppe Maria Febbraro, classe 1976, sposato e padre di due figlie, è uomo di studio e di azione. Due lauree (economia e giurisprudenza) e una vita allo sportello lasciata alle spalle: dal 1999 al 2018 ha lavo-

GIUSEPPE MARIA FEBBRAROconsulente finanziarioCheBanca!

«Sono convinto di aver effettuato la miglior scelta possibile, anche per il modello di business costruito in regime di open architecture, fattore imprescindi-bile che mi permette di agire nell’interesse dei miei clienti e dei loro obiettivi d’investimento»GIUSEPPE MARIA FEBBRARO

rato per il Banco di Napoli-Intesa Sanpaolo, ricoprendo molteplici ruoli, gestore family, gestore personal/affluent, consulente per-sonal e dal 2011 direttore di filiale a Napoli e provincia. Lauree a parte, si può dire che Febbraro non hai mai smesso di studiare: soprattut-to saggistica giuridica e finanziaria, con una grande attenzione sul tema dell’educazione finanziaria. Ed è da qui che cova il suo lento ma inesorabile percorso di cambiamento, che dopo 20 anni da dipendente lo ha por-tato alla libera professione sotto le insegne di CheBanca!. «Sin dai primissimi anni di lavoro in banca l’area di business dedicata alla gestione del risparmio della clientela private mi ha sempre affascinato, ma c’era qualcosa che non mi convinceva, anzi pro-prio non riuscivo a mandare giù: la centralità dell’offerta commerciale era marcatamente orientata al prodotto, piuttosto che al clien-te», racconta. «Anno dopo anno, sentivo sempre più forte l’esigenza di un cambia-mento fecondo che mi avrebbe arricchito senza farmi rinnegare un importante passa-to e condotto verso il miglioramento della consapevolezza e della qualità della mia vita e della mia famiglia».

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La scelta del cambiamento era ormai ma-tura: ma dove andare? «Le preoccupazioni economiche per il passaggio da dipendente a libero professionista non mi hanno mai spaventato più di tanto, anzi il passaggio alla libera professione mi ha sempre affascinato. I timori maggiori erano tutti riconducibi-li alla sfera della scelta del brand». La de-cisione è caduta su CheBanca!, anche per il senso di stabilità e solidità del gruppo di appartenenza, Mediobanca: «Sono convin-to di avere effettuato la migliore opzione possibile, anche per il modello di business costruito in regime di open architecture, fattore imprescindibile che mi permette di agire nell’interesse dei miei clienti e dei loro obiettivi d’investimento e che per me ha avuto davvero un’importanza fondamentale nel processo decisionale che ha portato al personale cambiamento di vita».

CAMBIO VITA A 50 ANNITrentatré anni in banca non sono un giorno. Eppure quando il bisogno di cambiamento irrompe, non ci sono abitudini che tengano. Marco Conti vive a Cabiate in provin-cia di Como, e ha 55 anni. Laurea in giuri-sprudenza e grande passione per lo sport,

