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Introduzione La carcinosi peritoneale (peritoneal carcinomatosis, PC) rappresenta un’entità clinica a prognosi sfavorevo- le che generalmente caratterizza l’evoluzione terminale di molte neoplasie addomino-pelviche (1). Tradizional- mente tale condizione viene interpretata come stadio ter- minale di malattia, poiché la maggior parte dei pazien- ti che presentano PC muoiono mediamente entro 6 mesi (2, 3). Essendo particolarmente difficile da trattare, la dif- fusione peritoneale è spesso la principale causa di mor- bilità e di mortalità correlate ai cancri che coinvolgono le sierose peritoneali. Anche nei pazienti resecati per car- cinoma intra-addominale, la PC rappresenta la causa più frequente di decesso (4-6). Durante gli ultimi venti anni si è assistito ad un cre- scente e rinnovato interesse nei confronti dei tumori ma- ligni peritoneali e l’aumento delle conoscenze sulla bio- logia di quelli con spiccato tropismo peritoneale, e nel contempo con scarsa potenzialità di metastatizzazione ematogena, ha portato alla ricerca di nuove tecniche te- RIASSUNTO: Trattamento della carcinosi peritoneale mediante ci- toriduzione chirurgica e chemioipertermia intraperitoneale. F. ROVIELLO, S. CARUSO, D. MARRELLI, C. PEDRAZZANI, A. NERI, A. DE STEFANO, E. PINTO In passato la carcinosi peritoneale è stata a lungo interpretata co- me stadio terminale di molte condizioni neoplastiche intraddominali, essendo caratterizzata da una prognosi estremamente sfavorevole e su- scettibile solo di trattamenti palliativi. La citoriduzione chirurgica (cy- toreductive surgery, CRS) e la chemioipertermia intra-peritoneale in ipertermia (hyperthermic intraperitoneal chemotherapy, HIPEC) per- mettono attualmente una possibilità terapeutica in alcuni pazienti con carcinosi peritoneale, risultando in recenti serie pubblicate in grado di ottenere sopravvivenza a lungo termine in casi selezionati. Nonostante la necessità di studi più accurati, esiste oggi un consenso di molti esper- ti internazionali sull’applicazione di questa strategia come trattamen- to di scelta per la cura della carcinosi peritoneale in pazienti selezio- nati. In questa mini-review sono revisionati i principali criteri di appli- cazione di questa modalità di trattamento, con particolare riferimento al suo razionale e agli outcomes correlati, oltre che ai possibili progressi. SUMMARY : Treatment of peritoneal carcinomatosis with cytoreductive surgery and hyperthermic intraperitoneal chemotherapy. F. ROVIELLO, S. CARUSO, D. MARRELLI, C. PEDRAZZANI, A. NERI, A. DE STEFANO, E. PINTO Peritoneal carcinomatosis (PC) had for long been regarded as a ter- minal disease, characterized by a very poor survival and worthy of being treated with palliative therapy only. Cytoreductive surgery (CRS) and hyperthermic intraperitoneal chemotherapy (HIPEC) provide a promising additional treatment option for patients with peritoneal car- cinomatosis, resulting in recently published series enable to obtain long-term survival. In spite of the need for more high quality studies, there is now a consensus among many international experts about the use of this new strategy as gold standard for treating with intent of cu- re selected patients with PC. We summarized the present status and possible future progress of this treatment modality, in particular outlining its rationale, current practice and general outcomes. KEY WORDS: Carcinosi peritoneale - Chirurgia citoriduttiva - Chemioterapia ipertermica intraperitoneale. Peritoneal carcinomatosis - Cytoreductive surgery - Intraperitoneal hyperthermic chemotherapy. Trattamento della carcinosi peritoneale mediante citoriduzione chirurgica e chemioipertermia intraperitoneale F. ROVIELLO, S. CARUSO, D. MARRELLI, C. PEDRAZZANI, A. NERI, A. DE STEFANO, E. PINTO G Chir Vol. 32 - n. 4 - pp. 211-233 April 2011 211 Università degli Studi Siena, Policlinico “Le Scotte”, Siena Dipartimento di Patologia Umana e Oncologia Sezione di Chirurgia Oncologica © Copyright 2011, CIC Edizioni Internazionali, Roma mini-review © CIC Edizioni Internazionali

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Introduzione

La carcinosi peritoneale (peritoneal carcinomatosis,PC) rappresenta un’entità clinica a prognosi sfavorevo-le che generalmente caratterizza l’evoluzione terminaledi molte neoplasie addomino-pelviche (1). Tradizional-mente tale condizione viene interpretata come stadio ter-

minale di malattia, poiché la maggior parte dei pazien-ti che presentano PC muoiono mediamente entro 6 mesi(2, 3). Essendo particolarmente difficile da trattare, la dif-fusione peritoneale è spesso la principale causa di mor-bilità e di mortalità correlate ai cancri che coinvolgonole sierose peritoneali. Anche nei pazienti resecati per car-cinoma intra-addominale, la PC rappresenta la causa piùfrequente di decesso (4-6).

Durante gli ultimi venti anni si è assistito ad un cre-scente e rinnovato interesse nei confronti dei tumori ma-ligni peritoneali e l’aumento delle conoscenze sulla bio-logia di quelli con spiccato tropismo peritoneale, e nelcontempo con scarsa potenzialità di metastatizzazioneematogena, ha portato alla ricerca di nuove tecniche te-

RIASSUNTO: Trattamento della carcinosi peritoneale mediante ci-toriduzione chirurgica e chemioipertermia intraperitoneale.

F. ROVIELLO, S. CARUSO, D. MARRELLI, C. PEDRAZZANI, A. NERI, A. DE STEFANO, E. PINTO

In passato la carcinosi peritoneale è stata a lungo interpretata co-me stadio terminale di molte condizioni neoplastiche intraddominali,essendo caratterizzata da una prognosi estremamente sfavorevole e su-scettibile solo di trattamenti palliativi. La citoriduzione chirurgica (cy-toreductive surgery, CRS) e la chemioipertermia intra-peritoneale inipertermia (hyperthermic intraperitoneal chemotherapy, HIPEC) per-mettono attualmente una possibilità terapeutica in alcuni pazienti concarcinosi peritoneale, risultando in recenti serie pubblicate in grado diottenere sopravvivenza a lungo termine in casi selezionati. Nonostantela necessità di studi più accurati, esiste oggi un consenso di molti esper-ti internazionali sull’applicazione di questa strategia come trattamen-to di scelta per la cura della carcinosi peritoneale in pazienti selezio-nati.

In questa mini-review sono revisionati i principali criteri di appli-cazione di questa modalità di trattamento, con particolare riferimentoal suo razionale e agli outcomes correlati, oltre che ai possibili progressi.

SUMMARY: Treatment of peritoneal carcinomatosis with cytoreductivesurgery and hyperthermic intraperitoneal chemotherapy.

F. ROVIELLO, S. CARUSO, D. MARRELLI, C. PEDRAZZANI, A. NERI, A. DE STEFANO, E. PINTO

Peritoneal carcinomatosis (PC) had for long been regarded as a ter-minal disease, characterized by a very poor survival and worthy ofbeing treated with palliative therapy only. Cytoreductive surgery (CRS)and hyperthermic intraperitoneal chemotherapy (HIPEC) provide apromising additional treatment option for patients with peritoneal car-cinomatosis, resulting in recently published series enable to obtainlong-term survival. In spite of the need for more high quality studies,there is now a consensus among many international experts about theuse of this new strategy as gold standard for treating with intent of cu-re selected patients with PC.

We summarized the present status and possible future progress ofthis treatment modality, in particular outlining its rationale, currentpractice and general outcomes.

KEY WORDS: Carcinosi peritoneale - Chirurgia citoriduttiva - Chemioterapia ipertermica intraperitoneale.Peritoneal carcinomatosis - Cytoreductive surgery - Intraperitoneal hyperthermic chemotherapy.

Trattamento della carcinosi peritoneale mediante citoriduzionechirurgica e chemioipertermia intraperitoneale

F. ROVIELLO, S. CARUSO, D. MARRELLI, C. PEDRAZZANI, A. NERI, A. DE STEFANO, E. PINTO

G Chir Vol. 32 - n. 4 - pp. 211-233April 2011

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Università degli Studi Siena, Policlinico “Le Scotte”, SienaDipartimento di Patologia Umana e OncologiaSezione di Chirurgia Oncologica

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rapeutiche sempre più aggressive. La chemioterapia in-traperitoneale in ipertermia (hyperthermic intraperito-neal chemotherapy, HIPEC) dapprima, dal 1980 (7), iso-lata e successivamente, dal 1995 (8), in combinazionecon procedure di peritonectomia, è stata introdotta neltrattamento della PC da neoplasie maligne, sia gineco-logiche che non ginecologiche. Da allora, vari centri perla cura del cancro in tutto il mondo hanno cominciatoad interessarsi a questo tipo di trattamento e hanno ri-portato le loro esperienze utilizzando diversi protocollidi HIPEC, mostrando risultati incoraggianti (2). Que-sta innovativa e aggressiva modalità di trattamento, di-retta all’intero compartimento addomino-pelvico, è ingrado infatti, nonostante l’alto tasso di morbilità, di “sot-tostadiare” e talvolta eliminare completamente la carci-nosi, migliorando in casi selezionati la sopravvivenza alungo termine (8,9).

Il razionale dell’HIPEC è basato sostanzialmente sul-la citotossicità diretta dell’ipertermia sulle cellule neo-plastiche, sull’incremento da parte dell’ipertermia stessadella citotossicità di alcuni agenti chemioterapici e, infi-ne, sul vantaggio farmacocinetico ottenuto dalla sommi-nistrazione della chemioterapia per via intraperitoneale(4,6). Seppur rare, le patologie peritoneali maligne primitive(es. sarcomatosi addominale, mesotelioma peritoneale) rap-presentano le principali indicazioni all’HIPEC.

D’altronde, la PC è una manifestazione comune dipatologie neoplastiche sia del tratto gastroenterico chedi quelle ginecologiche (es., carcinoma appendicolare, car-cinoma ovarico, carcinoma colon-rettale e carcinoma ga-strico), ed a queste si estende l’applicazione più diffusadell’HIPEC (2). La disseminazione peritoneale, in que-sti casi secondaria, può essere presente al momento del-la diagnosi del tumore primitivo, ma più spesso insor-ge come recidiva dopo chirurgia radicale (4). Nel carci-noma gastrico, il 10-20% dei pazienti candidati a rese-zione potenzialmente curativa e il 40% di quelli in sta-dio II-III presentano un coinvolgimento peritoneale almomento dell’esplorazione addominale (10). Ciò con-diziona uno netto svantaggio in termini di sopravvivenza(10). Inoltre, il 20-50% dei pazienti sottoposti a chirurgiaradicale per tumore gastrico manifesterà in futuro unarecidiva peritoneale (11). Nel caso del carcinoma gastricoavanzato, la diffusione intracavitaria delle cellule neo-plastiche è responsabile del 54% dei decessi dovuti a re-cidiva dopo chirurgia (12). I maggiori rischi di recidi-va peritoneale si sono dimostrati nei pazienti affetti dacarcinoma di istotipo diffuso o misto infiltranti la sie-rosa (69% a 5 anni) e, ancor più, in quelli con citolo-gia peritoneale positiva al momento dell’intervento re-settivo (80% a 5 anni) (13,14). La PC ad origine dal can-cro colon-rettale è meno frequentemente sincrona al tu-more primitivo (circa il 10-15% dei pazienti); tuttavia,similmente a ciò che accade per il cancro gastrico, nel 50%dei casi la prima recidiva insorge nel peritoneo dopo chi-

rurgia curativa (15). Dal 10% al 35% di tutti i pazien-ti con recidiva di malattia, questa è confinata alla superficiedel peritoneo (16). I carcinomi mucinosi del colon e ilcarcinoma dell’appendice, soprattutto se è presenteuna citologia peritoneale positiva, mostrano i più alti tas-si di disseminazione peritoneale (11). Di fatto, nel 40-60% delle recidive da cancro gastrico e in circa il 25%di quelle da cancro colon-rettale, la cavità peritoneale rap-presenta l’unica sede di diffusione (1).

Per quanto riguarda il comparto ginecologico, il ca-cinoma ovarico epiteliale manifesta un tipico e spicca-to tropismo per la disseminazione peritoneale. Infatti, no-nostante il 60-80% dei casi di carcinoma ovarico in sta-dio avanzato risponda alla chemioterapia sistemica concomposti a base di platino (17), la prognosi di questa neo-plasia rimane sfavorevole per l’alta percentuale di reci-dive, con sopravvivenza globale a 5 anni inferiore al 25%(18). Circa il 50-75% delle donne con cancro ovaricosvilupperà dunque una malattia persistente o recidiva (18)e l’invasione della capsula ovarica, seguita dalla direttadisseminazione della cavità peritoneale, ne rappresentala principale via di diffusione (82% dei casi) (18); il coin-volgimento linfonodale retroperitoneale è invece presentesolo nel 12% dei casi (1).

In molti centri i risultati ottenuti negli ultimi annidall’applicazione di un trattamento multimodale, che as-socia HIPEC e chirurgia citoriduttiva (cytoreductive sur-gery, CRS) con peritonectomia (8), sono stati promet-tenti (2), trovando l’approccio combinato sempre più spa-zio non solo nel trattamento dei tumori maligni primi-tivi peritoneali ma anche nello pseudomixoma peritoneie nella carcinosi peritoneale da carcinoma colon-retta-le (19,20). Sono sempre più frequentemente riportati inletteratura miglioramenti dei tassi di sopravvivenza at-traverso l’utilizzo combinato di HIPEC e CRS anche neicasi di carcinoma ovarico avanzato (21), carcinoma ga-strico (12) e del più raro mesotelioma peritoneale (22).

Nel presente lavoro sono comprensivamente revi-sionate le basi biologiche della PC e le più recenti co-noscenze acquisite sulla modalità combinata di tratta-mento. Sono infine discusse le direzioni più recentementeintraprese e le aspettative future più attese di questa stra-tegia terapeutica.

Fisiopatologia della carcinosiperitoneale: evoluzione di un concetto

La carcinosi peritoneale rappresenta una delle più co-muni vie di disseminazione delle neoplasie addomina-li: essa può presentarsi al momento della diagnosi del tu-more primitivo ma, più frequentemente, insorge suc-cessivamente come recidiva della neoplasia dopo chirurgiaradicale. I meccanismi patogenetici che governano la car-cinomatosi sono multifattoriali, ma essenzialmente

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consistono: 1) nella disseminazione peritoneale di cel-lule tumorali libere, che esfoliano come conseguenza del-l’invasione diretta da parte della neoplasia primitiva dal-la sierosa dell’organo interessato (23) e che successiva-mente si impiantano sulla superficie peritoneale attra-verso molecole di adesione cellulare (4,5); 2) nel pas-saggio di cellule maligne attraverso le lacune linfatichee i vasi venosi del peritoneo (23); 3) nell’insemenzamentoconseguente al trauma e alla manipolazione chirurgica(23). In particolare, nei tumori maligni a basso grado sisuppone che la PC origini da una diffusione transparietalee che la disseminazione segua una via di migrazione de-nominata ‘redistribuzione neoplastica’. Tale migrazioneè governata da un processo di redistribuzione ‘non ca-suale’ che dipende, più che dall’aggressività biologica in-trinseca della neoplasia, da meccanismi principalmen-te fisici, quali l’effetto della forza di gravità in relazionealla sede del tumore primitivo, la presenza o meno e lecaratteristiche di viscosità del fluido endoaddominale (asci-te, muco, ecc.) (4,5,24).

Le cellule tumorali, che si muovono liberamente al-l’interno della cavità peritoneale, si aggregano general-mente in aree ben definite per effetto della gravità e siconcentrano nelle sedi normali di riassorbimento dei flui-di peritoneali. Il riassorbimento avviene principalmen-te attraverso le lacune linfatiche del piccolo e grandeomento e del diaframma, in particolare dell’emidiaframmadestro. Ciò risulta generalmente nello sviluppo di larghivolumi di malattia soprattutto nella pelvi, nello spaziosubfrenico, nelle docce parietocoliche e nella tasca delMorrison (4,5). Quando il tumore non produce fluidi,le cellule maligne hanno motilità più limitata e si im-piantano più frequentemente vicino alla sede del tumoreprimitivo. Pertanto, siti più distanti rispetto al tumoreprimitivo, come ad esempio il legamento del Treitz e ilpiccolo omento nel caso del carcinoma ovarico, sono coin-volti se un veicolo liquido è presente all’interno della ca-vità addominale, mentre vengono risparmiati quando ilfluido è assente. Analogamente, per effetto di meccani-smi fisici la PC non si realizza, almeno nelle fasi inizia-li, sulla superficie mesenterica e sulla sierosa del picco-lo intestino a causa degli attivi movimenti peristaltici. Alcontrario, aree dell’intestino relativamente fisse, come ilduodeno e le giunzioni ileociecale e retto-sigmoidea, sonospesso infiltrate da carcinosi.

Al di là della vasta gamma di tipologie di ‘redistri-buzione neoplastica’ caratterizzanti la PC (24), essa si svi-luppa frequentemente come malattia ‘locale’ in assenzadi metastasi ematogene (5). In particolare, il cancro ova-rico in stadio III e il mesotelioma addominale primiti-vo rappresentano tradizionalmente patologie che, durantegran parte della loro storia naturale, rimangono confinatesulla superficie del peritoneo. Anche nel 25% dei pazienticon recidiva di cancro colon-rettale la cavità peritonea-le rappresenta l’unica sede di diffusione di malattia (16).

Così come negli ultimi anni abbiamo assistito all’e-voluzione verso un paradigma concettuale che inquadrail fegato come sede di malattia solo locale quando coin-volto da metastasi da carcinoma colon-rettale e quindisuscettibile di resezioni epatiche con intento curativo (25),così trova sempre più vigore il razionale di un beneficioatteso, e in alcuni casi perfino di un potenziale “curati-vo”, dal trattamento della PC.

Storia dell’evoluzione di una procedura multimodale

Nel contesto della diffusione peritoneale carcino-matosa, i risultati delle terapie tradizionali, quali la chi-rurgia e la chemioterapia sistemica, sono sempre stati piut-tosto deludenti.

A partire dagli studi condotti negli anni Trenta sulcancro ovarico, Meigs fu il primo a promuovere la CRSseguita da radioterapia adiuvante (23). Successivamen-te, il concetto di ultraradicalità chirurgica citoriduttivanei confronti della PC venne ottimizzato negli anni Ses-santa e Settanta da Mummel e Griffiths, che indipen-dentemente dimostrarono la possibilità di ottenere unincremento dei tassi di sopravvivenza estendendo le pro-cedure di debulking chirurgico nel carcinoma ovarico avan-zato, notando anche come le dimensioni del residuo tu-morale fossero il fattore prognostico più importante(27,28). Nel 1969 Long e colleghi (29) riportarono unincremento dei tassi di sopravvivenza nei pazienti con PCdel tipo pseudomixoma peritonei attraverso la ripetizio-ne multipla di trattamenti locoregionali. Tutto ciò sug-geriva che il peritoneo potesse rappresentare in alcuni casil’ultima barriera e al tempo stesso l’unica sede di diffu-sione neoplastica di un tumore primitivo intraddominale,seppur talvolta con estensione diffusa.

Negli anni Ottanta, con lo sviluppo di nuovi approcciterapeutici multimodali, crebbe l’orientamento a realizzareprocedure chirurgiche per PC di diversa origine non solocome massima riduzione possibile della malattia, ma an-che come tentativo di ottenere una citoriduzione com-pleta. Opzioni terapeutiche precedentemente inesplorate- come la chemioterapia intraperitoneale, sia isolata chesuccessiva a chirurgia, o l’immunoterapia intracavitaria- vennero pertanto indagate, con risultati iniziali tutta-via piuttosto deludenti (2,30). Combinando le conoscenzefino ad all’ora ottenute sugli effetti dell’ipertermia sia si-stemici (31) sia di induzione di agenti anti-tumorali edi potenziamento della chemioterapia intraperitoneale(32), nel 1977 venne realizzato un sistema di gestioneintracavitario dei fluidi, ideato da Charles e colleghi (33),presso l’Università del Missouri (Columbia), rispondentealle specifiche richieste di John S. Spratt, dell’Universitàdi Louisville. Il sistema fu designato alla ricircolazioneasettica intracavitaria dei fluidi, combinando l’azione di

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Trattamento della carcinosi peritoneale mediante citoriduzione chirurgica e chemioipertermia intraperitoneale

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flussi dinamici di chemioterapici con l’ipertermia. Nel1979, Spratt e colleghi, dopo uno studio preclinico spe-rimentale su di un modello animale (34), applicaronoper primi questa modalità nell’uomo utilizzando in iper-termia il trietilen-tiofosforamide (tiotepa), in un pazientedi 35 anni affetto da pseudomixoma peritonei (7). Lo svi-luppo di questo approccio proseguì nei primi anni Ot-tanta grazie soprattutto agli studi di Paul H. Sugarbaker,del Washington Cancer Institute, che ne analizzò gli ef-fetti terapeutici in pazienti con metastasi peritoneali prin-cipalmente di origine gastrointestinale (35). Sotto l’im-pulso sempre più crescente di studi che confermavanoil sinergismo notevole tra alcuni farmaci antiblastici e l’i-pertermia, un crescente numero di autori si è via via in-teressato all’applicazione della tecnica. Nel 1984 e nel1988, due équipes di chirurghi giapponesi (36,37) de-scrissero l’approccio intraperitoneale associato con la chi-rurgia citoriduttiva di debulking, rispettivamente in unmodello di topi riceventi l’impianto peritoneale di cel-lule di epatocarcinoma e in un gruppo di 15 uomini af-fetti da carcinoma gastrico avanzato.

Nel 1989, Annie C. Beaujard perfezionò il sistemadi utilizzo e di gestione dell’HIPEC e, dopo uno studiosperimentale su di un modello animale (38) e uno stu-dio pilota sull’uomo (39), nel 1994 iniziò il primo trialprospettico non randomizzato di fase II, che venne pub-blicato nel 2000 e che riportava i risultati con la proce-dura in pazienti con PC di origine gastroenterica. I ri-sultati dimostravano benefici nei casi di PC con nodu-lazioni di diametro non superiore ai 5 mm (40).

Nel 1995, Sugarbaker (8) codificò in maniera defi-nitiva i razionali e le tecniche chirurgiche delle proceduredi peritonectomia. Da allora, la CRS e l’HIPEC sono sta-te progressivamente sviluppate e applicate in numerosicentri, in combinazione con la peritonectomia, nelle PCdi varia origine (carcinomatosi secondarie, sarcomatosie mesoteliomi peritoneali) (30).

Razionale

Il principio dei trattamenti locoregionali è quello diottenere elevate e persistenti concentrazioni di un farmacoin una limitata sede, sfruttando al massimo le proprietàdell’agente e superando così le resistenze farmacologicheintrinseche o acquisite e, allo stesso tempo, minimizzandole tossicità sistemiche. Il razionale dell’HIPEC si basa pra-ticamente sull’azione sinergica di tre trattamenti: l’iper-termia, la chemioterapia e la terapia intraperitoneale.

Come dimostrato da studi di farmacocinetica (4-6),quando un farmaco antitumorale è somministrato in-traperitonealmente si può ottenere una concentrazionedella sostanza agente a livello della cavità addominale net-tamente superiore rispetto a quella del plasma circolan-te, poiché la permeabilità peritoneale è considerevolmente

minore di quella plasmatica. Questo meccanismo, de-nominato di ‘barriera peritoneo-plasmatica’, consentedi ottenere dosaggi localmente molto elevati del farma-co antitumorale, tali da intensificare notevolmente l’ef-fetto antiblastico senza particolari ripercussioni sistemiche(41). Studi farmacocinetici hanno evidenziato i miglio-ri rapporti ottimali delle aree sotto la curva peritonealee plasmatica per composti come la mitomicina C, il ci-splatino, il 5-fluorouracile e l’adriamicina; si tratta in-fatti di sostanze antitumorali a elevato peso molecolare,che difficilmente superano la barriera peritoneo-plasmaticae proprio per questo sono i farmaci più utilizzati in che-mioipertermia.