in particolare sci e tennis praticati a livello agonistico. «Per 33 anni ho lavorato presso una banca tradizionale, una Bcc, e da circa tre opero come consulente finanziario per Widiba», esordisce. «Ho sempre voluto fare consulenza con la C maiuscola, con pas-sione, entusiasmo e in modo pro-attivo: ac-compagnare le persone in una crescita non solo patrimoniale, ma anche di cultura e di pianificazione finanziaria. Per fare ciò occor-re liberarsi dalla logica tradizionale dettata dal budget ed entrare nella visione in cui il cliente, i suoi bisogni, i suoi interessi sono al centro». Da qui la volontà di cambiare mestiere a più di 50 anni: «La scelta del passaggio è la logica conseguenza di un percorso fatto ovviamen-te di batticuore e preoccupazioni, di valuta-zioni dei pro e dei contro, consapevole del fatto che si sa cosa si lascia, ma non cosa si trova: uscire dalla propria zona di comfort non è mai, né semplice, né facile. Ma alla fine la scelta è apparsa naturale».Dentro Widiba Marco ha trovato il terreno fertile che cercava: architettura aperta, ine-sistenza di prodotti di casa quindi mancanza di condizionamenti e di conflitti di interessi, certificazione Iso-Wise, sia della banca, sia del consulente. «E non ultimo, in ordine di importanza, l’approccio paperless, per non essere soffocati dalla gestione della carta utilizzando così il tempo risparmiato alla ri-soluzione dei bisogni del cliente». Per lui, «è stato come avere trovato il megastore ove attingere per soddisfare al meglio i bisogni e le esigenze di ogni singolo cliente in maniera assolutamente personalizzata». Ovviamente, se una persona preferisce la certezza di uno stipendio e orari ben definiti è meglio che il passaggio non lo affronti: «Es-sere consulente comporta uno sforzo deci-samente maggiore rispetto a essere dipen-dente. Chiaramente l’interesse del cliente è al centro e se viene soddisfatto se ne traggo-no benefici, sia in termini di gratificazazione personale, sia di visibilità. La preparazione e l’aggiornamento costante costituiscono un mantra per questa attività», conclude Marco.

TUTELARE I CLIENTIGiorgio Gherardi, è un private banker quarantenne in forza a Banca Generali Private di Torino, ma con clientela anche a Milano e Roma. Laureato in economia, professionalmente parlando è cresciuto in Banca Intermobiliare, prima nel team di cor-porate finance, poi nel trading e, infine, come

GIUSEPPE RUGIANOconsulente finanziarioWidiba

«Quando il manager di Widiba mi ha detto “da noi non ci sono budget”, ho capito che quello era il mio posto: in un istante mi ha messo a mio agio, era ciò che combaciava appieno con la mia filosofia»GIUSEPPE RUGIANO

relationship manager. Alla fine del 2018 il passaggio. «Dopo molti anni nella mia pre-cedente realtà, ho scelto di cambiare profes-sione abbracciando la consulenza finanziaria in una realtà leader sul mercato come Banca Generali Private. Si tratta di una decisione che ho maturato dopo un lungo percorso di ricerca di una realtà ben gestita, in crescita, pronta a confrontarsi con l’impatto norma-tivo della Mifid II e con dimensioni tali da permetterle di investire in innovazione di servizio e tecnologia e di attrarre i manager e i partner migliori». La scelta della libera professione è invece dovuta al desiderio di maggiore libertà nell’organizzare il proprio lavoro e la propria attività 1e alla volontà di misurare le proprie capacità di ricerca di una soddisfazione economica più legata all’impe-gno profuso e ai risultati raggiunti. «Sono molto contento di averla fatta e credo che questa opportunità si adatti a chi si pone obiettivi sfidanti ed è pronto a comporta-menti conseguenti per raggiungerli, impegno e fatica su tutti. Occorrono anche i numeri, ossia un portafoglio clienti di una certa rile-vanza e competenze, sia tecniche, sia rela-zionali consolidate», conclude Gherardi.

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La ricerca nel mondo dei gestori di por-tafoglio bancari si rivela spesso una pesca fruttuosa per le reti. Nei portafogli e nel capitale sociale dei novelli advisor ci sono potenzialità inespresse, non solo per il consulente. E questo fatto spiega perché i cambi di casacca sono ben incentivati. Del resto, non passa mese senza che nei nuo-vi ingressi annunciati dalle principali reti ci siano professionisti provenienti dallo sportello. Ovviamente, il passaggio non è semplice: addestramento e formazione dei nuovi arrivati devono infatti accompagnare un cambiamento di approccio che spesso è una vera e propria rivoluzione. Vediamo che cosa dicono i responsabili delle reti di consulenza.