Già di per sé, la perfusione addominale di soluzio-ne fisiologica (almeno 2 litri) in condizioni di iperter-mia è in grado di rimuovere le cellule tumorali intrape-ritoneali liberate nel corso di interventi chirurgici e dipromuovere la rimozione di foci neoplastici sierosi at-traverso l’irrigazione massiva. E’ stato inoltre dimostra-to che le cellule neoplastiche sono più sensibili all’insultoipertermico rispetto alle cellule sane in modo sia tem-peratura- che dose-dipendente. Temperature superiori ai42°C sono infatti in grado di inibire la sintesi proteicae del DNA, alterando la stabilità delle membrane cellulari,la permeabilità agli ioni e i processi di riparazione delDNA (42). Inoltre, l’ipertermia rende le cellule più sen-sibili all’azione dei farmaci antiblastici aumentandone lacapacità di penetrazione all’interno del tumore e favo-rendone l’attivazione (in particolare per gli agenti al-chilanti) (42). Temperature di 42-43°C implementanola citotossicità intrinseca di numerosi agenti comunementeutilizzati, quali l’oxaliplatino, la mitomicina, la doxo-rubicina, il cisplatino, il paclitaxel e l’irinotecan (2,4-6,30).Numerosi fattori contribuiscono a questo meccanismoinduttivo. L’effetto del calore incrementerebbe la capa-cità penetrante del farmaco all’interno del tessuto at-traverso la riduzione delle pressioni dei fluidi interstiziali,con conseguente incremento del trasporto macromole-colare convettivo e del rilascio del farmaco (2,4-6,30).Contemporaneamente, le cellule neoplastiche divengo-no maggiormente chemio-sensibili, principalmente perl’incremento della permeabilità della membrana cellu-lare e per l’alterazione del trasporto attivo delle molecole(farmaco) e del metabolismo cellulare (30). Ne conse-gue un incremento delle concentrazioni intracellulari delfarmaco e dei suoi processi di attivazione, soprattutto pergli agenti alchilanti, che va a sommarsi alle alterazionidei processi di riparazione del DNA già indotti di persè dal calore (2,4-6,30).

L’HIPEC presenta dei vantaggi rispetto alla chemio-terapia e all’ipertermia intraperitoneali considerate sin-golarmente (43). Per quanto ambiziosa possa essere, in-fatti, la perfusione normotermica non è in grado di pe-netrare nei tessuti oltre pochi millimetri. Senza iperter-mia, la penetrazione di un farmaco varia da 1 a 3 mm (36).

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La chemioterapia intraperitoneale combinata al calore pe-netra all’interno dei noduli di carcinosi per circa 3-6 mm(2,40). Quindi, una CRS completa o depositi tumoraliresidui inferiori perlomeno a 2.5 mm sono fondamen-tali affinché l’HIPEC possa agire in maniera ottimale (2).

Per quanto riguarda invece il razionale alla base deltipo di farmaco da utilizzare, questo dipende dalle in-trinseche caratteristiche farmacocinetiche peritoneali del-l’agente antiblastico. Molte indagini sperimentali di che-mioperfusione ipertermica hanno utilizzato la mitomi-cina C (MMC) o platino-composti. In vitro, l’associa-zione di MMC a 43°C con cellule tumorali ipossiche hadeterminato, a parità di concentrazione, un incremen-to di 40 volte dell’efficacia citotossica del farmaco rispettoa 37°C (30). Inoltre, un rapido assorbimento della MMC,con conseguenti alti livelli tissutali, è stato dimostratodopo la somministrazione del farmaco per via intrape-ritoneale (44). Il cisplatino è uno degli agenti più co-nosciuti e più utilizzati in HIPEC. L’effetto ipertermi-co induttore del cisplatino è essenzialmente dovuto al-l’incremento dell’alchilazione delle molecole di DNA (45),all’incremento del turnover di metaboliti attivi e delle at-tività a basso pH (< 6.5) (30), all’aumento della pro-duzione di radicali liberi di ossigeno (46), alla riduzio-ne della resistenza cellulare al cisplatino (45).L’oxaliplatinoè un composto del platino di terza generazione, forma-to da un gruppo carrier (diamminocicloesano) ed un li-gando di rilascio (oxalate), ed è al momento il cardinedella terapia antiblastica per il cancro colon-rettaleavanzato o metastatico (47). Tale agente ha mostrato ef-fetti promettenti anche nei confronti del carcinoma ova-rico platino-resistente o recidivo, del cancro gastrico edel mesotelioma maligno (47). L’effetto di induzione delcalore sulla citotossicità dell’oxaliplatino è ben dimostrato(47) e oggi questo farmaco rappresenta una delle più in-teressanti applicazioni nella carcinosi peritoneale di ori-gine colonrettale (43). Altri agenti (doxorubicina, TNF-α, carboplatino, gemcitabina) sono stati analizzatiin applicazioni intraperitoneali ipertermiche, ma pochistudi di fase I-II sono al momento disponibili (2). An-che l’irinotecan, che rappresenta un altro composto pro-mettente nel trattamento del carcinoma colonrettale, èstato testato in vitro in combinazione con il calore (2).Al momento però non esistono ancora protocolli e do-saggi di instillazione ben definiti per la maggior parte diquesti regimi.

Princìpi di tecnica

Chirurgia Per citoriduzione chirurgica si intende la rimozione

per quanto possibile completa della massa tumorale vi-sibile (macroscopica). Attraverso una laparotomia me-diana xifo-pubica, viene innanzitutto condotta una

esplorazione dell’intera cavità addominale, localizzandoe stimando l’estensione del coinvolgimento peritonea-le (48). In questa fase, se necessario, possono essere pre-levati campioni citologici o bioptici.

La resezione chirurgica del tumore primitivo deve es-sere eseguita quanto più possibile in accordo con i prin-cipi oncologici generali (linfadenectomia, margini di re-sezione, ecc.). Il debulking delle masse tumorali intrad-dominali può necessitare la resezione di organi even-tualmente coinvolti (splenectomia, gastroresezione, re-sezioni del piccolo o grosso intestino, ecc.), al fine di ot-tenere la liberazione completa dell’intera cavità addo-minale dalla malattia macroscopicamente evidente.Come parte integrante, e a completamento della citori-duzione, viene poi eseguita la peritonectomia. Con que-sto termine si identifica una procedura di exeresi com-plessa che coinvolge un intero distretto anatomico ad-domino-pelvico, comprendente il suo contenuto sia vi-scerale che parietale. Ogni superficie peritoneale coin-volta, sulla base dell’esplorazione visiva e di eventuali ri-sultati di biopsie estemporanee, deve essere asportata.

La procedura chirurgica di peritonectomia consta didue parti: la peritonectomia parietale e quella viscerale.La peritonectomia viscerale è realizzata contestualmen-te alla resezione degli organi infiltrati. La tipologia e l’e-stensione dell’exeresi viscerale non sono quindi defini-bili a priori, ma sono condizionate dalla necessità di re-secare strutture anatomicamente e con entità di coin-volgimento diverse. Il legamento falciforme, la colecisti,l’appendice, il piccolo e grande omento vengono gene-ralmente asportati di routine, indipendentemente dal-lo stato di infiltrazione. La rimozione invece di alcunisettori di mesentere non sempre può essere realizzata con-testualmente alla resezione dei corrispettive porzioni in-testinali, nell’impossibilità di eseguire resezioni multi-ple troppo estese. In taluni casi, si può ricorrere a pro-cedure aspecifiche di rimozione dei singoli noduli di car-cinosi (ad esempio con vaporizzazione elettrica o ultra-suoni), senza associare resezioni intestinali. La diffusio-ne della malattia sulla superficie del piccolo intestino èla principale causa di incompleta citoriduzione viscera-le (2). Mentre il trattamento del peritoneo viscerale nonè scindibile dall’exeresi parziale o totale dell’organo daesso rivestito, per il trattamento del peritoneo parietalevi sono marcate differenze. Le tecniche di peritonecto-mia parietale sono state descritte in dettaglio da Sugar-baker (8). Queste procedure, eseguite nelle aree di in-filtrazione neoplastica, consistono nella rimozione deifoglietti peritoneali, fino all’exeresi di tutto il tessuto neo-plastico macroscopico. Quando coinvolta, ogni area pe-ritoneale parietale deve essere rimossa: regioni subdia-frammatiche (peritonectomia dei quadranti superiori de-stro e sinistro), ‘porta hepatis’, capsula glissoniana, pa-reti addominali laterali (peritonectomia parietale destrae sinistra), pareti anteriore e posteriore del peritoneo, pe-

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Trattamento della carcinosi peritoneale mediante citoriduzione chirurgica e chemioipertermia intraperitoneale

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ritoneo pelvico (scavo del Douglas). L’entità dell’exere-si sarà variabile in relazione alla concentrazione, alla dif-fusione e alla tipologia degli impianti. Ai fini dell’exe-resi chirurgica, le zone di peritoneo parietale antero-la-terale, per conformazione, localizzazione e facilità di ac-cesso, risultano le più facilmente asportabili. Tali zone,grossolanamente triangolari o quadrangolari, sono dispostea destra e sinistra dell’asse obliquo di inserzione del me-sentere. La peritonectomia parietale risulta invece menoagevole in due localizzazioni, quella pelvica e quella dia-frammatica.

Sostanzialmente, quindi, seppur variabilmente secondodiversi autori, la fasi chirurgiche della citoriduzione conperitonectomia consistono nell’ordine in: 1. laparotomia mediana;2. omentectomia completa con splenectomia (se coin-

volta) ‘en bloc’;3. rimozione, ove possibile, dei noduli mesenteriali lun-

go il piccolo intestino, dal legamento del Treitz allavalvola ileociecale, con eventuali resezioni associate;

4. colectomia destra e peritonectomia parietale destra(se coinvolti);

5. colectomia sinistra o sigmoidectomia e peritonec-tomia parietale sinistra (se coinvolti);

6. rimozione di ulteriori noduli mesenteriali lungo ilgrosso intestino, dal cieco al retto;

7. peritonectomia pelvica, se coinvolta oppure di rou-tine nei casi di PC di origine ovarica, ‘en bloc’ conl’isteroannessectomia bilaterale;

8. resezione gastrica (se coinvolto), colecistectomia,omentectomia del piccolo omento, dissezione dei le-gamenti duodeno-epatico e gastro-epatico;

9. peritonectomia emidiaframmi destro e sinistro e ca-psula glissoniana (se coinvolti);

10. resezione delle lesioni a sinistra della vena cava re-tro-epatica, exeresi ‘porta hapatis’.

Procedura HIPECSuccessivamente alla citoriduzione chirurgica, il pe-

ritoneo viene trattato mediante la perfusione in ipertermia.Temperature intraddominali intorno a 41.5-42.5°C sonostate dimostrate ottimali per ottenere un effettivo si-nergismo del calore con i farmaci antineoplastici perfu-si e, al contempo, un livello di tossicità locale accettabile(4-6). Per raggiungere tali temperature all’interno dellacavità addominale, il perfusato necessita di essere riscaldatofino a 43-45°C. Gli agenti chemioterapici vengono iniet-tati attraverso i drenaggi di ingresso, e mescolati al per-fusato, quando la temperatura peritoneale ha raggiun-to circa 41°C. Il livello a cui viene mantenuta l’iperter-mia è variabile, ma molti gruppi utilizzano temperatu-re intraddominali omogenee, intorno a 42-43°C (2). Ilvolume di perfusato utilizzato nei differenti protocolliè calcolato in base alla superficie corporea, variabile tra5 e 10 litri, iniettato ad una velocità di circa 500-1000

ml/min. Anche la durata della perfusione varia a secondadei centri, oscillando tra i 30 e i 120 minuti. Non si co-nosce la migliore durata di perfusione, ma si stima siaintorno ai 60-90 minuti. Gli agenti chemioterapici sonoselezionati in base alle caratteristiche istologiche del tu-more primitivo e il loro dosaggio è calcolato in base allasuperficie corporea. Alla fine della perfusione, la cavitàaddominale viene drenata del liquido eccedente e irri-gata con soluzione per dialisi peritoneale.

Quando necessarie, le anastomosi intestinali ven-gono preferibilmente confezionate al termine della pro-cedura per facilitare un’uniforme distribuzione dellaperfusione e per evitare l’influenza ipotizzata della che-mioipertermia sulla probabilità di deiscenze (30). Almomento tuttavia non sono disponibili dati conclu-sivi su tale rischio. La perfusione viene effettuata me-diante un sistema di circolazione extra-corporea a dop-pio filtro, munito di due pompe (pompa di infusio-ne e pompa di recupero), un termostato e uno scam-biatore di calore, che permette una perfusione iper-termica costante. Una rappresentazione schematica èillustrata nella Figura 1. Il sistema di circolazione ex-tracorporea, passando attraverso lo scambiatore di ca-lore e un serbatoio di filtro, pompa dai 4 ai 6 litri diperfusato isotonico riscaldato all’interno della cavitàaddominale, ad una velocità di flusso preferibilmen-te intorno ai 400-800 ml/minuto.