LE RAGIONI DEL FENOMENO«Possiamo sicuramente analizzare il feno-meno dal punto di vista del sistema ban-cario, ma possiamo altrettanto inquadrarlo in una rivisitazione generale dei modelli di consumo e di un’esigenza delle persone e dei professionisti di creare un nuovo design del lavoro», esordisce Nicola Viscanti, responsabile della rete di Widiba. «Le reti di consulenza finanziaria sono più vicine a interpretare i nuovi bisogni, perché valo-rizzano la sfera delle competenze e al con-tempo offrono anche un contesto aziendale all’interno del quale operare. Per cui il seg-mento degli (ex) bancari ritrova comunque la presenza e la vicinanza dell’azienda ma, attraverso la consulenza, può occupare per-sonalmente nuovi spazi e diventare mag-giormente protagonista dei risultati», con-tinua il manager.Che si tratti di una tendenza profonda, de-stinata a incidere con forza sulla struttura dell’industria del risparmio, è dimostrato anche da ciò che sta accadendo a una rete come Copernico Sim: «Finora questo fenomeno era molto raro per noi, perché probabilmente siamo all’estremo opposto di una banca», racconta il consigliere de-legato Gianluca Scelzo. «Una società di consulenza come la nostra, infatti, è tal-mente lontana dalle logiche di un istituto, che era altamente improbabile che un di-pendente bancario venisse in contatto con noi, se non dopo avere fatto una sorta di esperienza intermedia in qualche rete di consulenza». Ma le cose cambiano: «In que-sta fase di mercato, infatti, probabilmente per la prima volta nei nostri primi 20 anni di storia», aggiunge Scelzo, «si approcciano

CONSULENTI RETI

DA BANCARI A CONSULENTI/2

La sfida allebanche tradizionali di Lorenzo Dilena

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a noi anche consulenti di banche tradizionali, perché a volere vedere lontano, il cambio di normativa impone a tutti le stesse regole».

TENDENZA DURATURA«In questi anni diversi bancari già iscritti all’albo, avendo sostenuto l’esame o grazie ai titoli equipollenti, sono passati al mondo della libera professione spinti da diverse motivazioni, prima fra tutte la possibilità di essere liberi nella scelta dell’asset allocation finanziaria dedicata ai clienti senza i vincoli commerciali che un rapporto di dipendenza tipico delle realtà bancarie più tradizionali potrebbe implicare. Ma sicuramente anche per la possibilità di ottenere una maggiore soddisfazione economica, commisurata ov-viamente all’ambizione di ciascun consulen-te finanziario», osserva Duccio Marconi, direttore centrale consulenti finanziari di CheBanca!.Sulla stessa linea anche Nicola Viscanti di Widiba: «L’attuale contesto di mercato ri-chiede professionisti sempre più qualificati e capaci di servire a 360 gradi il cliente, inter-pretando le sue necessità, anche inespresse, nella sfera del patrimonio personale e azien-dale. Occorre trovare soluzioni complete e sofisticate che non riguardano esclusiva-

mente le scelte d’investimento, ma siano anche capaci di interpretare i nuovi bisogni previdenziali, di protezione, di gestione del passaggio generazionale e di fornire le for-mule più diverse di finanziamento, fino ai servizi evoluti alle imprese». Per Marco Bernardi, vicedirettore ge-nerale di Banca Generali, «dopo i forti flussi degli anni passati, il fenomeno si è as-sestato su livelli più fisiologici. La riorganiz-zazione dei maggiori istituti è ormai stata portata a termine e l’equilibrio tra le parti si è stabilizzato». Restano in primo piano, però, diverse sfide importanti in ambito bancario per la qualificazione del perso-nale di fronte all’avanzata della digitalizza-zione, alle crescenti pressioni normative e alla maggiore trasparenza nei costi. «Serve quindi arricchire la percezione di qualità del servizio e mi aspetto che l’attenzione sui profili maggiormente orientati alla consu-lenza possa aumentare. Resto quindi posi-tivo sul continuo interesse verso la nostra professione».

IL RECLUTAMENTO«Abbiamo definito una strategia ad hoc per il reclutamento di ex-bancari: abbiamo infat-ti notato che il connubio tra il brand Medio-

NICOLA VISCANTIresponsabile della rete Widiba

«Nelle reti gli (ex) bancari ritrovano la vicinanza dell’azienda ma, attraverso la consulenza, possono occupare personalmente nuovi spazi e diventare maggiormente protagonisti dei risultati»NICOLA VISCANTI

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banca e i valori a esso connessi, solidità in primis, e i sistemi digitali evoluti distintivi di CheBanca!, sono particolarmente apprezza-ti da questo target», prosegue Duccio Mar-coni. Attualmente il 5% dei 330 consulenti di CheBanca! proviene dal mondo bancario, una presenza che la società prevede di raf-forzare nei mesi a venire. Ovviamente, le banche tradizionali non stanno a guardare. Alcune stanno dando vita a diverse strategie di fidelizzazione, proprio per evitare il passaggio di questi professio-nisti al mondo della libera professione, ma, secondo Marconi, «il fenomeno è destinato a crescere nel tempo, da una parte a causa dell’attività di razionalizzazione dei presidi territoriali avviata dai grandi gruppi banca-ri tradizionali (non è il caso di CheBanca!), dall’altra perché alcune realtà non sono in grado di sostenere la crescita progressiva delle proprie risorse attraverso percorsi di carriera dedicati». Di contro, Banca Generali non ha messo in campo strategie precise, né per i profili pro-venienti dalle banche, né per quelli che arri-vano dalle reti. «Cerchiamo professionalità

e condivisione della nostra mission e della nostra vision di fare consulenza», sostiene Marco Bernardi. «I numeri parlano da soli: in cinque anni abbiamo più che raddoppia-to le nostre masse da 27 a 61 miliardi e la raccolta si mantiene molto forte. Il portafo-glio pro capite, dato clou per comprendere le opportunità di crescita di ogni banker, è al vertice del settore con oltre 30 milioni di euro di media per ciascuno. Siamo stati l’unica rete con un saldo attivo di crescita anche in un anno difficile come il 2018 e proprio in queste settimane abbiamo supe-rato i 2 mila professionisti. Dopo il centina-io di inserimenti dello scorso anno, con l’ag-giunta di alcuni team, quest’anno potremmo incrementare leggermente i reclutamenti in presenza dei requisiti di qualità».

FATTORI CRITICIQuando si cambia lavoro, ci si espone sem-pre a rischi e incertezze. Ed è importante, sottolineano gli esperti, che l’ex bancario percepisca la fiducia e il supporto di un’ade-guata struttura e di servizi all’interno della rete (formazione, consulenza fiscale, advi-sory, organizzazione di eventi). Nella fase di transizione da bancario a con-sulente «il fattore critico principale è il cam-

GIANLUCA SCELZOconsigliere delegato Copernico Sim

«Per la prima volta nei nostri primi 20 anni di storia si approcciano a noi anche consulenti di banche tradizionali, perché a volere vedere lontano, il cambio di normativa impone a tutti le stesse regole»GIANLUCA SCELZO

DUCCIO MARCONIdirettore centrale consulenti finanziari CheBanca!

«Le nostre politiche di reclutamento di ex-bancari sono state pensate per un cambiamento sereno: non prevediamo nei primi mesi obiettivi per il nuovo consulente, garantendogli così un periodo congruo di stabilità economica, senza ansie»DUCCIO MARCONI

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bio di mentalità», sottolinea Gianluca Scelzo, di Copernico Sim. «Spesso, infatti, chi è stato abituato ad avere tanti vincoli, nel momento in cui è libero, si sente spiazzato. Chi ha la-vorato per anni, a volte decine di anni, sotto budget, contest, gare, il giorno in cui si trova senza manager o pressioni commerciali può essere destabilizzato». Come se ne esce? «Il driver è la motivazione: le possibilità di cre-scita personali e professionali sono probabil-mente infinite».C’è un aspetto mentale, un approccio da ripensare, rimarca Marco Bernardi di Banca Generali: «È una questione di propensio-ne al servizio e cura della relazione e della clientela. Serve poi grande professionalità e competenza, oltre che passione per quello che considero un vero e proprio privilegio: raccogliere la fiducia delle famiglie per cu-rare i loro progetti di vita. A questi fattori aggiungo la volontà di mettersi in gioco, a partire dall’impegno nella formazione, nel continuare a guardare oltre i prodotti e i servizi, che sempre più spesso vanno al di là della diversificazione degli investimenti e si allargano alla sfera patrimoniale». «Sappiamo che il passaggio da dipendenti a liberi professionisti implica un cambio di approccio e di mentalità», concorda Duccio