Le due principali tecniche di amministrazione del-l’HIPEC sono la tecnica ad addome chiuso (detta Co-liseum), dove i drenaggi e le sonde vengono posiziona-ti dopo chiusura dell’addome, e la tecnica ad addomeaperto, in cui i lembi della laparotomia vengono “sospesi”ad un retrattore fisso e l’accesso chirurgico viene coper-to con un telo provvisto di una fenditura centrale che con-sente l’esplorazione della cavità addominale durante laprocedura. La cavità addominale rappresenta, tuttavia,un compartimento molto complesso e non facilmentesistematizzabile. Pertanto, la tecnica migliore per la ge-stione della perfusione in ipertermia non è ancora sta-ta definita. Sperimentazioni con sonde termiche intra-peritoneali multiple hanno chiaramente dimostrato lagrande eterogeneità di temperature intra-addominali du-rante la perfusione e l’esistenza di diffusioni preferenzialidei fluidi intraddominali (40). I fautori della tecnica aper-ta sostengono una migliore omogeneità termica e unamaggiore uniformità di distribuzione del chemioterapicoattraverso l’espansione della cavità peritoneale e la con-tinua manipolazione degli organi intraddominali (2). Unosvantaggio è rappresentato dalla necessità di un sistemadi evacuazione dalla cavità addominale aperta del per-fusato ipertermizzato vaporizzato. Al momento, tutta-via, non esistono evidenze scientifiche che dimostrino unrischio di insemenzamento legato a tale procedura. Laperfusione chiusa, d’altro canto, sembrerebbe in gradodi incrementare la diffusione convettiva dell’agente

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chemioterapico sulla superficie peritoneale per effetto del-le maggiori pressioni intraddominali. Jacquet e Sugar-baker hanno riportato in modelli animali che una pres-sione intraddominale di 20-30 mm Hg nei primi 10 mi-nuti di perfusione intraperitoneale incrementa la cap-tazione della doxorubicina sulla superficie della vescica,del diaframma e della parete addominale (49). Elias e col-leghi (50) hanno condotto in 32 pazienti uno studio pro-spettico di fase II su sette differenti tecniche di realiz-zazione dell’HIPEC, riportando che la completa chiu-sura della cavità addominale condizionerebbe una re-strizione del volume di perfusione e una diminuzione del-la diffusione spaziale dell’instillato, con una complessi-va peggiore omogeneità termica.

In definitiva, non esiste un consenso unanime sullatecnica ideale di amministrazione dell’HIPEC. Ad ogginon è stato condotto nessuno studio clinico prospetti-co controllato che specificatamente dimostri la superioritàdi una tecnica rispetto all’altra o che analizzi le eventualidifferenze in termini di morbilità postoperatoria e si-curezza del personale sanitario. Probabilmente, le diffe-renze conseguenti dalle diverse modalità di applicazio-ne dell’HIPEC sono più teoriche che reali. Il confron-to dei dati provenienti da centri che eseguono sia la tec-nica aperta che quella chiusa non mostrano differenzein termini di sopravvivenza. Possiamo dire che la tecni-ca migliore è attualmente quella che ciascun centro spe-

cializzato mette in atto sulla base delle proprie compe-tenze acquisite.

Indicazioni

La determinazione dell’eleggibilità di un paziente aduna procedura così invasiva necessita di indicatori qua-litativi e quantitativi. Essenzialmente, il paziente deve pre-sentare delle condizioni cliniche generali che gli per-mettano di tollerare una CRS seguita da HIPEC. I li-miti generali che controindicano l’esecuzione della pro-cedura sono (1,2,25):1. età maggiore di 70 anni;2. coesistenza di patologie importanti (specialmente car-

diorespiratorie, neurologiche e renali);3. aggravamento clinico dopo chemioterapia sistemi-

ca;4. malnutrizione;5. concomitanti metastasi extra-addominali (un trat-

tamento locoregionale aggressivo non ha senso in unamalattia sistemica non controllata);

6. metastasi epatiche, essenzialmente quando multiplee bilobari o comunque non resecabili;

7. estesa malattia retroperitoneale o linfonodale.Per quanto riguarda l’età, non esiste un limite una-

nimemente accettato. Alcuni autori riportano la fattibilità

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Trattamento della carcinosi peritoneale mediante citoriduzione chirurgica e chemioipertermia intraperitoneale

Fig. 1 - Rappresentazione schematica del circuito per l’HIPEC. Nella figura a destra è fotografato il più diffuso macchinario di somministrazione dell’HIPEC (RANDPerformer, Modena, Italia). L’ipertermia è mantenuta costante mediante un circuito chiuso, munito di due pompe (pump), un termostato e uno scambiatore di ca-lore (heater), che permette di perfondere la cavità peritoneale con un monitoraggio continuo delle temperature.

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dell’HIPEC anche in pazienti con età superiore a 70 anni.Il parere generale, comunque, è che il parametro età nondovrebbe essere considerato come indicatore mera-mente numerico, ma piuttosto come indicatore relati-vo della comorbilità individuale. Per quanto riguarda ilcoinvolgimento epatico, la letteratura scientifica attua-le suggerisce che i pazienti con metastasi epatiche su-scettibili di eradicazione completa non dovrebbero es-sere esclusi a priori da CRS e HIPEC. A tale riguardo,comunque, sono necessarie ulteriori valutazioni, prefe-ribilmente in larghi studi prospettici (51). Criteri rela-tivi di eleggibilità, che devono essere giudicati caso percaso, sono l’assenza di decremento dei marcatori tumoralidopo chemioterapia neoadiuvante, l’obesità (body massindex, BMI>40), pregressa irradiazione pelvica, più di4 pregressi interventi chirurgici, carcinomatosi estesa cli-nicamente o all’esame strumentale, occlusione intestinale.In sostanza, nei centri specializzati nel trattamento deitumori peritoneali maligni esiste un consenso globale sul-le indicazioni generiche all’utilizzo della chemioipertermia,ma non esistono indicatori specifici largamente conva-lidati. Indicatori quantitativi, come il volume, la distri-buzione e l’istopatologia del tumore, necessitano di unastandardizzazione internazionale.

In termini di outcome atteso, i migliori risultati del-la HIPEC sono attualmente ottenuti nei tumori peri-toneali primitivi, nel cancro ovarico e nel cancro colon-rettale, quando le granulazioni maligne sono resecabilicon chirurgia di debulking e peritonectomia locale. Con-siderate la prognosi scadente e la difficoltà del control-lo locoregionale, le carcinosi di origine pancreatica o epa-tobiliare non hanno indicazione all’HIPEC. Per alcuniautori, le carcinosi estese ed invasive rappresentano sem-pre una controindicazione all’esecuzione dell’HIPEC, in-dipendentemente dalla loro origine, quando la CRS nonè in grado di ottenere una retrostadiazione sufficiente (2).

L’HIPEC dopo CRS è utilizzata soprattutto in cen-tri giapponesi e coreani (2) oltre che con intento cura-tivo e palliativo anche come trattamento profilattico inalcuni casi a rischio di PC gastrica. Alcuni studi (52,53)hanno suggerito che l’HIPEC può migliorare la qualitàdi vita di alcuni pazienti con ascite maligna, con capa-cità di controllo locale fino al 70% dei casi. L’utilizzo del-l’HIPEC come trattamento palliativo nelle asciti mali-gne è tuttavia ancora dibattuto.

HIPEC iterativa Alcune serie hanno riportato casistiche con pazien-

ti sottoposti a multiple procedure di HIPEC (2 o talo-ra 3). Questa strategia terapeutica così aggressiva è fon-damentalmente riservata a soggetti che presentano buo-ne condizioni generali di salute a fronte di un’evidenza(biologica, strumentale e/o clinica) di una progressioneperitoneale di malattia. Al momento non sono disponibiliin letteratura dati esaustivi a riguardo dell’eventuale be-

neficio di un’iterazione dell’HIPEC. Solo recentemen-te è stato condotto uno studio su un piccolo gruppo di20 pazienti, studio che ha analizzato gli effetti di una rei-terazione dell’HIPEC nel trattamento di PC di differenteorigine, concludendo che tale modalità è fattibile e in gra-do di prolungare la sopravvivenza in casi altamente se-lezionati (54).

Indicatori prognostici

Indicatori prognostici quantitativi preoperatori sa-rebbero molto utili per guidare la selezione dei pazien-ti con maggiori probabilità di rispondere al trattamen-to ed escludere nel contempo coloro che, al contrario,hanno scarse o nessuna possibilità di beneficiarne. Sfor-tunatamente, ad oggi, non esistono indicatori strettamentecodificati per la procedura combinata di CRS più HI-PEC.

Le indagini strumentali preoperatorie, essenzial-mente TC e RMN, che teoricamente dovrebbero aiutarea pianificare la citoriduzione e a prevenire laparotomienon necessarie, presentano ancora una limitata sensibi-lità per la PC, soprattutto per le localizzazioni peritonealidi volume modesto (23). Il gold standard per la stadia-zione della PC continua ad essere la diretta visualizza-zione, laparotomica e/o laparoscopica. La valutazione in-tra-operatoria solitamente consente in un esatto stagingdella diffusione peritoneale, ma al momento non esistonocriteri di stadiazione unanimemente codificati.

Nel 1994, Gilly (39) ha proposto un sistema di sta-diazione preoperatoria della PC basato sulle dimensio-ni e sulla distribuzione delle granulazioni neoplastiche(Tab. 1). I primi due stadi della classificazione si riferi-scono alla presenza di noduli neoplastici di dimensioniinferiori ai 5 mm, localizzati rispettivamente in una par-te dell’addome (stadio 1) o diffusi a tutto l’addome (sta-dio 2); gli stadi 3 e 4 sono definiti invece dalla presen-za di noduli di carcinosi di diametro maggiore di 5 mm,rispettivamente più piccoli e più grandi di 2 cm, indi-pendentemente dal loro pattern di distribuzione (loca-

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TABELLA 1 - CLASSIFICAZIONE DI GILLY (39).

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lizzato o diffuso). Numerosi studi clinici (2,23) hannoprovato la validità di questo sistema di classificazione comeindicatore prognostico nei pazienti affetti da PC. Allo sco-po di validare un sistema classificativo, in un recente stu-dio multicentrico (EVOCAPE 1) è stata condotta un’a-nalisi multivariata delle variabili cliniche o terapeutichemaggiormente correlate con la sopravvivenza: lo stadiodella PC secondo la classificazione di Gilly è risultato unodei principali fattori prognostici indipendenti (55). I dueprincipali vantaggi di questa classificazione sono la sem-plicità e la riproducibilità, ma una limitazione significativaè rappresentata dalla mancanza di qualsiasi correlazio-ne con la resecabilità della PC. Ad esempio, lo stadio 2di malattia può corrispondere a una PC con noduli piùpiccoli di 5 mm, ma così diffusa da non essere reseca-bile; al contrario, gli stadi 3 e 4 possono includere for-me di PC, localizzata o diffusa, resecabili seppur con no-duli di dimensioni maggiori di 5 mm.

Il Peritoneal Cancer Index (PCI), descritto da Jac-quet e Sugarbaker (56), è un altro sistema classificati-vo largamente citato, in grado di definire, apparente-mente con maggiore precisione rispetto alla classifica-zione di Gilly, l’entità della PC (23). Questo sistemaquantifica la distribuzione e le dimensioni degli impiantineoplastici in relazione a 12 regioni addomino-pelviche,di cui 4 riferite al piccolo intestino (regioni 9 e 10, ri-spettivamente porzione prossimale e distale del digiu-no; regioni 11 e 12, porzioni prossimale e distale del-l’ileo) (Fig. 2). Per ciascuna regione addomino-pelvicaviene attribuito un punteggio (score) da 0 a 3 in basealle dimensioni della lesione di maggior diametro (le-sion size, LS). Uno score LS-0 corrisponde all’assenzadi impianti neoplastici, LS-1 corrisponde alla presen-za di noduli tumorali macroscopici delle dimensioni finoa 0.5 cm, LS-2 di noduli compresi tra 0.5 e 5 cm, LS-3 di noduli maggiori di 5 cm o confluenti. Il punteg-gio finale del PCI risulta dalla sommatoria dei singolipunteggi (da 1 a 39). Il PCI si è dimostrato un indica-tore prognostico (23) e consente di stimare con discretaprecisione la probabilità di ottenere una CRS comple-ta (2). Per la carcinomatosi di origine colon-rettale, Eliase colleghi (57) hanno riportato tassi di sopravvivenza si-gnificativamente migliori quando il PCI è inferiore a 16.Sugarbaker (4) ha suggerito che la carcinomatosi colon-rettale con un PCI > 20 dovrebbe essere trattata solo conintento palliativo, essendo l’HIPEC raramente indica-ta in questi casi.

Altri indicatori prognostici si riferiscono alla fase post-citoriduttiva. Contrariamente alle notevoli variabilità ri-portate sulle modalità di esecuzione dell’HIPEC, esisteun sostanziale accordo in letteratura sulla importanza fon-damentale della CRS completa. La completezza della re-sezione è stata chiaramente dimostrata il più importan-te fattore prognostico predittivo di sopravvivenza (2). Ipazienti in cui la resezione completa degli impianti neo-

plastici visibili non è possibile mostrano invariabilmenteuna prognosi peggiore, paragonabile a quella dei pazientisottoposti solo a trattamento palliativo (23). La di-mensione dei noduli residui è inoltre significativamen-te predittiva della prognosi (1).

Attualmente, due classificazioni sono utilizzate perdefinire la completezza della citoriduzione. La classifi-cazione del gruppo di Lione (2), che include la citori-duzione completa (R0, assenza di malattia macroscopicae margini microscopici negativi; R1, assenza di malat-tia macroscopica con margini microscopici positivi) ela citoriduzione incompleta (R2, residuo macroscopi-co). I pazienti sottoposti a resezioni R0/R1 mostranoun significativo vantaggio in termini di sopravvivenzarispetto a quelli sottoposti a resezione R2 (2,23). Per de-finire l’entità della citoriduzione Jacquet e Sugarbaker(49,56) hanno introdotto il così detto score di com-pletezza della citoriduzione (completeness of cancer re-section, CCR), suddiviso in 4 classi (Tab. 2). CCR-0 in-dica l’assenza di residui tumorali macroscopici dopo ci-toriduzione; CCR-1, noduli tumorali persistenti dopocitoriduzione di diametro minore di 2.5 cm; CCR-2 in-dica la presenza di noduli tumorali compresi tra 2.5 mme 2.5 cm, CCR-3 noduli tumorali residui > 2.5 cm oconfluenti o non resecabili in qualsiasi sede dell’addo-me e pelvi. Dunque, lo score di completezza della ci-toriduzione è basato solo sulle dimensioni dei noduli re-sidui più grandi, mentre il numero e la distribuzione de-gli stessi non vengono presi in considerazione. I risul-tati di numerosi studi dimostrano una correlazione di-retta dello score CRR con la sopravvivenza in casi di car-cinomatosi di varia origine (pseudomixoma peritonei, me-sotelioma, carcinosi colon-rettale, carcinosi ovarica, sar-comatosi) (2,11,23).

Ad ogni modo, la definizione di quale sia la citori-duzione ottimale è ancora controversa e spesso differi-sce in base agli autori. Le maggiori esperienze su HIPECe CRS mostrano che un limite più restrittivo < 2.5 mmper definire la citoriduzione come ottimale è correlatocon prognosi migliori. Ciò è in accordo con quanto di-mostrato in molti modelli sperimentali, dove la pene-trazione dei chemioterapici intraperitoneali all’internodei noduli tumorali è limitata a 0.5-2 mm (17) e quin-di è improbabile che un trattamento locoregionale pos-sa ottenere sostanziali benefici in presenza di noduli tu-morali residui di dimensioni maggiori. Essenzialmente,noduli di dimensioni CCR-1 sono penetrabili dalla che-mioterapia intracavitaria in ipertermia e dunque possonoancora essere considerati nell’ambito di una citoriduzionecompleta, mentre con residui tumorali CCR-2 o CCR-3 essa è inevitabilmente incompleta. Alcuni autori, tut-tavia, promuovono una concezione ancora più restritti-va, indicando come citoriduzione ottimale l’assenza di qualsiasi residuo tumorale visibile (macroscopico, CCR-0) (17).

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Trattamento della carcinosi peritoneale mediante citoriduzione chirurgica e chemioipertermia intraperitoneale

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Le opinioni divergenti dipendono anche da quale ti-pologia di tumore ci troviamo a trattare. A causa delladiversità di biologia e aggressività, nelle carcinosi colon-rettali, per esempio, la citoriduzione completa richiedeun residuo il più possibile vicino al CCR-0 per essere con-siderata ottimale ai fini prognostici prima di procedereall’HIPEC, mentre nello pseudomixoma peritonei ancheresidui CCR-1 e talora CCR-2 consentono comunqueall’HIPEC di ottenere un buon vantaggio prognostico(1). Globalmente, noduli residui tra 1 mm e 5 mm, in-

dipendentemente dal tipo della neoplastica primitiva, sonoaccettati nella maggior parte degli studi come indicati-vi di una CRS completa; mentre, la necessità di esegui-re una citoriduzione estesa, con le inevitabili morbilitàe mortalità associate, e che comunque non permetta unaeradicazione completa, non è consigliabile nei casi di tu-mori aggressivi (17).

Morbilità e mortalità La procedura CRS più HIPEC è generalmente lun-

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Fig. 2 - Peritoneal Carcinomatosis Index (PCI): l’addome e la pelvi sono suddivisi in 12 regioni. Ad ogni regione viene attribuito un valore numerico da 0 a 3 inbase alle dimensioni della lesione di maggior diametro. Lo score finale (lesion size score, LS score) risulta dalla sommatoria dei punteggi (da 1 a 39).

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ga e tecnicamente complessa. Non è sorprendente, quin-di, che tale modalità di trattamento sia associata ad altitassi di morbidità e mortalità, in particolare quando l’HI-PEC è combinata a citoriduzioni molto estese (36, 37,40, 55). Nonostante venga applicata ormai da oltre 20anni, permane ancora un certo scetticismo nei confrontidi questa tecnica, dovuto proprio e soprattutto alle ele-vate percentuali di morbilità e mortalità correlate. A ciòsi aggiungono i costi ingenti e la complessità globale deltrattamento. Tuttavia, alcuni aspetti sono meritevoli dichiarimento. Innanzitutto, vari centri hanno pubblica-to le loro esperienze usando criteri diversi di classifica-zione delle complicanze perioperatorie e non tutti gli au-tori hanno eseguito precise analisi multivariate dei fat-tori di rischio correlati. Questa scarsa uniformità dellavalutazione degli eventi avversi rende difficile una com-parazione omogenea dei diversi risultati finora riporta-ti in letteratura (Tab. 3). Un ulteriore elemento di di-vergenza delle percentuali di complicanze deriva pro-babilmente, oltre che dal tipo di neoplasia primitiva trat-tata, dalla disomogeneità dei parametri HIPEC utiliz-zati nei vari centri (variabilità delle temperature, dei che-mioterapici applicati e della durata delle perfusioni, ap-proccio chirurgico aperto o chiuso, diversità delle stru-mentazioni e dei macchinari, ecc.). Inoltre, gli stessi si-stemi di classificazione delle complicanze adottati nei varicentri non sono ancora stati standardizzati. Alcuni au-tori, ad esempio, utilizzano un modello molto sempli-ce basato sul sistema di classificazione di Bozzetti, idea-to presso l’Istituto Nazionale Italiano dei Tumori di Mi-lano (79), che consiste in una scala di 4 gradi di gravitàdelle complicanze chirurgiche: grado I, nessuna com-plicanza; grado II, complicanze minori (infezione di fe-trita, infezione delle vie urinarie, pancreatite, ileo,trombosi venosa profonda); grado III, complicanzemaggiori (richiedenti il re-intervento o l’ammissione interapia intensiva o trattamenti radiologici interventisti-ci); grado IV, determinanti il decesso. Altri studi, inve-ce, si basano su sistemi di classificazione differenti, comeil modello di Clavien o le sue modificazioni proposte ri-spettivamente da Feldman ed Elias (79). Tali sistemi so-stanzialmente ricalcano il modello di Bozzetti, suddivi-dendo gli eventi avversi postoperatori in 4 o 5 classi digravità crescente in funzione delle ripercussioni cliniche

e dei provvedimenti richiesti. Altri autori hanno inveceutilizzato per riportare la morbilità correlata alla chirur-gia e la tossicità correlata alla chemioterapia il sistema delNational Institute of Health statunitense, ovvero Com-mon Terminology Criteria for Adverse Events (CTCAE). IlCTCAE rappresenta un sistema di classificazione mol-to articolato e dettagliato, comprendente 310 tipi diversidi eventi avversi, inclusi in 28 categorie in base all’ana-tomia e/o alla fisiopatologia delle complicanze, e suddi-visi in 5 classi di gravità diversa (grado 1-3, eventi avversirispettivamente a severità moderata, media e severa; gra-do 4, eventi avversi richiedenti trattamenti salva-vita o de-terminanti disabilità; grado 5, decesso). Una descrizio-ne così particolareggiata dei molteplici dati sia clinici chestrumentali, ideata per consentire una collocazione il piùpossibile sistematica della tossicità derivante da un trat-tamento, venne inizialmente designata ai fini di ricercaper gli studi clinici, ma successivamente è stata largamenteadoperata per registrare le tossicità derivanti da diversi pro-tocolli terapeutici soprattutto oncologici. Uno dei prin-cipali vantaggi della classificazione CTCAE è che può es-sere usata per determinare sia le tossicità mediche che lemorbilità chirurgiche. Ad esempio, la classificazione de-finisce separatamente le fistole, le deiscenze anastomoti-che e le perforazioni. Nel 2006, al 5° Workshop Inter-nazionale sulle Neoplasie Maligne Peritoneali, svoltosi aMilano, questa classificazione è stata infatti considerataadattabile anche per la procedura di CRS più HIPEC edè stata indicata come il sistema classificativo standard dautilizzare. Nella valutazione dei diversi studi deve esserequindi tenuto presente che le analisi precedenti a questoaccordo internazionale utilizzavano classificazioni diver-se. Comunque, ad oggi non ancora tutti gli autori si sonoadeguati a questo modello classificativo.

In definitiva una vera e propria comparazione tra ivari studi non può essere ancora determinata. Com-plessivamente le percentuali di morbilità e mortalità ri-portate dai diversi centri variano rispettivamente tra il12% e il 66% e tra lo 0% ed il 12%. Tali percentuali,comunque, richiedono un’adeguata interpretazione inquanto comprendono anche i risultati ottenuti in cen-tri con scarsa esperienza e con casistiche di pochi pazienti.Infatti, come dimostrato in una recente review sistema-tica, negli Istituti di terzo livello ad alto volume di pro-cedure eseguite le percentuali riportate sono più basse,oscillando rispettivamente dallo 0.9% al 5.8% perquanto riguarda la mortalità e dal 12% al 52% per la mor-bilità (Tab. 3) (3). In una delle più grandi serie finoracondotte, consistente in uno studio multicentrico re-trospettivo su 523 pazienti trattati con HIPEC per car-cinosi di origine colon-rettale, sono state riportate per-centuali di mortalità e morbilità rispettivamente del 3%e del 31% (77). Queste percentuali sono sostanzialmentecomparabili a quelle relative ad altre procedure di chi-rurgia addominale maggiore, come quella pancreatica (3).

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Trattamento della carcinosi peritoneale mediante citoriduzione chirurgica e chemioipertermia intraperitoneale

TABELLA 2 - COMPLETEZZA DELLA CITORIDUZIONE(COMPLETENESS OF CANCER RESECTION, CCR SCO-RE) SECONDO JACQUET E SUGARBAKER (49,56).

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TABELLA 3 - MORBILITÀ E MORTALITÀ DOPO CRS E HIPEC IN RECENTI STUDI.

CG: Cancro Gastrico; CCR: Cancro Colon-Rettale; CO: Cancro Ovarico; MP: Mesotelioma Peritoneale; PMP: Pseudomyxoma Peritonei; SP: Sarcomatosi Perito-neale; CAP: Cancro Appendice.# comprendente casi trattati con procedura early postoperative intraperitoneal chemotherapy (EPIC) combinata o isolata.

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Inoltre, deve essere tenuto in considerazione che, cosìcome per altre procedure complesse, anche per le tecnichedella CRS e dell’HIPEC sussistono curve di apprendi-mento significative non trascurabili (17,77). I risultatistessi dei vari centri dimostrano un decremento di in-cidenza di morbilità e mortalità tra i dati preliminari egli aggiornamenti successivi delle proprie esperienze (80).Il problema è reso ancora più complesso se si conside-ra che da una simile procedura possono scaturire com-plicanze derivanti sia dal trauma chirurgico sia dagli ef-fetti tossici dei chemioterapici e del calore, sia dagli ef-fetti sinergici e/o additivi di entrambi. Ad esempio, l’in-sorgenza di anemia post-operatoria potrebbe dipende-re dal sanguinamento correlato alle perdite ematiche do-vute all’intervento, dalla soppressione midollare dell’ef-fetto farmacologico del chemioterapico, o da entrambi.