Marconi di CheBanca!. «Le nostre politiche di reclutamento di ex-bancari sono state pen-sate per assicurare un cambiamento sereno. Non prevediamo, per esempio, nei primi mesi obiettivi per il nuovo consulente, garanten-dogli così un periodo congruo di stabilità economica, senza ansie di raccolta di masse. Dal nostro punto di vista per questo target non servono semplici bonus di reclutamento, ma è consigliabile creare condizioni e benefit tipici dei dipendenti, come polizze assicurati-ve, previdenza integrativa, condizioni promo-zionali sul conto corrente e affidamenti per-sonali. Tutte opportunità che in CheBanca! il consulente finanziario può trovare e che per-mettono un passaggio senza traumi alla libera professione».

GLI EFFETTI SUL SETTOREA questo punto è naturale chiedersi quali sa-ranno gli impatti sul sistema. Ancora Marconi sostiene che «gli effetti sull’industria del ri-sparmio gestito saranno sicuramente impor-tanti: in modelli di open architecture come il nostro queste figure avranno infatti una mag-giore indipendenza nella gestione degli asset della propria clientela. Al contempo il target degli ex-bancari contaminerà positivamente il mondo delle reti su tutti gli aspetti formativi e gestionali tipici del private/wealth, contri-buendo ad accrescerne il livello qualitativo».Secondo Gianluca Scelzo, «gli effetti di que-sti cambi sono del tutto imprevedibili, anche perché, se questi passaggi diventassero cor-posi, potrebbero generare diverse modifiche, anche sostanziali, all’interno delle aziende. Banche molto grandi e importanti rischiano di perdere masse, mentre altre realtà più snelle trarrebbero vantaggi competitivi tali da cambiare i pesi e le misure del mercato. For-se questo processo, come tutti gli altri, non avverrà in un solo giorno, ma ci vorranno molti anni. Allo stesso tempo, però, si inizia a intravedere una diminuzione della resistenza ai mutamenti».Il responsabile della rete Widiba, Nicola Vi-scanti, vede un riequilibrio dei pesi fra set-tore bancario tradizionale e industria della consulenza evoluta: «Il modello di consulenza già oggi ha conquistato fette importanti di mercato e sicuramente ci sono spazi di evo-luzione futura. Proprio perché la domanda richiede un tipo di relazione offerto al mo-mento dai consulenti finanziari. Per quanto ci riguarda, l’ampliamento della rete Widiba agli ex bancari ha generato valore. Le famiglie italiane scelgono questi professionisti per le

MARCO BERNARDIvicedirettore generaleBanca Generali

la«Serve la volontà di mettersi in gioco, a partire dall’impegno nel-la formazione, nel continuare a guardare oltre i prodotti e i servi-zi, che sempre più spesso vanno al di là della diversificazione degli investimenti e si allargano alla sfera patrimoniale»MARCO BERNARDI

loro competenze e la capacità di analizzare i bisogni e gli obiettivi di risparmio».

IL CONFRONTO CON L’ESTEROIl sistema negli ultimi anni ha favorito l’in-gresso di persone preparate e ha lasciato uscire i profili periferici. Anche se il numero complessivo di banker in attività resta non tanto dissimile da quello di qualche anno fa, la qualità è aumentata, rilevano gli osservatori. «C’è bisogno di professionalità e di consu-lenti al fianco delle famiglie», conclude Marco Bernardi di Banca Generali. «Le criticità dei mercati continuano a spaventare i rispar-miatori, come testimoniano i picchi record di liquidità nei conti correnti e la crescente coscienza degli squilibri previdenziali per il futuro. In questo senso il contributo è po-sitivo e auspichiamo che il trend di crescita possa accelerare per andare a raccogliere il pieno potenziale del nostro mercato. In Italia il risparmio intorno ad Assoreti copre poco più del 10% della ricchezza finanziaria private, mentre in paesi più maturi in questo senso come la Gran Bretagna e gli Stati Uniti arriva al 50-60%».