Le cause principali di mortalità peri-operatoria sonola sepsi e l’insufficienza multiorgano (3). Le più frequenticomplicanze ricorrenti nelle casistiche più numerose sonorappresentate da deiscenze anastomotiche (da 0% al 9%),fistole (da 0% al 23%), perforazioni intestinali (da 0%al 10%), sepsi intraperitoneali (da 0% al 14%), ascessi(da 0% al 37%) ed ileo paralitico (da 0% all’86%) (Tab.4) (3). La percentuale di reintervento in seguito a com-plicanze correlate al trattamento varia dallo 0% al 23%(3). La maggior parte di tali complicanze sembra correlataalla CRS. Invece, nonostante la via di somministrazio-ne intraperitoneale del perfusato chemioterapico ridu-ca il rischio di effetti sistemici rispetto alla sommini-strazione intravenosa, le complicanze principalmente cor-relate all’HIPEC sembrano essere la tossicità ematolo-gica (da 0% al 31%), dovuta alla transitoria soppressionemidollare, e l’insufficienza renale (da 0% al 7%), so-prattutto in caso di utilizzo del cisplatino (2,3). La mas-sima dose di chemioterapico tollerata non è ancora sta-ta determinata e necessita di ulteriori indagini. Conse-guenze meno frequenti e principalmente derivanti da-gli effetti combinati di CRS e HIPEC sono la trombo-si venosa e l’embolia polmonare (da 0% al 9%). Rara-mente si verificano pancreatiti, polmoniti, insufficien-za cardiaca e infarti cerebrali (3).

Studi recenti (2,11) hanno mostrato che le condizionigenerali del paziente, la dose di chemioterapico, la du-rata e l’estensione della chirurgia, la resezione visceralee il numero di anastomosi digestive eseguite rappresen-tano fattori indipendenti di rischio di complicanze. L’e-stensione della carcinomatosi e la citoriduzione incom-pleta si sono inoltre dimostrati tra i più importanti fat-tori predittivi di morbilità (2,11,57). In particolare, i pa-zienti con stadio 3 o 4 di carcinosi hanno maggiori pro-babilità, rispetto ai pazienti con stadio 1 o 2, di svilup-pare complicazioni post-chirurgiche (2,11,57). Nella no-stra esperienza, la presenza di noduli tumorali residui mag-giori di 2.5 mm rappresenta un fattore predittivo indi-pendente di morbidità posto-operatoria (11).

In conclusione, considerando le percentuali di out-come registrate nei centri terziari a maggiore volume e an-che il probabile effetto futuro della curva di apprendi-mento della tecnica, questa procedura rappresenta senz’al-tro una delle più validi opzioni terapeutiche per una con-dizione altrimenti progressiva e inevitabilmente termi-nale. Un’accurata selezione preoperatoria dei pazienti eun’adeguata gestione post-operatoria sono elementicruciali per minimizzare l’incidenza e la letalità delle com-plicanze associate. Ulteriori studi prospettici sono necessariper determinare i fattori maggiormente correlati agli ef-fetti tossici di questo particolare approccio terapeutico.

SopravvivenzaLa chemioterapia sistemica ha uno scarso impatto sul

trattamento dei tumori maligni peritoneali. Nonostan-te sia in grado di ottenere incoraggianti percentuali dirisposta tumorale, non migliora sostanzialmente la pro-gnosi (2).

Ad oggi, non è stato condotto nessuno studio pro-spettico randomizzato che analizzi l’efficacia della cito-riduzione combinata con HIPEC nel trattamento del-la PC indipendentemente dal tipo di tumore primitivo.Sono disponibili, invece, uno studio randomizzatocontrollato specificatamente designato per la carcinosidi origine colonrettale (81) e due studi randomizzati ri-guardanti il ruolo adiuvante dell’HIPEC nella preven-zione delle recidive peritoneali postoperatorie nei pazienticon cancro gastrico (12,82). Dall’altra parte esistono nu-merosi studi non randomizzati, monocentrici e multi-centrici, i cui risultati suggeriscono un beneficio in ter-mini di sopravvivenza ottenuto dall’applicazione del trat-tamento combinato in casi selezionati di pazienti con car-cinosi o primitività peritoneali (2,11,12,83). Questa mo-dalità terapeutica rappresenta infatti al momento l’uni-ca strategia pianificabile e con potenzialità curative di-mostrate in studi di fase II e di fase III per la carcino-matosi (2,8,57).

Tra i più importanti fattori condizionanti l’outcomedi questi pazienti, la completezza della citoriduzione èstata largamente riconosciuta come il più importante(11,73,81,85). Altri fattori prognostici significativicomprendono le dimensioni e la distribuzione delle le-sioni tumorali, oltre che l’istologia del tumore primiti-vo (30). Comunque, l’aspetto interpretativo più difficiledegli studi finora pubblicati è rappresentato dall’etero-geneità delle popolazioni prese in esame. Le varie serieincludono tipologie tumorali a comportamento biolo-gico nettamente diverso. Il metodo migliore per defini-re l’outcome relativo ai pazienti trattati è in base alla ti-pologia della neoplasia.

Carcinoma colon-rettaleLa carcinosi peritoneale da cancro del colon-retto è

tradizionalmente associata ad una prognosi pessima, in

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TABELLA 4 - PERCENTUALI DI SOPRAVVIVENZA DOPO CRS PIÙ HIPEC IN PAZIENTI CON PC DI DIFFERENTE ORIGI-NE NELLE PIÙ RILEVANTI SERIE PUBBLICATE.

CG: Cancro Gastrico; CCR: Cancro Colon-Rettale; CO: Cancro Ovarico; MP: Mesotelioma Peritoneale; PMP: Pseudomyxoma Peritonei; SP: Sarcomatosi Perito-neal; CAP: Cancro Appendice.MMC: Mitomicina C; CSP: Cisplatino; OXP: Oxaliplatino; DXR: Doxorubicina; CBPL: Carboplatino #: sopravvivenza media globale stimata/non attuariale. §: in tutti i casi associata a early postoperative intraperitoneal chemotherapy (EPIC) con 5-FU (550 mg/m2) o paclitaxel (20 mg/m2) per 5 giorni.†: inclusi EPIC associata 84 casi, EPIC isolata 9 casi, con mitomicina C (10 mg/m2) giorno 1 e fluorouracile (600 mg/m2) nei successivi 4 giorni.

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media di 6 mesi (51). I trattamenti tradizionali, consi-stenti nella chemioterapia sistemica associata o meno achirurgia palliativa, non hanno ottenuto miglioramen-ti eclatanti, con tassi medi di sopravvivenza che non su-perano i 24 mesi (95), nonostante lo sviluppo di nuoviprotocolli comprendenti ad esempio l’irinotecan el’oxaliplatino.

Il beneficio della citoriduzione abbinato all’HIPECnelle carcinosi secondarie a tumore del colon-retto è sta-to invece chiaramente definito in numerosi studi pro-spettici e retrospettivi, che riportano un netto incrementodella sopravvivenza media. Dai registri di due larghe ca-sistiche multicentriche comprendenti oltre 500 pazien-ti, tutti i casi trattati con l’associazione di CRS completae chemioterapia intraperitoneale perioperatoria hannomostrato sopravvivenze medie superiori ai 30 mesi ed untasso di sopravvivenza a 5 anni maggiore del 30% (85,95).Per quanto riguarda l’unico studio clinico randomizza-to di fase III disponibile, Verwaal e colleghi, del Nether-lands Cancer Center di Amsterdam, hanno comparatoi pazienti con carcinosi colon-rettale sottoposti a trat-tamento standard (controlli), consistente in chemiote-rapia sistemica (5-fluorouracile/leucovorin) con o sen-za chirurgia palliativa, vs CRS più HIPEC (mitomici-na) seguite dal medesimo regime di chemioterapia si-stemica. Essi hanno definitivamente dimostrato l’efficaciadella procedura combinata, riportando un beneficio si-gnificativo di sopravvivenza nei pazienti sottoposti a ci-toriduzione e HIPEC in confronto ai casi controllo (so-pravvivenza media di 22.4 mesi vs 12.6 mesi, p=0.032;corrispondente a tasso attuariale di sopravvivenza a 2 annidi 43% vs 16%, p=0.014) (81). Oggi sono disponibilianche i risultati a lungo termine di questo studio cardi-ne sulla procedura dell’HIPEC. L’aggiornamento è sta-to condotto nel 2008, dopo un follow-up medio di 8anni, che ha confermato gli ottimi risultati prelimina-ri, con sopravvivenze a 5 anni del 20% per l’intero grup-po e del 45% per i pazienti sottoposti a citoriduzione com-pleta (R0/R1) (96).

Nel più grande studio non randomizzato finora con-dotto, comprendente 506 pazienti sottoposti ad HIPECper PC di origine colon-rettale, in 28 centri differenti èstata riportata una sopravvivenza media globale di 19.2mesi, con un tasso di sopravvivenza attuariale comples-sivo a 3 e 5 anni rispettivamente del 39% e 19% (85).

Tra le serie più numerose, un altro recente studio mul-ticentrico, condotto su 523 pazienti con PC di originecolon-rettale, che comprende tuttavia oltre che pazien-ti sottoposti ad HIPEC dopo CRS anche casi sottopo-sti a chemioterapia intraperitoneale postoperatoria(early postoperative intraperitoneal chemotherapy,EPIC), essenzialmente conferma risultati analoghi allostudio randomizzato di Verwaal, con una sopravviven-za a 5 anni del 27% (77).

Nel corso degli ultimi 10 anni, sempre più numerosi

centri internazionali hanno pubblicato i loro risultati pro-spettici. Molti di questi studi, tuttavia, rappresentano trialsdi fase II monocentrici, con casistiche di pazienti rela-tivamente poco numerose e con una vasta variabilità dicriteri di inclusione, di farmaci usati e di modalità di som-ministrazione della chemioipertermia. Una review si-stematica di questi studi ha mostrato sopravvivenze me-die comprese tra 13 e 29 mesi e tassi di sopravvivenze a5 anni tra l’11% e il 19% (97). I pazienti sottoposti acitoriduzione completa beneficiavano maggiormente del-la procedura, con sopravvivenze medie comprese tra i 28e i 60 mesi e sopravvivenze a 5 anni dal 22% al 49% (97),chiaramente superiori a ciò che si ottiene dal solo trat-tamento chemioterapico sistemico (23). Un’altra reviewsistematica più recente ha operato una meta-analisi deirisultati degli studi più rilevanti ad oggi disponibili, con-fermando la conclusione che il trattamento combinatoCRS più chemioterapia intraperitoneale perioperatoriaper le carcinosi da cancro colon-rettale ottiene un be-neficio di sopravvivenza statisticamente significativo ri-spetto all’approccio tradizionale (51).

Alla luce dei chiari vantaggi mostrati ad oggi dalla CRSpiù HIPEC, recentemente un gruppo di esperti (66 chi-rurghi operanti in 46 istituti di 16 nazionalità diverse)ha raggiunto il consenso che il solo trattamento che-mioterapico sistemico non può essere più considerato ap-propriato per i pazienti con carcinosi limitata di origi-ne colon-rettale primitiva o recidiva (20). In particola-re, gli esperti hanno indicato che i pazienti con PC iso-lata suscettibile di eradicazione completa dovrebbero es-sere sottoposti a HIPEC con mitomicina C (15-35mg/m2) ad una temperatura target intraperitoneale di 39-42 C° per 60-120 minuti, indipendentemente dalla tec-nica chiusa o aperta utilizzata seguita dal miglior pro-tocollo di chemioterapia sistemica adiuvante. Alla lucedelle evidenze attuali, recentemente anche i sistemi sa-nitari nazionali olandese e francese hanno accettato taleapproccio come trattamento standard da applicare in que-sto contesto (77).

Carcinoma appendicolareIl cancro mucinoso dell’appendice ha una bassa ag-

gressività biologica, dando raramente origine a metastasilinfonodali e quasi mai a metastasi epatiche per via ema-tica; invece, la neoplasia frequentemente causa una dis-seminazione peritoneale molto precoce, attraverso il pas-saggio di cellule tumorali dalla parete dell’appendice al-l’interno della cavità addominale. In passato non esistevaun trattamento standard per la disseminazione perito-neale originante dalla neoplasia maligna dell’appendicee tradizionalmente questi pazienti venivano sottopostiad un debulking con evacuazione dell’ascite, per lo piùdi natura mucinosa (98). Dati limitati sono disponibi-li sull’effettivo beneficio del debulking in caso di disse-minazione peritoneale da neoplasia appendicolare; co-

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munque, la citoriduzione chirurgica seriale è gravata ge-neralmente da un alto tasso di recidive (98).