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di Stefania Sala

Alajmo, è un vero e proprio brand food che ha raggiunto 15 milioni di fatturato nel 2017. A capo troviamo le sue due anime complementari: Raffaele Alajmo, chief financial officer, e Massimiliano, chef pa-sticcere con le sue tre stelle Michelin. Al loro fianco la sorella Laura, che si occupa di pasticceria e packaging.Massimiliano, dopo avere frequentato l’i-stituto alberghiero di Abano Terme (Pd), ha iniziato il suo percorso lavorativo nei ristoranti dei più importanti chef italiani ed europei: Ja Navalge di Alfredo Chiocchetti a Moena, l’Auberge de l’Eridan di Marc Veyrat a Veyrier-du-Lac e Les Près d’Eugenie di Mi-chel Guérard a Eugénie-les-Bain.

TRE STELLE A 28 ANNINel 1993 ha iniziato a lavorare nella cucina delle Calandre insieme alla madre Rita Chi-metto, insignita nel 1992 della prima stella Michelin. Dal 1994 Massimiliano ha assunto la guida della cucina delle Calandre e il fra-tello Raffaele ne è diventato il manager. Nel 1997 il ristorante ha ricevuto la seconda stella dalla Guida Michelin, mentre la terza è arrivata il 27 novembre 2002, rendendo Massimiliano il più giovane chef al mondo ad avere ricevuto, a soli 28 anni, questo prestigioso riconoscimento. Alla base della famiglia Alajmo ci sono da sempre i valori e l’attenzione a ogni singolo dettaglio, a ogni ingranaggio, per raggiungere un risultato omogeneo e coerente in tutte le sue sfac-cettature.

I PROGETTI Nel 2004 i fratelli Alajmo, insieme a Stefano Bellon, hanno fondato Il Gusto per la Ricerca, associazione no profit che ha l’obiettivo di raccogliere fondi attraverso grandi eventi annuali che coinvolgono i più grandi chef d’Italia, destinati alla ricerca scientifica sulle malattie infantili (www.ilgustoperlaricerca.it).Nel gennaio 2010 è stata ristrutturata la sala de Le Calandre, sviluppando anche una linea di oggetti di design (stoviglie, posate, luci) alajmo.design, realizzata in collabora-zione con alcuni dei più importanti artigiani italiani.Nel gennaio 2011 la famiglia Alajmo ha ac-quisito la gestione del Gran Caffè & Risto-rante Quadri in piazza San Marco a Venezia, conquistando una stella Michelin nel 2012, la quinta per la famiglia Alajmo. Di recente, questo locale è stato ristrutturato da Phi-

LIFESTYLE

VENETO

L’imperodel gustodei fratelliAlajmo

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lippe Starck, l’architetto Marino Folin e un team composto dai migliori artisti venezia-ni.Dal febbraio 2013 Massimiliano e Raffaele sono diventati membri del consiglio diretti-vo, nonché docenti del Master della cucina italiana, una nuova scuola nata con l’obiet-tivo di «aprire le menti» e formare nuove figure con una professionalità che va oltre la semplice conoscenza delle tecniche di cucina (www.masterdellacucinaitaliana.it). Da settembre 2014, gli Alajmo hanno con-quistato il cuore di Parigi aprendo Caffè Stern, trasformando un antico atelier d’in-cisione in un raffinato caffè bistrot all’ita-liana.

IL T FONDACO DEI TEDESCHINel 2016, a dicembre, è stato inaugurato Amo, all’interno del primo centro commer-ciale di lusso a Venezia, il T Fondaco dei Te-

LE CALANDREVia Liguria, 1, 35030 Sarmeola di Rubano (Pd)

www.alajmo.it

deschi. Progettato da Philippe Starck, Amo è aperto tutto il giorno. Alla caffetteria, che accompagna gli ospiti durante l’arco della giornata, si affianca un vero e proprio risto-rante con un menù basato sugli ingredienti freschi provenienti dal mercato di Rialto. Sempre all’inizio del 2018, il gruppo Alajmo ha aperto il MammaRita lab, il nuovo labo-ratorio di pasticceria ma anche quartiere generale degli uffici del gruppo e spazio di ricerca e sviluppo.

LE CALANDREAperto nel 1981 da Erminio Alajmo e Rita Chimetto, Le Calandre, sotto la guida di Massimiliano e Raffaele ha acquisito no-torietà grazie alle tre stelle Michelin e alla presenza nella classifica dei “The World’s 50 Best Restaurants”. Rappresenta il fulcro e il laboratorio di ricerca del gruppo Alajmo, fondato attor-no ai principi di cucina cari a Max quali leggerezza, profondità dei sapori, fluidità e rispetto degli ingredienti. L’approccio si propaga anche in sala, grazie agli elementi del brand alajmodesign. Il risultato ottenuto è un’armoniosa atmosfera multisensoriale che dalla cucina si diffonde in sala, con cor-dialità e naturalezza.

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RISOTTO ALLO ZAFFERANO CON POLVERE DI LIQUIRIZIA «Questa ricetta è dedicata a Mariapia, mia moglie, e alla sua terra, la Calabria», afferma Massimiliano Alajmo. «La radice e il fiore, rappresentati dalla liquirizia e dallo zaffera-no, congiungono le parti più estreme della pianta: l’una bassa, profonda e nascosta, l’al-tra alta, seducente e luminosa. Quasi fos-se un dialogo tra gli opposti: l’origine e la crescita, la nascita e la rinascita. Di fatto i due ingredienti presentano caratteristiche simili e nel contempo opposte. L’uno en-tra in bocca amaro e ne esce dolce, l’altro entra dolce e ne esce amaro; un insegui-mento, una reale staffetta del gusto. I colori rispecchiano il contrasto pur mantenendo una verità nascosta. La parte più tenebrosa, ossia la polvere scura, manifesterà riflessi dorati solo alla presenza della luce».

INGREDIENTI PER QUATTRO PERSONEper il ristretto di zafferano190 gr. di acqua 4 gr. di polvere di zafferanoSciogliere lo zafferano nell’acqua calda. Fare sobbollire sino a quando si restringe di un terzo per il risottoper il risotto1,2 lt. di brodo di gallina320 gr. di riso Carnaroli80 gr. di parmigiano grattugiato 70 gr. di vino bianco secco60 gr. di burro50 gr. di ristretto di zafferano12 gr. di olio extravergine di oliva 5 gr. di succo di limone2 gr. di polvere di liquirizia scura 1 gr. di pistilli di zafferanoun pizzico di saleuna percezione di zucchero

PREPARAZIONETostare il riso in un fondo di cipolla e olio, sfumare con il vino bianco, aggiungere il sale e i pistilli di zafferano, unire gradualmente il brodo di gallina bollente e 30 gr.ammi di ri-stretto. Portare a cottura, togliere dal fuoco e mantecare con il burro, il parmigiano e il succo di limone. Emulsionare con un goc-cino di brodo bollente e allargare il risotto su un piatto piano. Cospargere la superficie con la polvere di liquirizia e guarnire con qualche schizzo di ristretto allo zafferano. Le quantità di zafferano e di liquirizia impie-gate sono soggette a variazione a seconda della loro intensità.

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PINOT GRIGIOCollio DocBottega S.p.A.

Bibano di Godega di Sant’Urbano (TV)

Bottega, una storia lunga quattro secoli, una vera passione per la viticoltura.

Dal vigneto all’imbottigliamento, ogni mo-mento della realizzazione di un prodotto è seguito con cura artigianale, scegliendo sapori semplici e naturali, legati al terri-torio.

Tutte le fasi della produzione rispondono ai criteri della sostenibilità e si svolgono all’insegna della tutela dell’ambiente e del-le generazioni future.