La CRS combinata con HIPEC si è invece dimostratain numerosi centri specializzati un trattamento in gra-do di prolungare la prognosi e diminuire l’incidenza direcidive (98). Sulla base di questi risultati, a partire dal4° Worckshop Internazionale sui Tumori Maligni Peri-toneali, tenutosi in Spagna nel 2004, è stato stabilito chela CRS combinata con HIPEC è lo standard di cura perla neoplasia mucinosa dell’appendice con disseminazioneperitoneale in assenza di metastasi a distanza (99).

Carcinoma gastricoIl trattamento mediante CRS e HIPEC della carci-

nomatosi da cancro gastrico ha mostrato risultati a lun-go termine globalmente peggiori rispetto ad altre tipo-logie di tumori (23). Il motivo principale risiede pro-babilmente nella particolare aggressività biologica di que-sta neoplasia. La prognosi di per sè è estremamente se-vera. I pazienti con PC di origine gastrica presentano unasopravvivenza media di 6 mesi e nulla a 5 anni (55). Iprotocolli palliativi di chemioterapia sistemica nonhanno mostrato un incremento dei tassi di sopravvivenza(100). Sopravvivenze a lungo termine dopo peritonec-tomia e HIPEC sono raggiungibili solo se l’estensionedella carcinosi è molto limitata e comunque suscettibi-le di resezione R0. Ad oggi, purtroppo, sono disponibilisolo dati limitati a tale riguardo e pochi centri hanno rag-giunto una specifica esperienza in questo contesto(63,87,101). Sayag e colleghi (53) hanno riportato tas-si di sopravvivenza a 3 anni del 41% per pazienti in sta-di 1 o 2 di carcinosi gastrica. In una delle più larghe se-rie ad oggi pubblicate, comprendente 85 pazienti sot-toposti a citoriduzione e HIPEC con mitomicina C, eto-poside e cisplatino, Yonemura ha riportato tassi di so-pravvivenza a 1 e 5 anni rispettivamente del 43% e del11% (102). Tuttavia, numerosi altri studi hanno mostratorisultati peggiori o comunque discordanti (103). Nel com-plesso, questi studi mostrano chiaramente che mentre laCRS quando completa si correla con sopravvivenze piùalte, l’efficacia dell’HIPEC associata a chirurgia in que-sto contesto non è ancora stata stabilita. Piuttosto chenel trattamento della carcinosi gastrica conclamata, l’HI-PEC sembrerebbe giocare un ruolo significativo nell’a-zione adiuvante di prevenzione delle recidive peritonealidopo chirurgia radicale del tumore primitivo. Perfinoquando trattati con gastrectomia radicale curativa, cir-ca il 50% dei casi di carcinoma gastrico è destinato in-fatti a sviluppare una recidiva peritoneale (103). La che-mioterapia sistemica e la radioterapia non hanno mostratosignificativi vantaggi prognostici come trattamenti adiu-vanti in questo setting (103).

L’eziologia della PC gastrica sembra derivi dalla esfo-liazione di cellule dalla superficie del tumore che ha in-vaso la sierosa. È stato dimostrato che l’area di infiltra-

zione sierosa è correlata con la probabilità di detezionedi cellule neoplastiche libere intraperitoneali (103). L’in-stillazione intraperitoneale di chemioterapico si è di-mostrata in grado di prevenire lo sviluppo della carcinosiperitoneale, mentre la chemioterapia sistemica manife-sta scarsa capacità di diffusione sulla superficie del pe-ritoneo dopo l’avvenuto impianto delle cellule neopla-stiche. Sulla base di tali evidenze, è stato condotto un cer-to numero di studi, in particolare da parte di autori co-reani e giapponesi, due dei quali randomizzati, allo sco-po di analizzare l’utilità dell’HIPEC con intento adiu-vante dopo resezione gastrica potenzialmente curativa.I risultati sono discordanti (2,11,12,82,87). Lo studiorandomizzato di Fujimoto (12), condotto su 141 pazienticon cancro gastrico in stadio II o III, ha mostrato un si-gnificativo miglioramento delle probabilità di recidivaperitoneale e della sopravvivenza a lungo termine doporesezioni curative nel gruppo di studio sottoposto a chi-rurgia più HIPEC rispetto alla sola chirurgia. Yonemu-ra e colleghi (82) hanno condotto uno studio rando-mizzato controllato su 139 pazienti con cancro gastri-co T2-4 suddivisi in tre gruppi: HIPEC più chirurgia,chemioterapia intraperitoneale in normotermia piùchirurgia, e sola chirurgia. La percentuale di sopravvi-venza a 5 anni nei pazienti trattati con la combinazio-ne HIPEC/chirurgia è risultata del 60%, significativa-mente più alta di quella degli altri due gruppi di studio,con un beneficio particolarmente evidente nei pazienticon tumore infiltrante lo strato sottosieroso o con me-tastasi linfonodali. Kim e Bae (104) hanno riportato unasignificativa riduzione delle recidive peritoneali e un mi-glioramento significativo della sopravvivenza a 5 anni neipazienti con carcinoma gastrico in stadio III infiltrantela sierosa rispetto non in quelli in stadio IV trattati conchirurgia e HIPEC rispetto ai casi controllo sottopostia sola chirurgia. Tuttavia, non tutti gli studi giappone-si confermano questi risultati (87) e mancano studi pro-spettici randomizzati in Europa.

Carcinoma ovaricoNonostante il carcinoma ovarico rappresenti una del-

le neoplasie solide maggiormente chemio-sensibili e traquelle in cui la sopravvivenza a 5 anni è migliorata ne-gli ultimi anni, nella maggior parte delle donne con ma-lattia localmente avanzata i risultati a lungo termine re-stano scadenti (73). La sopravvivenza media delle don-ne affette da carcinoma ovarico metastatico (stadio IV)si aggira intorno ai 12-25 mesi (73). Il trattamento stan-dard per le pazienti con cancro ovarico avanzato (stadiIII o IV) è considerato il debulking chirurgico seguito dachemioterapia adiuvante a base di platino/paclitaxel. L’im-patto prognostico sulla carcinosi peritoneale della mas-sima CRS è ben riconosciuto (105). Anche se un’alta per-centuale di pazienti ottiene una buona risposta da que-sto trattamento circa la metà dei casi recidiva entro 5 anni

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(73) e sono ottenibili sopravvivenze a lungo termine solonel 10-20% dei casi (106). Ciò sta ad indicare che so-stanzialmente la terapia tradizionale non consente un suf-ficiente controllo della malattia e fallisce nell’intento cu-rativo.

Sotto l’impulso degli incoraggianti risultati ottenu-ti dalla somministrazione intraperitoneale di farmaci che-mioterapici, la combinazione della via intraperitonealecon quella intravenosa è stata studiata nel cancro ovari-co primitivo in stadio III in larghi studi randomizzati (17).Il risultato dello studio di fase III del Gynecologic On-cology Group (GOG-172) ha dimostrato che la che-mioterapia “bidirezionale” con paclitaxel intravenoso piùcisplatino e paclitaxel intraperitoneale incrementava si-gnificativamente la sopravvivenza nelle pazienti con sta-dio III di malattia ottimamente citoridotta (18). Sullabase della meta-analisi degli studi riguardanti questa par-ticolare strategia di trattamento, il National Cancer In-stitute e il GOG hanno promulgato nel 2006 la racco-mandazione clinica che le donne con cancro ovarico instadio III suscettibile di citoriduzione chirurgica ottimaledovrebbero sempre essere considerate per la chemiote-rapia intraperitoneale (107).

Nonostante questi dati convincenti, la chemiote-rapia intraperitoneale in normotermia comunquepresenta ancora numerosi limiti, principalmente rap-presentati nell’inabilità di penetrare all’interno dei no-duli più grandi, essenzialmente quelli maggiori di 2.5mm (30). Successivamente, sono stati studiati i prin-cipi farmacocinetici della via di somministrazione in-traperitoneale di agenti a base di platino associata aperfusione ipertermica. L’HIPEC si è dimostrata su-periore in maniera definitiva rispetto alla chemiote-rapia intraperitoneale normotermica, in quanto me-glio tollerata e più efficiente in termini di sopravvi-venza globale (108). Inoltre, la percentuale di recidi-ve dopo HIPEC è risultata minore e la recidiva stes-sa più facilmente controllabile (108). Purtroppo, al mo-mento sono ancora scarsi i dati disponibili in questocontesto sull’impatto prognostico a lungo termine del-l’applicazione dell’HIPEC. Nessuno degli studi finoracondotto è uno studio randomizzato. Il livello di evi-denza degli studi disponibili è nella maggior parte diclasse II o classe III (studi non randomizzati compa-rativi ed osservazionali). Inoltre, le casistiche tratta-te sono rappresentate per lo più da gruppi eterogeneidi pazienti, comprendenti sia casi in stadio avanzatodi malattia sia casi recidivi e ancora casi sottoposti amultiple procedure chirurgiche e/o chemioterapicheo con chemio-resistenza a precedenti protocolli (18).Questa eterogeneità dei dati preclude conclusioni de-finitive sull’efficacia della procedura in termini di so-pravvivenza; sono necessari studi randomizzati con-trollati.

Ad oggi, la serie più numerosa disponibile è quella

presentata nel novembre 2008 al 6° Workshop on Peri-toneal Surface Oncology, a Lione (Francia), che racco-glie l’esperienza dei due Istituti francesi maggiormentespecializzati in 246 donne sottoposte a CRS ed HIPECper carcinoma ovarico avanzato o recidivo. Gli Autori han-no riportato una sopravvivenza media globale di 49 mesied un periodo libero di malattia di 13 mesi, senza dif-ferenze statisticamente significative nella sopravvivenzaglobale tra pazienti chemioresistenti e non chemioresi-stenti (109).

Due recenti review sistematiche che hanno analizza-to la maggior parte della letteratura disponibile a tale ri-guardo hanno concluso che il trattamento combinato rap-presenta una valida opzione nella gestione delle pazien-ti con malattia avanzata in stadio III-IV (17,18). La so-pravvivenza media globale per malattia primitiva e re-cidiva, estrapolata dagli studi revisionati, varia dai 22 ai64 mesi, con un periodo medio libero di malattia va-riabile da 10 a 87 mesi (17). La maggior parte degli stu-di revisionati ha mostrato inoltre che le pazienti sotto-poste a citoriduzione completa ottengono i maggiori be-nefici dalla procedura, con una percentuale di soprav-vivenza a 5 anni dal 12% al 66% (17,18).

Mesotelioma peritoneale Il mesotelioma peritoneale diffuso è tradizionalmente

riconosciuto come rapidamente letale. Differenti trat-tamenti sono stati proposti, comprendenti la chirurgiae la chemioterapia sistemica o locoregionale. Tuttavia, laprognosi a lungo termine rimane scadente, con soprav-vivenze medie generalmente non superiori ai 12 mesi(110). Tuttavia, poiché la tendenza di questa patologiaè quella di rimanere confinata sulla superficie peritoneale,il trattamento combinato di CRS e HIPEC ha guada-gnato negli ultimi anni un crescente interesse con un in-cremento della sopravvivenza riportato da numerosi stu-di prospettici indipendenti (23). Comunque, molti deirisultati ottenuti provengono da studi monocentrici difase I o II, e sussiste una sostanziale variabilità dei cri-teri di inclusione adottate. Una recente review sistema-tica ha valutato le evidenze scientifiche attualmente di-sponibili in questo contesto e ha concluso sull’esisten-za effettiva di un miglioramento prognostico globale ot-tenuto mediante l’applicazione di CRS più HIPEC nelmesotelioma peritoneale maligno diffuso rispetto ai trat-tamenti tradizionali (chemioterapia sistemica e chirur-gia palliativa) (110). La sopravvivenza media dei pazientitrattati con CRS più HIPEC variava dai 34 ai 92 mesi,con una probabilità di sopravvivenza a 5 anni tra il 30e 60% a seconda degli studi (110). Nonostante i dati di-sponibili siano complessivamente limitati, l’HIPEC inquesto contesto rappresenta una delle maggiori indica-zioni, soprattutto alla luce del considerevole migliora-mento prognostico offerto rispetto alla terapia sistemi-ca (103).

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Pseudomixoma peritonei Lo pseudomixoma peritonei è una rara condizione ca-

ratterizzata dalla disseminazione peritoneale di impian-ti tumorali mucinosi e abbondante ascite gelatinosa adorigine principalmente da tumori mucinosi dell’appendicea basso potenziale di malignità. Secondariamente può ori-ginare da cistoadenomi e cistoadenocarcinomi ovarici,raramente da altre patologie. Anche se questa condizioneè in genere minimamente aggressiva, tendendo a rima-nere perlopiù confinata all’interno della cavità peritonealee dando origine raramente a metastasi ematogene o lin-fatiche, la prognosi a lungo termine è scadente per la suascarsa sensibilità alla chemioterapia sistemica; il deces-so frequentemente si verifica come conseguenza della pro-gressione intraddominale della malattia.