Vitigno Pinot Grigio 100%Terra di confine tra Slovenia, Austria e le Alpi Giulie: il vino esprime la vocazione e le potenzialità di questa zona intrisa di storia, di tradizione e di energia.Vendemmia a fine agosto, pigiatura delica-ta e breve macerazione in assenza di ossi-geno. Dopo la fermentazione a tempera-tura controllata, viene lasciato maturare sulle fecce fini per circa sei mesi prima di essere filtrato e imbottigliato.Colore giallo dorato con riflessi ramati.Intenso all’olfatto, apre con sentori flore-ali di acacia e biancospino per poi aprirsi a sentori fruttati che ricordano pesca, ana-nas e pompelmo rosa. Chiude con una nota minerale.Gusto generoso, morbido, armonico. Buona acidità in perfetto equilibrio con la morbidezza e la buona struttura.

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OROLOGI

LIFESTYLE

di Massimo Avella, maestro orologiaio

Rolex ha stabilito una relazione privilegiata con la Compagnie Maritime d’Expertises (Comex) i cui sub indossano orologi Rolex Sea-Dweller durante le loro immersioni. Diretta da Henri-Germain Delauze, la com-pagnia ha svolto un ruolo pionieristico nelle immersioni a grandi profondità ed è ancora oggi riconosciuta internazionalmente come specialista dell’ingegneria iperbarica delle attività sottomarine. L’intesa tra Rolex e Co-mex è oggi più forte che mai, come dimostra la camera iperbarica sviluppata apposita-mente dalla società marsigliese per testare gli orologi subacquei Rolex.

UNO STRUMENTO VITALEIl 3 ottobre 1961 la Comex venne fondata a Marsiglia da Henri Germain Delauze, su-bacqueo professionista, primatista dell’im-

mersione oltre che laureato in geologia. I rapporti con Rolex risalgono agli anni immediatamente successivi alla creazione della Comex. I sommozzatori professionisti correvano grandi rischi lavorando sotto la superficie del mare e un orologio da pol-so completamente attendibile e resistente, in grado di tollerare l’enorme pressione dell’acqua a tali profondità senza perdere in precisione, rappresentava uno strumen-to vitale e indispensabile per questo tipo di professione. Riportiamo una frase di Delau-ze: «Un’immersione di mezz’ora a 350 metri non può durare 31 minuti ma 29 minuti e 59 secondi».Rolex gli fornì il Submarine nei seguenti pe-riodi:referenza 5513 dal 1971 nel 1973 circareferenza 5514 dal 1974 nel 1977 circa

referenza 1680 dal 1978 nel 1979 circareferenza 16610 dal 1986 nel 1997 circareferenza 16800 dal 1982 al 1986 circareferenza 168000 dal 1988 al 1989 circa.Il Sea-Dweller presentato dalla Rolex nel 1967 è munito di una valvola di scappamen-to dell’elio. A questo proposito riportiamo ancora una frase di Delauze: «Si potrebbe dire che l’idea della valvola dell’elio sia stata mia. L’ho sviluppata per eliminare un proble-ma di cui all’epoca nessuno conosceva nem-meno l’esistenza. L’elio, essendo più leggero, si muove più velocemente dell’aria; bisogna lasciarlo entrare, ma poi bisogna anche farlo uscire!»

UN ACCORDO DI PARTNERSHIPNel 1971 Rolex e Comex firmarono un accordo formale di partnership: la Rolex ha fornito alla Comex una partita di Sea-Dwel-ler.I Rolex Comex vengono forniti direttamen-te alla compagnia francese senza mai entra-re nei cataloghi ufficiali quindi non destinati alla commercializzazione. Rientrano così in una cerchia di collezionismo “estremo”, nel senso che sono molto difficili da reperire e possono quindi raggiungere cifre astronomi-che come dimostrano alcuni risultati in asta.Tenendo conto che i fortunati possessori di tali segnatempo unici, nati per servire la vita nelle profondità, oggi siano autentici bagliori di luce all’aria aperta.(Chiaramente onde evitare dati non corretti ho utilizzato fonti ufficiali Rolex).

Rolex e Comex,collaborazioni profonde

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