L’approccio combinato CRS più HIPEC è da tem-po valutato come opzione terapeutica per i pazienti conmassivo coinvolgimento tumorale del peritoneo ed è oggiconsiderato, nonostante l’assenza di studi randomizza-ti di fase III, il trattamento standard per questo tipo dicondizione (19). In accordo a studi prospettici di fase Ie II, infatti la sopravvivenza a 5 anni dei pazienti trat-tati varia dal 55% al 97% (23). Una recente review si-stematica comprendente 5 studi osservazionali relativa-mente ampi (>100 casi trattati) ha mostrato sopravvivenzemedie dopo trattamento CRS più HIPEC comprese tra51 e 156 mesi. I tassi di sopravvivenza a uno, due, tre ecinque anni degli studi revisionati sono risultati rispet-tivamente dall’80 al 100%, dal 76 al 96%, dal 59 al 96%e dal 52 al 96% (98). In sostanza, anche se non sempreomogenei, i risultati a lungo termine sono prometten-ti rispetto ai casi controllo sottoposti a terapie tradizio-nali. Comunque, data la rarità di questa malattia, tali ri-sultati devono essere confermati in studi prospettici mul-ticentrici e randomizzati.

Sarcomatosi peritonealeI pazienti con sarcomi primitivi della cavità addo-

minale, multifocali o recidivi, mostrano una prognosi sfa-vorevole anche in assenza di metastasi a distanza (88).Le percentuali di sopravvivenza dopo trattamento chi-rurgico variano dal 25% all’85% (23), in funzione prin-cipalmente dalla completezza della CRS e del ‘grading’tumorale. Non esiste ad oggi alcuna evidenza che la te-rapia adiuvante o neo-adiuvante condizioni la progno-si di questi pazienti, in parte a causa della intrinseca ra-dio- e chemio-resistenza di questi tumori (23).

Un recente studio italiano di fase I ha valutato l’u-tilità dell’HIPEC nel contesto della sarcomatosi perito-neale primitiva (88). Nei 60 pazienti inclusi nello stu-dio, la percentuale di morbilità è risultata del 33%, com-parabile quindi a quella osservata in altri studi sull’HI-PEC associata a citoriduzione per altre tipologie tumo-rali. Il tempo medio di progressione locale era di 22 mesie la sopravvivenza globale media di 34 mesi (88). Il gra-

ding istologico e la completezza della citoriduzione chi-rurgica sono risultati i più importanti fattori prognostici.Ulteriori studi comparativi sono necessari per trarre con-clusioni definitive.

Discussione

La citoriduzione chirurgica e l’HIPEC rappresenta-no un approccio multidisciplinare aggressivo, indirizzatoverso una condizione oncologica piuttosto complessa, chehanno dimostrato un trend favorevole negli anni nel mi-gliorare la sopravvivenza in pazienti con PC di differenteorigine.

Sia la procedura operativa che il sistema di gestionedell’HIPEC sono applicazioni complesse e nel contem-po costose. Esse richiedono non solo risorse umane al-tamente specializzate, ma anche strumenti tecnologica-mente avanzati che esigono, tra l’altro, una specifica cur-va di apprendimento.

Nel corso degli anni numerose équipes chirurgichehanno cominciato ad interessarsi a questa procedura edoggi oltre 100 centri in tutto il mondo sono coinvoltinello sviluppo del trattamento delle carcinosi peritoneali,insieme ad oncologi medici, farmacologi e altri specia-listi. Comunque, al momento solo pochi centri hannoeffettivamente guadagnato un esperienza consistente, ov-vero oltre 100 casi, e la procedura dell’HIPEC non è an-cora stata completamente standardizzata. In particola-re, non è ancora stato raggiunto un consenso unanimeper quanto riguarda le indicazioni, la durata del tratta-mento e la temperatura di perfusione, la tecnica apertao chiusa, il tipo e il dosaggio dei chemioterapici da som-ministrare.

Poiché questa modalità soffre ancora di una vasta va-riabilità di applicazioni, proprio nell’intento di chiari-ficare e standardizzare il più possibile i vari aspetti del-la procedura, un gruppo di esperti, il Peritoneal Surfa-ce Oncology International Group, si riunisce corrente-mente ogni due anni in un biennale International Work-shop on Peritoneal Surface Malignancy. Il gruppo rap-presenta una cooperazione di esperti provenienti prin-cipalmente da Stati Uniti, Europa, Corea e Giappone,accumunati dall’esperienza sulla prevenzione e trattamentodei tumori maligni del peritoneo. I primi due worksho-ps, frequentati da un gruppo di soli circa 30 esperti, sisvolsero entrambi in Inghilterra, al Royal College of Sur-geons, nel 1998 e nel 2000. Il terzo si svolse sempre inInghilterra, a Basingstoke, nel 2002. Il quarto workshopinternazionale si tenne a Madrid, in Spagna, nel Dicembre2004. Quest’ultimo meeting fu il primo di una certa con-sistenza, raccogliendo insieme 132 esperti provenienti da19 nazionalità diverse, che raggiunsero alcuni importantipunti di consenso:

1) HIPEC venne definitivamente scelto come acro-

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nimo per indicare la procedura; 2) la CRS in combina-zione con HIPEC venne dichiarata come standard di curaimprescindibile nei tumori mucinosi dell’appendicecon diffusione peritoneale; 3) venne ammessa la neces-sità di una collaborazione internazionale più stretta e ven-nero formati appositi gruppi di lavoro per avanzare la stan-dardizzazione degli indicatori prognostici, delle tecno-logie in uso, dell’accreditamento dei diversi protocolliterapeutici e della gestione anestesiologica e patologica.Il 5° Peritoneal Surface Oncology Workshop si svolse inItalia, a Milano, nel Dicembre 2006. Un totale di 103esperti internazionali di 17 nazionalità vennero inclusiin 6 gruppi di lavoro per ciascuna delle patologie tumoraliperitoneali. Venne raggiunto l’accordo su alcuni aspet-ti concettuali e tecnici fondamentali, riguardanti prin-cipalmente la metodologia, le indicazioni, la diagnosi edil trattamento delle carcinosi derivanti da queste neoplasie.I risultati di queste sessioni sono stati recentemente pub-blicati (Journal of Surgical Oncology, 2008Sep 15;98:217-290) e ulteriori informazioni sono accessibili al sito webhttp://www.peritonealworkshop2006.com. Tra gli aspet-ti principali su cui è stato raggiunto un consenso: 1) laTC spirale multistrato con mezzo di contrasto è stata in-dicata come indagine strumentale preoperatoria standardper la stadiazione della carcinosi, mentre la RMN, la PETe il dosaggio dei markers tumorali sono stati indicati comeindagini di secondo livello; 2) è stata riconosciuta la ne-cessità di linee guida razionali per la stadiazione intrao-peratoria della carcinomatosi e la precisa collocazione delruolo della laparoscopia in questo ambito; 3) le dimen-sioni del residuo tumorale dopo CRS è stato definiti-vamente riconosciuto come il principale determinanteprognostico e lo score di completezza della citoriduzio-ne (CCR score, Jacquet e Sugarbaker 1996) è stato va-lutato come il sistema classificativo più adatto; 4) il CT-CAE è stato stabilito come il sistema standard di classi-ficazione delle complicanze post-procedura.

Il 6° meeting, tenutosi a Lione, in Francia, nel no-vembre 2008, si è articolato sulla falsa riga del Meetingdi Milano e ha portato sostanzialmente all’integrazionee alla definizione più dettagliata dei consensi preceden-temente descritti. Maggiori informazioni sono disponibilial sito web http://peritonealworkshop2008.com.

Rimangono tuttavia da chiarire ancora numerosi aspet-ti. I costi e la morbilità post-operatoria sono ancora trai punti focali di discussione. Dati i cospicui e continuimiglioramenti delle terapie antiblastiche sistemiche, inol-tre, si rende sempre più necessaria un’adeguata compa-razione dei risultati dell’HIPEC rispetto ai più moder-ni protocolli chemioterapici disponibili. Infine, il com-puto dei rischi e benefici della peritonectomia più HI-PEC va adeguatamente soppesato e necessita di completadefinizione nei pazienti di età maggiore di 65 anni.

Studi futuri dovrebbero essere condotti per analizzarela biologia molecolare dei tumori con principale tropi-

smo per il peritoneo e la correlazione con eventuali an-tigeni tumorali in grado di discriminare quei pazienti chemaggiormente beneficeranno di questo trattamento.

L’evoluzione di nuovi agenti antiblastici, sommini-strati sia sistemicamente che intraperitonealmente,comporterà sicuramente in futuro delle innovazioni, siatecniche che procedurali, che condizioneranno in ma-niera significativa gli effetti di questo trattamento. In que-sto contesto appaiono particolarmente incoraggianti i ri-sultati ottenuti recentemente è una chiara comprensio-ne della farmacologia e dei vantaggi prognostici derivantidall’utilizzo intravenoso della chemioterapia in settingadiuvanti e/o neoadiuvanti associati a CRS ed HIPECnel trattamento dei tumori maligni peritoneali.

Il futuro dell’HIPEC si concentrerà nei centri di mag-giore eccellenza e si baserà su quegli studi randomizza-ti che definiranno non soltanto la risposta terapeutica ei tassi di sopravvivenza, ma permetteranno di standar-dizzare le tecniche e i metodi di applicazione dell’HIPECe di definire adeguatamente i criteri di selezione dei pa-zienti.

Conclusioni

Sulla base delle evidenze scientifiche finora raggiun-te, l’HIPEC impatta sulla sopravvivenza dopo CRS com-pleta dei pazienti con carcinosi peritoneale in manieratale da rappresentare oggi un’opzione terapeutica così rea-listica da non poter essere più ignorata. D’altronde, è purchiaro che la CRS più HIPEC non è una procedura in-dicata per tutti i pazienti con PC, ma mantiene un ruo-lo definito e riconosciuto solo in casi selezionati. I pa-zienti che beneficiano maggiormente di questo tratta-mento multimodale sono quelli con iniziali buonecondizioni generali di salute e con un basso volume didiffusione peritoneale tale che con una citoriduzione ade-guata è possibile ottenere una resezione R0 o R1. Poi-ché è essenziale al fine di ottenere il vantaggio progno-stico atteso, la completezza della CRS deve essere con-siderata il prerequisito fondamentale per porre indica-zione all’HIPEC, che come trattamento palliativo del-le carcinosi con asciti debilitanti è ancora in discussio-ne.

I tassi di morbilità e mortalità raggiunti nei centri spe-cializzati sono bassi, pertanto non sono più accettabilile critiche mosse in passato nei confronti della fattibilitàdi questa procedura combinata. Allo stato attuale, il trat-tamento con CRS più HIPEC è considerato dal grup-po internazionale il trattamento di scelta per le neopla-sie appendicolari mucinose con disseminazione perito-neale, il mesotelioma peritoneale e le carcinomatosi co-lon-rettali di volume modesto suscettibili di citoriduzionecompleta. Inoltre, questo trattamento è suggerito comeprobabilmente il più efficace nel condizionare favore-

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volmente la sopravvivenza nelle pazienti con tumore ova-rico in stadio III e come terapia adiuvante di prevenzionedelle carcinosi dopo gastrectomia radicale di carcinomigastrici in stadio III infiltranti la sierosa.

Le tecniche dell’HIPEC sono difformi e ancora pocostandardizzate. Studi randomizzati ben strutturati sononecessari per analizzare l’efficacia di questo approccio te-rapeutico e omologarne i vari dettagli tecnologici, al finedi standardizzare la procedura e limitarne la morbilità.In particolare, sono necessari criteri definitivi e unifor-mi di stadiazione della carcinosi, di somministrazione del-

l’HIPEC e sul tipo e la dose dei farmaci antitumorali ap-plicabili intraperitonealmente.

La diagnosi precoce, l’accesso precoce presso i cen-tri di riferimento specializzati, un adeguato approccio chi-rurgico e un’attenta selezione dei pazienti sono i puntichiave della migliore gestione dei casi indicati al tratta-mento. Offrendo una speranza di cura per una condi-zione in passato inesorabilmente terminale, questo ap-proccio combinato innovativo rappresenterà probabil-mente nei prossimi anni il più importante trattamentodei tumori maligni peritoneali.

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